Transizione energetica: anche nell’ultimo anno le banche private continuano a non fare la loro parte. Quale sarà il futuro del Green Deal europeo se ai rallentamenti del sistema pubblico si unisce l'inaffidabilità di quello privato?
Circa un anno fa avevamo parlato di come le banche europee continuassero a finanziare l’industria del carbone in tutto il mondo, nonostante le limitazioni previste dai propri codici di condotta e l’incombenza del Green Deal proposto dalla Commissione europea. Nell’ottobre 2020 il Parlamento europeo ha adottato la “Legge sul clima” , un mandato di negoziato progettato per favorire il raggiungimento degli obiettivi posti proprio dal Green Deal, vale a dire l’azzeramento dell’impatto climatico dei paesi europei entro il 2050. Se approvata dagli organi legislativi europei, la legge sul clima imporrebbe ai paesi membri la riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030.
Con l’avvento della pandemia da Covid-19 e la crisi economica che sta colpendo molti paesi europei, il Green Deal è diventato centrale anche in “Next Generation EU” – il piano per la ripresa dell’economia proposto a maggio dalla Commissione – e nel bilancio dell’Ue per il periodo 2021-2027, entrambi approvati nelle scorse settimane. Next Generation EU prevede che il 30% dei suoi stanziamenti vadano a finanziare investimenti per contrastare il cambiamento climatico, come dovrebbe avvenire anche per il 25% del bilancio dell’Unione europea per i prossimi sette anni.
Troppo bello per essere vero?
Nonostante i buoni propositi, i tanti strumenti previsti dai piani di attuazione del Green Deal si troveranno a dover affrontare una serie di ostacoli posti dai settori pubblico e privato. Primi su tutti i sussidi erogati dagli stati membri all’industria fossile, che secondo Investigate Europe , ammontano a circa 137 miliardi all’anno.
E se la transizione energetica sarà già di difficile attuazione all’interno dei confini europei, la vera sfida sarà poi esportare il modello europeo nel resto del mondo. L’Ue, oltretutto, produce solo il 10% delle emissioni globali, perciò è quantomeno auspicabile un piano di policy che ambisca a combattere il cambiamento climatico a livello mondiale. A tal proposito, stanno acquisendo sempre più forza le voci a sostegno della creazione di una “European Climate and Sustainable Development Bank ” (Banca europea per il clima e lo sviluppo sostenibile), un’istituzione finanziaria che andrebbe a sostituire e consolidare all’interno di un solo organismo l’azione “green” della Banca europea per gli investimenti (EIB) e della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD).
Negli ultimi anni, l’EIB e l’EBRD hanno già messo in campo ingenti finanziamenti a favore dell’industria delle energie rinnovabili, ma nel frattempo continuano a finanziare anche l’industria dei combustibili fossili. Nel novembre del 2019 l’EIB ha annunciato che nel 2021 cesserà finalmente questi finanziamenti, mentre l’EBRD non ha preso ancora alcuna iniziativa in questo senso.
Il ruolo delle banche private rimane preponderante
Certo, le istituzioni europee e le banche di investimento pubbliche possono mettere in campo politiche volte a disincentivare l’industria del fossile, ma la responsabilità ultima ricadrà anche sulle azioni dei privati. È proprio qui che si inserisce il ruolo del settore bancario, che potrebbe esercitare un impatto concreto nella lotta al cambiamento climatico anche a livello globale.
Il rapporto annuale pubblicato da Rainforest Action Network relativo al quadriennio 2016-2019 – un gruppo di ong che monitora i finanziamenti delle maggiori banche mondiali all’industria del fossile – mostra come 17 istituti bancari sui 35 maggiori finanziatori dell’industria fossile a livello globale siano europei. Nel 2019 gli investimenti delle banche europee in tutti i settori del fossile sono cresciuti del 4% rispetto al 2018 e del +7,7% rispetto al 2016, per un totale di oltre 197 miliardi spesi solo in un anno – e la bellezza di quasi 760 miliardi nel quadriennio 2016-2019.
Ancora più preoccupanti i dati relativi all’espansione dell’industria fossile: i finanziamenti a progetti in fase di realizzazione o pianificazione sono infatti aumentati del 13,7% nell’arco di quattro anni e del 47,4% tra il 2018 e il 2019. Tutti i settori dell’industria fossile, escluso quello del fracking, hanno visto un incremento dei finanziamenti provenienti dalle banche europee rispetto al 2018. In particolare, i finanziamenti al settore della trivellazione in mare aperto e a quello dell’estrazione di petrolio e gas nel mare Artico hanno registrato un incremento rispettivamente del +131,3% e del +48,5%.
Le banche che nel complesso fanno peggio sono le inglesi Barclays (quasi 30 miliardi investiti nel 2019, +11,4% rispetto 2018) e HSBC (26,5 miliardi, +33,8%), e la francese BNP Paribas, che guida la classifica dei finanziamenti nel 2019 con oltre 30 miliardi investiti, per un incremento del 72,3% rispetto al 2018.
Valutare gli sforzi delle banche
Nonostante gli sforzi delle istituzioni europee, è dunque chiaro che attualmente il settore pubblico riesce fare ben poco per limitare l’azione delle banche private. Ricade allora su queste ultime l’onere di autoimporsi le limitazioni necessarie per favorire la transizione ecologica, un passo decisivo che molte stanno iniziando a fare. Il Rainforest Action Network ha stilato una serie di classifiche settoriali delle banche europee maggiori finanziatrici dell’industria fossile. I punteggi sono calcolati tenendo in considerazione le restrizioni autoimposte riguardo i finanziamenti diretti a progetti e/o le limitazioni al finanziamento di compagnie che operano nel campo dell’espansione del settore fossile, ma anche l’impegno a eliminare gradualmente tali finanziamenti e/o l’esclusione di compagnie attive al di sopra di una certa soglia.
Non è però detto che chi si dimostra più virtuoso a livello di policy interne agisca poi di conseguenza. Nel caso dell’estrazione del carbone, ad esempio, la francese Crédit Agricole totalizza ben 27 su 32 punti disponibili, ma tra il 2016 e il 2019 ha addirittura incrementato i finanziamenti allo stesso settore del 376%, benché avesse annunciato già nel 2015 lo stop ai finanziamenti all’industria del carbone, cosa evidentemente poi mai avvenuta. Come si evince dai grafici, la stessa contraddizione vale anche per altri istituti bancari.
Video realizzato dalla ONG Europe Beyond Coal sull'ampliamento della centrale a carbone di Tuzla in Bosnia-Erzegovina, finanziato anche dalla italiana Intesa San Paolo
Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0
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