Situati sempre più spesso in paesi terzi, apparentemente aperti ma isolati, permettono la sopravvivenza ma impediscono di muoversi e chiedere protezione e godere di diritti fondamentali: sono i "campi di confinamento", utilizzati dai paesi UE per frenare i fenomeni migratori. Un'intervista
Gianfranco Schiavone studioso di migrazioni, già componente del direttivo dell’Asgi - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione, è presidente dell'ICS - Consorzio italiano di solidarietà - Ufficio rifugiati onlus di Trieste ed uno dei 21 autori della pubblicazione “Chiusi dentro i campi di confinamento nell'Europa del XXI secolo”.
Come rete Rivolti ai Balcani avete curato il saggio “Chiusi dentro i campi di confinamento nell'Europa del XXI secolo”, edito a marzo 2024 da Altreconomia. Quando e perché è nata l’idea di questo corposo lavoro?
L’idea è nata a seguito del convegno internazionale del 7-8 maggio 2022, tenutosi presso il Centro Balducci di Zugliano in provincia di Udine [I campi di confinamento nel XXI secolo e le responsabilità dell’Unione europea, ndr] al quale sono interventi relatori italiani e stranieri - europei ed extraeuropei – per ragionare sulle conseguenze delle politiche europee relative all’immigrazione sulle persone e sul contesto geopolitico internazionale nella sua complessità.
Dagli straordinari lavori di quel convegno, che sono tutt’ora accessibili in italiano e in inglese sul sito di RiVolti ai Balcani , così come di Altreconomia e del Centro Balducci, è nata l’idea di realizzare questa pubblicazione che ha coinvolto 21 autori e autrici.
Qual è il tema al centro di questo saggio, che prende in considerazione paesi non solo della rotta balcanica, ma anche paesi come Libia, Polonia, paesi baltici e Italia?
La pubblicazione pone al centro una domanda scomoda: dove finiscono le persone che vengono respinte illegalmente ai confini dell’Unione europea, oppure che non arrivano affatto a questi confini perché sono bloccati in paesi terzi a causa di politiche di esternalizzazione delle frontiere? Cioè quella politica spregiudicata che l’Ue sta seguendo in questi anni che si sintetizza così: sostenere, attraverso fiumi di denaro, formazione del personale di polizia, fornitura di mezzi a volte anche militari, attrezzature di tracciamento, a paesi terzi quasi sempre con un ordinamento non proprio democratico se non addirittura vere e proprie dittature.
Quindi l’Ue finanzia di fatto paesi fuori dall’Unione per perseguire politiche che violano il diritto internazionale ed europeo?
Fornisce a governi di paesi terzi, strumenti finanziari e logistici per fare quel “lavoro sporco” che le autorità europee non potrebbero fare sul proprio suolo. O meglio, che non possono più fare dopo la nota sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo “Hirsi Jamaa e altri contro Italia ” del 2012, che riguarda il caso dei respingimenti diretti effettuati dalla Marina militare italiana verso la Libia nel 2009.
Chiusa questa pagina violenta, l’Ue ha puntato sulla strategia di far fare a terzi quello che non può fare in casa propria.
Nel libro parlate di campi di “confinamento”, se non addirittura di detenzione illegale. Sui media italiani era emerso ad esempio il caso del campo di Lipa , in Bosnia Erzegovina in cui un incendio aveva lasciato nel nulla e in mezzo alla neve decine di rifugiati.
Sì, di campi di confinamento, ma che in alcuni casi sono di vera detenzione, ve ne sono sia sul territorio dell’Ue sia al di fuori. Quello che è emerso dagli approfondimenti è che il modello “campo di confinamento”, che è prevalentemente praticato in paesi terzi ma che in alcune forme, meno estreme perché siamo sul terreno dell’Unione, hanno cominciato ad interessare anche alcuni paesi europei. Soprattutto nei paesi “più marginali” cioè che hanno frontiere esterne dell’Unione e dove c’è scarsa tradizione d’asilo e politica nazionale estremamente aggressiva. Ecco perché nel saggio abbiamo riportato, ad esempio, i casi della Grecia e dei paesi baltici.
