Rotta balcanica, illustrazioni di Giorgio Romagnoni

Rotta balcanica, illustrazioni di Giorgio Romagnoni

Nonostante sia ormai da tempo ufficialmente chiusa, la cosiddetta rotta balcanica continua ad essere attraversata dai migranti in cerca di uno sbocco verso i paesi Schengen. Due recenti casi di cronaca

01/10/2018 -  Giovanni Vale Zagabria

Continua ad essere di grande attualità, in Croazia, il passaggio di migranti e rifugiati al confine croato-bosniaco, malgrado l’ufficiale chiusura della rotta balcanica. La settimana scorsa un fatto di cronaca ha ricordato quanto sia ancora fatale e pericolosa questa rotta migratoria, ormai lontana dai riflettori della stampa internazionale. Lunedì scorso, un cittadino siriano di 43 anni - che dalla Bosnia Erzegovina era entrato in Croazia per poi proseguire verso l’Europa occidentale - ha denunciato di essere stato separato da sua figlia di 5 anni, di cui ha perso le tracce.

Stando alla ricostruzione fatta dall’uomo e riportata dall’organizzazione umanitaria locale “Are you Syrious ?” (AYS), la piccola Allsa (questo il nome della bambina) sarebbe stata separata dal padre a causa di un intervento della polizia croata. Il cittadino siriano sarebbe infatti stato fermato dai poliziotti, mentre si trovava sul territorio croato e mentre stava comprando acqua e cibo in un negozio a Smoljanac, nella regione della Lika. Da lì, gli agenti hanno trasportato l’uomo nuovamente in Bosnia Erzegovina ignorando le sue richieste di fermarsi e cercare la figlia.

Non solo. Il cittadino siriano - a cui solo successivamente è stato concesso di fare domanda di asilo in Croazia - ha anche dichiarato di essere stato derubato del suo denaro dagli agenti croati e che questi ultimi hanno anche distrutto il suo cellulare, “come già accaduto in precedenza a diversi rifugiati”, nota l’associazione “Are you Syrious?”.

Dopo aver denunciato questa situazione alla polizia bosniaca, e grazie all’intervento proprio delle forze dell’ordine di Sarajevo, che ha contattato i colleghi croati, il padre di Allsa ha potuto fare domanda di asilo in Croazia, ma è ancora alla ricerca della figlia (anche se secondo il quotidiano 24Sata, il cittadino siriano avrebbe già lasciato il centro di accoglienza dove si trovava a Zagabria). Sono infatti ormai passati 19 giorni da quando l’uomo ha perso di vista la bambina nei pressi del valico di frontiera di Maljevac. Al momento dell’intervento della polizia croata, Allsa si trovava con una famiglia irachena, che a questo punto potrebbe aver continuato il proprio cammino verso la Slovenia e l’area Schengen.

La polizia croata ha negato di essere all’origine della separazione tra il rifugiato siriano e la figlia e, sempre secondo il quotidiano 24Sata, la versione dell’uomo sarebbe inoltre discutibile, dato che nella documentazione in mano alle autorità bosniache - che hanno registrato il passaggio del siriano nell’agosto scorso - non ci sarebbe traccia della bambina. Ad ogni modo la polizia croata assicura che non c’è stato alcun intervento degli agenti a Smoljanac, dove l’uomo sarebbe stato fermato in un negozio e riportato al confine. Va detto però che la polizia croata non potrebbe comunque confermare tale intervento, trattandosi di una violazione del diritto internazionale. Ad ogni profugo o migrante che entra sul territorio croato, anche illegalmente, deve infatti essere data la possibilità di sottoporre una domanda d’asilo.

Nella pratica, invece, i respingimenti al confine (i cosiddetti “push-backs”) si ripetono ogni giorno alla frontiera croato-bosniaca, al punto che l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ne ha contati ben 3242 in tutto il 2017 e circa 2500 nel corso di quest’anno (dati aggiornati ai primi giorni di settembre). Circa 700 di questi hanno detto di aver subito violenze e furti da parte degli agenti croati.

L’attivista condannato in Croazia

Il caso della giovane Allsa e di suo padre non è l’unico fatto di cronaca ad essere stato registrato di recente in relazione al passaggio della cosiddetta “rotta balcanica” in Croazia. Sempre durante la settimana scorsa, un attivista della già citata Ong “Are you Syrious?”, Dragan Umičević, è stato condannato al pagamento di 60mila kune di multa (circa 8mila euro) per aver aiutato alcuni migranti ad attraversare illegalmente la frontiera croata. Secondo il tribunale per i reati minori di Županja (nell’est del paese), il 21 marzo scorso il volontario croato ha aiutato un gruppo di 14 afghani ad attraversare il confine serbo-croato nei pressi di Strošinci. I giudici hanno confermato che Umičević ha “mandato dei segnali luminosi per indicare dove e quando attraversare il confine croato”. La multa - su cui però pende ora la possibilità di un appello - potrà essere saldata in cinque rate e sarà considerata estinta al pagamento di 40mila kune (o 5.300 euro circa) entro i prossimi cinque mesi.

Per “Are you Syrious?”, tuttavia, la condanna di Umičević è una ritorsione contro il lavoro dell’organizzazione umanitaria ed in particolare per il caso Madina, la giovane bambina afghana morta nell’inverno scorso al confine serbo-croato e la cui storia è stata resa pubblica per la prima volta proprio da AYS.

In un comunicato pubblicato su Facebook, l’associazione croata ha definito “grottesca” la decisione dei giudici e ha spiegato la propria versione dei fatti. Quattro mesi dopo la morte di Madina, investita da un treno dopo che la polizia croata aveva ordinato alla sua famiglia di seguire i binari in direzione di Belgrado per tornare in Serbia, “la famiglia della piccola Madina ci ha contattato tramite Facebook la notte del 20 marzo 2018”, spiega l’associazione. Il gruppo di persone, “in cui c’erano in totale 11 bambini e ragazzi”, si trovava nei pressi di Strošinci, al confine serbo-croato. “Ci hanno mandato la loro posizione, confermando di essere già in territorio croato”, assicurano i volontari.

Quello che è avvenuto in seguito, stando all’associazione, non ha dunque niente a che vedere con l’attraversamento illegale di un confine. Il volontario Dragan Umičević - “quello che vive più vicino alle località in questione” - è partito alla ricerca di una pattuglia di polizia per segnalare la presenza di una famiglia con minori che desiderava far richiesta di protezione internazionale. “Ha fatto soltanto questo: si è recato alla stazione di polizia vicino al confine e ha trasmesso le informazioni in suo possesso. Non è mai stato in contatto diretto con la famiglia di Madina”, prosegue il comunicato di AYS.

Per l’associazione, dunque, l’accusa è legata proprio al lavoro svolto dagli attivisti umanitari da tre anni a questa parte e alla denuncia - fatta più volte dall’Ong - delle violenze commesse da parte degli agenti croati, compreso anche il recente caso della giovane Allsa, persa di vista dal padre proprio a causa dell’intervento della polizia croata.

“L’unica, sgradevole, conclusione a cui possiamo arrivare è che sia stato lo stesso ministero dell’Interno a rendere pubblico questo fatto, per sviare l’attenzione dalle proprie pratiche illegali e per discreditare agli occhi del pubblico il lavoro dei difensori dei diritti umani”, conclude “Are you Syrious?”, che comunque promette di fare ricorso contro la condanna e difendere il volontario finché ogni accusa non sarà rimossa.


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