Vista aerea di panelli fotovoltaici in un’area rurale dell’Andalusia, Spagna © Aleksey Novikov/Shutterstock

Vista aerea di panelli fotovoltaici in un’area rurale dell’Andalusia, Spagna © Aleksey Novikov/Shutterstock

Le aree rurali d’Europa potrebbero produrre fino a 30 volte il loro fabbisogno energetico grazie al fotovoltaico, ma ostacoli tecnici, ambientali e sociali ne complicano lo sviluppo. Reti, stoccaggio e coinvolgimento delle comunità saranno decisivi per un futuro sostenibile

13/02/2025 -  Marco RanocchiariOrnaldo Gjergji

Nelle aree rurali d’Europa, soprattutto nei paesi meridionali e orientali - dalla Romania alla Penisola iberica - si nasconde un enorme potenziale per la produzione di energia rinnovabile, che potrebbe essere determinante per il percorso di decarbonizzazione del continente. 

Il fotovoltaico, in particolare, potrebbe permettere a molte regioni spesso depresse e spopolate di produrre anche oltre 30 volte il loro fabbisogno, senza intaccare i terreni agricoli produttivi e le aree protette.

Questa opportunità si scontra però con i limiti tecnici - la necessità di disporre di sistemi di stoccaggio e reti sempre più efficienti - e con ostacoli ambientali e sociali: dal conflitto con l’agricoltura ai danni al suolo, fino al rischio di concentrazione del potere energetico nelle mani di pochi grandi attori. Per centrare i suoi obiettivi evitando nuovi squilibri, l’Europa deve agire in fretta, ma senza trascurare le complessità locali. 

Il potenziale trasformativo del solare

Per esplorare le effettive possibilità e gli ostacoli sulla strada di un pieno sviluppo del solare, abbiamo analizzato i dati resi disponibili da diverse fonti ufficiali, li abbiamo rielaborati nel contesto del progetto European Data Journalism Network (EDJNet) e abbiamo cercato di contestualizzarli attraverso un lavoro di approfondimento giornalistico. I dati completi e la metodologia utilizzata sono disponibili qui .

Un recente studio del Joint Research Centre dell’UE ha stimato il potenziale non sfruttato delle principali fonti rinnovabili del continente. Tra queste, il solare appare come quello con le maggiori potenzialità: la sua produzione potrebbe infatti aumentare di ben 44 volte, dagli attuali 250 TWh (Terawattora) all'anno fino a 11 mila. Ciò potrebbe rimodellare radicalmente il panorama energetico europeo, avvicinandolo agli obiettivi della neutralità climatica (fissata da Bruxelles al 2050) e dell'autosufficienza. 

Il 78% di questo potenziale si trova nelle aree rurali, caratterizzate da ampi spazi aperti e forte irradiazione solare. Già oggi queste aree, che coprono l'83% della superficie dell'UE, producono quasi i tre quarti (72%) dell'elettricità rinnovabile del continente.

Produrre molto più del fabbisogno

Le aree con maggiori potenzialità si concentrano nella Penisola iberica, nelle fasce pianeggianti della Romania e in alcune altre regioni dell’Europa centro-orientale e mediterranea.

Significativamente, queste aree - poco abitate o soggette allo spopolamento e spesso economicamente marginali - tendono a coincidere con quelle in cui la domanda energetica è più bassa. Confrontando il potenziale rinnovabile non sfruttato e la domanda di energia, emerge che in ben un quinto delle regioni europee le rinnovabili potrebbero rappresentare la voce principale del mix energetico. In ampie porzioni della Penisola iberica, del sud-est europeo, e dei Paesi baltici la produzione soddisferebbe completamente il fabbisogno totale. Non pochi territori, soprattutto in Spagna, Portogallo e Romania, potrebbero produrre addirittura 30 volte o più l'energia richiesta, trasformandosi in grandi esportatori di energia. 

Le sfide tecniche del fotovoltaico

Sfruttare questo potenziale è però tutt’altro che semplice. L’energia solare, innanzitutto, è intermittente, con picchi nelle giornate di sole e in orari e stagioni che spesso non coincidono con i maggiori consumi. Inoltre, le aree rurali hanno bisogno di una rete elettrica capillare ed efficiente, e sistemi di stoccaggio che spesso mancano. La situazione nei paesi dal maggiore potenziale è varia.

In Romania, lo sviluppo del solare è recente e ha vissuto una crescita tumultuosa, e oggi rallentata, sia per il taglio agli incentivi che per il mancato adeguamento delle infrastrutture. “Si è arrivati al punto che quando un investitore voleva costruire un impianto in un’area dove erano già presenti, non otteneva il permesso perché la rete era congestionata”, spiega Corina Murafa, esperta di energia e sostenibilità e docente all’università degli studi di Bucarest. D’altro canto, prosegue, dove la rete non c’è, a parità di potenziale, gli investitori non arrivano. “Gli investitori tendono a concentrarsi nelle stesse aree già sviluppate. Non c’è mai stata una politica attiva di sostegno in questo senso”.