Il focus rimane comunque sui paesi terzi, come la Bosnia Erzegovina, dove queste politiche sono ormai largamente seguite.
Quali caratteristiche hanno quelli che nel libro definite campi di confinamento?
Sono luoghi che hanno un filo rosso comune. In genere di grandi dimensioni, isolati, chiusi verso l’esterno, dove le persone che vi vivono non possono produrre alcuna forma di iniziativa socialmente significativa e di inserimento, proprio anche per la lontananza da qualunque zona abitata. Il campo di Lipa, ad esempio, è a 30 km dalla città più vicina in una zona deserta e senza collegamenti, e rappresenta uno dei prototipi più evidenti di campo di confinamento.
Parliamo di un luogo apparentemente aperto, nel senso che gli “ospiti” possono uscire, ma per andare dove? Quindi il confinamento si fa a volte con misure della limitazione della libertà personale, altre volte in maniera più acuta… attraverso forme mascherate, di limitazione della libertà quali appunto il confinamento geografico.
Lo scopo è quello di far meramente sopravvivere le persone, impedire loro di proseguire il viaggio in qualunque forma, in alcuni casi impedire loro di richiedere protezione… È un fenomeno ormai amplissimo, che riguarda due continenti, Asia e Africa, e decine di paesi terzi ai confini dell’Ue. E sotto il profilo della struttura e delle condizioni miserevoli in cui vivono milioni di persone, si tratta senza dubbio di campi di natura concentrazionaria. Nel libro si fa molta attenzione a non voler confondere questa nuova tipologia di campi che sembra invadere il XXI secolo, con altre tipologie di campi ben più drammatiche che hanno segnato la tragica storia del ‘900.
Per cui nel testo non è stato attuato alcuno scivolamento concettuale su questo, ma nemmeno una sottovalutazione dell’estrema gravità di questa nuova tipologia di campi che sembra stia segnando la seconda decade del XXI secolo, che si annuncia tormentato e dove complessivamente le conquiste sui diritti umani fondamentali, che avevano segnato la seconda parte del ‘900, sembrano andare in regressione.
Parliamo dunque di violazioni di diritti fondamentali…
A volte i campi agiscono come luoghi per impedire o ostacolare la procedura della richiesta d’asilo, altre volte l’accesso alla protezione è impossibile. Come nel caso della Libia, dove non si può richiedere l’asilo. O al caso della Turchia, il più grande paese di confinamento al mondo, con tre milioni e mezzo di persone, che continua a mantenere una limitazione di accesso a persone di paesi che hanno oggi più bisogno. Per fare un esempio concreto, la legge turca non prevede per un cittadino afghano la possibilità di richiedere protezione.
Questi campi sono in pratica luoghi dove la vita delle persone è sospesa, dove non hanno diritto di ottenere la protezione giuridica dei paesi in cui si trovano, non hanno la possibilità di proseguire con un reale percorso di integrazione sociale… in sintesi: persone che non possono tornare indietro, alle quali non è permesso di andare avanti e di fatto non possono neanche restare perché si trovano in condizioni di vita che porterebbero alla pazzia qualunque essere umano.
Nel libro parlate anche di respingimenti illegali. Dove stanno avvenendo? Sono ricominciate le cosiddette “riammissioni informali”, ai confini tra Italia e Slovenia?
Lungo la rotta balcanica i respingimenti continuano e sono in forte ripresa soprattutto in alcune aree, come ai confini bulgari e al confine tra Bosnia e Croazia. Sono in ripresa, purtroppo, anche violenze efferate. Al confine italo-sloveno non sono più state effettuate riammissioni attive di richiedenti asilo a seguito di due ordinanze del Tribunale di Roma, del gennaio 2021 e del maggio 2023, che hanno condannato l’Italia per plurime violazioni del diritto internazionale, europeo e nazionale.
