A metà marzo un report della Corte dei conti UE ha fatto il punto su conflitto di interessi e gestione dei fondi agricoli e per la coesione. Inserendo nell’analisi anche il caso della Romania
Fondi per la politica di coesione Ue e fondi investiti sull’agricoltura rappresentano più della metà del budget dell’Unione europea. Per fare un esempio, basti pensare che per il periodo finanziario 2021-2027, per il solo Fondo europeo di sviluppo regionale, del filone della coesione, l’UE ha stanziato ben 200,36 miliardi.
Sono fondi gestiti in modo concorrente tra Commissione europea e stati membri: la Commissione detiene la responsabilità generale in materia di bilancio mentre agli stati spetta il compito di rilevare e contrastare eventuali irregolarità.
E’ in questo contesto che la Corte dei conti europea, lo scorso 13 marzo, ha pubblicato una propria relazione in cui fa il punto sulla questione dei conflitti d’interesse nell’ambito dell’erogazione di questi fondi.
E' il risultato di un’indagine svolta raccogliendo dati e risposte a questionari da istituzioni internazionali, europee e nazionali. Sono stati tenuti colloqui con autorità nazionali e regionali di 4 stati membri dell’UE: Germania, Ungheria, Romania e Malta, scelti sulla base di criteri di struttura, dimensioni territoriali, fondi ricevuti, segnalazioni di conflitti di interessi all’OLAF (Ufficio per la Lotta Antifrode della Commissione) e posizione in diversi indici sulla corruzione. Sono stati coinvolti anche Lussemburgo e Italia in merito ad alcuni casi specifici di conflitti di interesse.
Nella sua relazione la Corte ha voluto verificare se le possibili irregolarità e illeciti nella gestione dei fondi vengono affrontate in modo opportuno dalla Commissione e dagli stati, soprattutto alla luce di una recente modifica alla normativa contenuta nell’articolo 61 del Regolamento Finanziario dell’UE, risalente al 2018, che ha ampliato gli oneri destinati ai gestori dei fondi di coesione e sull’agricoltura con l’obiettivo di prevenire più efficacemente i conflitti d’interesse.
Secondo la definizione del suddetto articolo sussiste un conflitto d’interesse “quando l’esercizio imparziale e obiettivo delle funzioni di chi partecipa all’esecuzione del bilancio dell’UE è compromesso da motivi familiari, affettivi, da affinità politica o nazionale, da interesse economico o da qualsiasi altro interesse personale diretto o indiretto”.
La Corte si è concentrata sulla valutazione di due aspetti principali nelle strutture statali e della Commissione: per prima cosa ha valutato se disponessero di un quadro normativo completo, comprensivo di procedure adeguate e programmi di sensibilizzazione, poi se avessero adottato misure per il rilevamento e la segnalazione di casi di conflitto di interessi.
Il quadro che emerge dall’indagine della Corte descrive una situazione non senza ombre. Nonostante la Corte riconosca gli sforzi fatti sia dalla Commissione che dagli stati, segnala importanti lacune in alcuni meccanismi e settori.
Nella relazione la Corte sottolinea che è soprattutto su trasparenza e individuazione e segnalazione dei casi di conflitti d’interesse che deve essere concentrato l’impegno.
La trasparenza della rendicontazione finanziaria e dei beneficiari dei fondi sono uno degli strumenti migliori per individuare preventivamente i conflitti d’interesse. A questo scopo la Commissione ha reso disponibile la piattaforma Kohesio , sulla quale è possibile trovare diverse informazioni sui progetti finanziati nell’ambito della Politica di Coesione. Per quanto riguarda invece i fondi della PAC i dati sui beneficiari sono disponibili sul sito .
La Corte però constata che esistono dei limiti alla possibilità di promozione della trasparenza, specificamente rappresentati dal divieto di rivelare l’identità dei beneficiari dei fondi PAC che ricevono fino a 1250 euro e dalle norme in materia di protezione dei dati personali. Queste ultime soprattutto rappresentano l’ostacolo principale per raggiungere un livello accettabile di trasparenza.
Altri rilevanti impedimenti agli sforzi volti ad assicurare trasparenza sono la macchinosità dei procedimenti amministrativi che partono dal livello locale e nazionale e il largo uso che gli stati fanno dell'autocertificazione come metodo di prevenzione dei conflitti d’interesse, un metodo ritenuto superficiale. Un risultato migliore si otterrebbe invece - secondo la Corte - attraverso l’implementazione di un sistema di rotazione del personale, una misura ritenuta necessaria ma purtroppo poco diffusa e non uniformemente applicata dagli stati.
Anche procedure consolidate per individuazione e segnalazione dei casi di conflitto d’interesse possono aiutare a ridurre il fenomeno. In questo senso la Corte raccomanda l’utilizzo di Arachne, uno strumento di estrazione dati il cui utilizzo può facilitare l’individuazione di segnali di rischio. Come riscontrato dalla Corte il suo utilizzo, non essendo obbligatorio, si attesta su percentuali piuttosto basse: quasi la metà degli intervistati in merito non usa la piattaforma (49 %) e un quarto non sa o non esprime nemmeno un'opinione in merito (25 %). Esempio calzante è il caso della Germania, che teme di incappare in situazioni di violazione della suddetta normativa a tal punto da non usare strumenti di estrazione dei dati come Arachne.
L’incompletezza delle segnalazioni è un’altra fonte di irregolarità individuata dalla Corte. Sono gli stati ad occuparsi della segnalazione delle irregolarità inoltrandole all’OLAF tramite un sistema noto come Irregularities Management System (IMF): ma non è obbligatorio che gli stati segnalino un’irregolarità in caso vi sia sia posto rimedio direttamente tramite l’autorità preposta e nel caso l’importo sia inferiore ai 10.000 euro. Per questo motivo ad oggi risultano segnalati all’OLAF soltanto 440 casi.
La Corte segnala nel suo report anche l’eccessiva frammentazione della normativa sul conflitto d’interesse all’interno dei vari stati. Un altro difetto individuato dall’indagine della Corte è la mancanza di un cambiamento netto nel quadro normativo dei singoli stati da quando è stata introdotta la modifica alla normativa nel 2018.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Work4Future" cofinanziato dall’Unione europea (UE). L’Ue non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina "Work4Future"
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