Francia e Spagna (paese in cui negli ultimi 12 mesi oltre il 50% dell’elettricità è stata prodotta da fonti rinnovabili) dispongono di reti più solide, ma con ampio margine di miglioramento, soprattutto in vista di ulteriori sviluppi.

“Non siamo più in un’epoca di pianificazione statica delle infrastrutture che resta uguale per decenni”, sottolinea José Donoso, presidente dell’UNEF, l’associazione spagnola per l’energia fotovoltaica. “La pianificazione deve essere dinamica, almeno su base annuale, perché i progetti cambiano continuamente”.

C’è poi il problema dello stoccaggio, per cui sono utili, oltre a moderni sistemi di batterie, anche metodi derivati da altre fonti rinnovabili come lo stoccaggio idroelettrico.

Nel suo ultimo rapporto , SolarPower Europe - la principale associazione dell’industria solare europea - ha stimato che di qui al 2030 sarebbe necessario che la capacità totale delle batterie crescesse di 16 volte, passando dai 48 GWh attuali a 780. Per  l’associazione sarebbe importante incentivare maggiormente gli operatori di rete a introdurre sistemi che rendano più flessibile l'uso dell'energia, come il Demand-Side Response (DSR), che permette agli utenti di modificare il proprio consumo di elettricità in base alle esigenze della rete, riducendolo temporaneamente (con l’aiuto delle batterie) nei momenti di massima richiesta e aumentandolo in quelli di massima produzione rinnovabile. A livello di politiche, invece, si dovrebbe lavorare per rendere i costi di connessione alla rete più convenienti nelle aree rurali. 

Anche i pannelli impattano

I limiti tecnici non sono l’unico ostacolo allo sviluppo del fotovoltaico nelle aree rurali. Pur suscitando meno controversie rispetto all’eolico, questa tecnologia pone comunque questioni ambientali, sociali ed economiche complesse.

Senza un’adeguata pianificazione, infatti, l’impatto ambientale del fotovoltaico può essere significativo, anche tralasciando i problemi relativi a tutta la filiera.

Nel suo libro Dalla parte del suolo, Paolo Pileri evidenzia le criticità legate agli impianti solari a terra: quelli su larga scala possono ridurre la materia organica del suolo, alterarne temperatura e umidità e compromettere la biodiversità, con possibili conseguenze anche sulla produttività agricola. Per questo i ricercatori raccomandano di collocare gli impianti su terreni abbandonati o poco produttivi, e gli studi utilizzati per questo articolo si riferiscono a tali aree. 

Tuttavia, le cronache riportano casi in cui accade l’opposto. In zone soggette allo spopolamento, affittare la terra a una compagnia energetica è spesso più conveniente che coltivarla, soprattutto se il proprietario e l’agricoltore non coincidono. Il rischio è che il fotovoltaico sottragga spazio all’agricoltura, poiché le aree più fertili - pianeggianti, soleggiate e facili da lavorare - sono anche le più ambite per gli impianti. Questo squilibrio alimenta il malcontento, con comunità che vedono trasformato il loro paesaggio senza benefici diretti.

A volte la protesta è esplicita, come nel caso del minuscolo abitato di Villar del Campo , in Castiglia e León, che si è opposta con tutte le sue forze a un progetto solare. Altre volte il dissenso è più silenzioso, ma diffuso. Inoltre, anche i terreni oggi incolti potrebbero tornare utili in futuro: la produzione alimentare è cruciale quanto l’energia, e con la crisi climatica ogni scelta va ponderata con attenzione.

Nonostante le promesse di rilancio economico per aree marginali, non sempre i grandi progetti riscuotono l’entusiasmo della popolazione. “L’esperienza del passato modella il presente”, commenta Murafa. “In Romania, finora le comunità rurali non hanno tratto grandi benefici dai progetti di energia rinnovabile sviluppati. La povertà è ancora diffusa, persistono problemi di fognature, mobilità, educazione. Molti proprietari hanno venduto la terra per cifre irrisorie e ora vedono i produttori fare enormi profitti, sentendosi esclusi. Dovremmo cercare soluzioni per coinvolgere meglio le comunità locali”.

Nel frattempo alcuni governi - sotto la pressione, più che delle popolazioni marginali, del comparto agricolo nel suo complesso - impongono crescenti restrizioni. Se l’Italia, nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, è arrivata a vietare i nuovi impianti fotovoltaici a terra nelle aree agricole, altri paesi come la Spagna, non hanno ancora una strategia nazionale per bilanciare agricoltura ed energia.