Questo è un aspetto positivo, dopo una pagina estremamente oscura che aveva vissuto l’Italia e la città di Trieste in particolare. Oggi però desta ancora preoccupazione il ripristino dei controlli alle frontiere interne, e la sospensione della libera circolazione prevista dal regolamento Schengen. Sul piano giuridico non dovrebbe avere alcuna incidenza sul diritto delle persone a presentare domanda d’asilo, ma nella realtà dietro alcuni respingimenti - i cui dati sono stati dichiarati dal ministro Piantedosi in cui si parla di 1800 persone da ottobre quando sono stati ripristinati i controlli – c’è di fatto una violazione del diritto.
Guardando le nazionalità di questi, vediamo tanti afghani, iracheni, persone a rischio… persone che magari non vogliono fermarsi nel nostro paese, che è spesso un paese di transito per molti che vogliono raggiungere familiari e conoscenti in altri paesi dell’Ue. All’arrivo non viene fornita loro la giusta informazione sui loro diritti e sulle conseguenze della mancata richiesta, e abbiamo come risultato i respingimenti di cui sopra.
Come è stata accolta in Italia la pubblicazione che state divulgando da poco più di due mesi?
Si sono tenute presentazioni in tantissime città italiane tanto che il libro è già alla sua prima ristampa, tra l’altro aggiornata perché abbiamo sfruttato l’occasione per inserire ulteriori integrazioni. Per cui possiamo dire che il libro è aggiornato a giugno 2024, diventando una pubblicazione di attualità, quasi un instant book... e contiamo di portare all’attenzione sociale, politica e accademica, temi che sono rimasti molto ai margini e cioè le conseguenze che queste politiche di esternalizzazione hanno sulle vite delle persone.
Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di “MigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell'Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell'Unione europea
"Chiusi dentro I campi di confinamento nell'Europa del XXI secolo" pubblicato a marzo 2024 è curato dalla rete RiVolti ai Balcani, edito da Altreconomia, è l'analisi critica più aggiornata delle politiche di respingimento dei migranti a livello internazionale: dall’esternalizzazione delle frontiere alla creazione di veri e propri campi di confinamento dentro e fuori l’Ue. Italia inclusa.
C’è un filo rosso che unisce i lager libici, i campi di transito bosniaci, i centri di detenzione lituani o greci e i Cpr italiani. È quello del trattenimento e della segregazione di migliaia di persone in movimento, spogliate della propria dignità e dei propri diritti.
Il libro si propone di rispondere a domande cruciali, attraverso un’indagine approfondita delle politiche europee sull’asilo e sull’immigrazione. Descrive, a più voci, i casi di Bosnia ed Erzegovina, Grecia, Lettonia e Lituania, Macedonia del Nord, Libia, Polonia, Serbia, Turchia, e infine dell’Italia.
Esplorando temi di grande attualità come l’impiego della tecnologia nella violazione dei diritti umani, il ruolo delle Agenzie internazionali (Frontex in primis), la cancellazione del diritto d’asilo, i respingimenti alle frontiere esterne dell’Ue e le “riammissioni” ai confini interni.
Si tratta ancora oggi di prassi illegittime e sistematiche, che l’Unione europea vorrebbe far diventare la “nuova normalità”. Conoscere e raccontare le pratiche di resistenza rappresenta il primo passo per contrastare questa eclissi.
Prefazione di Livio Pipino.
Con i contributi di: Matteo Astuti, Alexandra Bogos, Caterina Bove, Anna Brambilla, Silvia Carbonari, Duccio Facchini, Robert Ford, Hannah Huser, Mahmut Kacan, Nikola Kovačević, Monica Massari, Keely McDonnell, Andrea McTigue, Davide Pignata, Michele Rossi, Erminia Rizzi, Luca Rondi, Gianfranco Schiavone, Ivana Stojanova, Meleanna Sunderland, Manuela Valsecchi.
Prefazione di Livio Pipino, copertina di Gianluca Costantini.
Disponibile nelle librerie oppure acquistabile via Altreconomia .
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