José Donoso, però, minimizza il problema: “Non c’è un vero conflitto. Per raggiungere gli obiettivi energetici basta una minima parte del territorio, e del resto ogni anno le terre abbandonate superano quelle occupate dagli impianti. Il vero problema dell’agricoltura è che spesso non è redditizia: il fotovoltaico aiuta a diversificare”.

La promessa dell’agrivoltaico

Per conciliare produzione energetica e agricoltura, molti ricercatori e decisori politici puntano sull’agrivoltaico, che combina pannelli solari e coltivazioni negli stessi appezzamenti, apportando, in molti casi, benefici sia per la produzione che per l’ambiente.

Secondo un altro rapporto del JRC , per raddoppiare la capacità fotovoltaica europea basterebbe convertire all’agrivoltaico appena l’1% della superficie agricola. Tuttavia, nonostante alcuni esempi su larga scala, come il progetto di Alhendín, vicino a Granada, questa pratica è ancora agli inizi, e manca una definizione condivisa a livello europeo che ne garantisca la compatibilità tecnica ed economica con l’agricoltura.

Soazig Darnay, geografa francese esperta di aree rurali e vigneti in Catalogna, invita a valutare con attenzione questa soluzione: “L’agrivoltaico viene presentato come una relazione vantaggiosa per tutti: da un lato, per esempio, i pannelli fanno ombra per gli animali al pascolo, dall’altro questi provvedono alla manutenzione del terreno. In Spagna però è già difficile trovare i pastori, e non sempre non c’è abbastanza erba. Se installi i pannelli devi spesso recintare i campi, impedendo l’accesso agli animali a meno di modifiche sostanziali alle pratiche agricole. Perché l’agrivoltaico possa davvero sostenere le campagne serve una volontà politica forte, ma non sempre c’è”.

Anche questa pratica ha bisogno di regolamentazione. La Francia, su pressione degli agricoltori, ha imposto limiti all’agrivoltaico, fissando al 40% la superficie massima occupabile e garantendo che la resa agricola non cali oltre il 10%. In altri paesi, invece, manca una regolamentazione chiara. 

Democrazia energetica e comunità

Oggi la crescita del solare è trainata da impianti su larga scala (oltre 1.000 kW), che nel 2024 hanno rappresentato il 42% del mercato, a scapito di quelli piccoli e pensati per l’autoconsumo, anche se questi - come il fotovoltaico su tetto nelle aree urbane - rappresentano ancora la maggioranza in termini numerici. Se da un lato i grandi impianti sono più efficienti, dall’altro riducono il protagonismo delle comunità e pongono incognite sulla promessa di democrazia energetica da sempre associata alle rinnovabili.

Un possibile equilibrio potrebbe arrivare dalle comunità energetiche, in cui i cittadini partecipano alla produzione e al consumo di energia, ottenendo risparmi in bolletta e un maggiore controllo sulle risorse locali.

Nel 2023 in Europa se ne contavano oltre 4.000, con quasi un milione di soci, ma la loro diffusione è disomogenea, con un forte divario tra aree urbane e rurali. Come emerge dal monitoraggio delle legislazioni ambientale europee di REScoop.eu , la federazione europea delle cooperative energetiche, a ostacolare lo sviluppo è spesso la mancanza di un quadro normativo chiaro articolato nei diversi paesi.

In Spagna, l’associazione Ecodes evidenzia come, nonostante la crescita del fotovoltaico, l’assenza di regole precise abbia favorito inizialmente il coinvolgimento di grandi gruppi come Repsol, che se da un lato hanno fornito mezzi e know-how, dall’altro hanno ridotto il coinvolgimento locale. Oggi il settore è molto più aperto ai progetti dal basso, ma solo l’11% delle nuove comunità energetiche è già effettivamente operativo.

Ancora più indietro è la Romania, dove nel 2024 si contavano appena 21 comunità energetiche. Spiega Corina Murafa: “La legislazione vigente è incompleta. Permette la loro creazione, ma non chiarisce come debbano operare, chi faccia cosa, e così gli attori sono di fatto bloccati. Per renderle operative è cruciale un quadro normativo che regolamenti il loro funzionamento e la condivisione dell’energia tra i membri, con direttive chiare sia dal ministero che dall’Autorità nazionale per l’energia”. Fortunatamente, aggiunge, “sondaggi effettuati nei villaggi romeni dicono che oltre il 40% degli abitanti conosce il concetto di comunità energetica e più del 70% vorrebbe farne parte”.

Anche utilizzando i criteri ambientali più severi e le politiche economiche e sociali più inclusive, il potenziale trasformativo del solare nelle campagne resta enorme. La vera incognita è se ci saranno la volontà, la capacità e il coordinamento necessari a coglierlo in fretta e senza creare ulteriori squilibri.

Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network  ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0

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