Marta Kos

Marta Kos al Parlamento europeo, novembre 2024 (© Unione europea 2024 – Fonte: Parlamento europeo)

L'ex diplomatica slovena Marta Kos guiderà le relazioni tra la Commissione europea e i Paesi che hanno chiesto di aderire all'UE. Uno sguardo alle priorità politiche dichiarate e alle prime reazioni da Bruxelles e dai Balcani occidentali

19/11/2024 -  Federico BacciniAdelheid Wölfl

Sarà la prima commissaria all'Allargamento proveniente da un Paese dell'ex Jugoslavia. La slovena Marta Kos avrà il compito di sovrintendere uno dei portafogli più cruciali per la prossima Commissione guidata da Ursula von der Leyen, con "un'energia uguale a quella nata dallo slancio storico" del grande allargamento dell'Unione di venti anni fa. "Sento la stessa motivazione e impegno", ha confermato Kos nella sua audizione alla commissione Affari esteri del Parlamento europeo, avvenuta il 7 novembre.

Fatta eccezione per la breve parentesi di sei mesi dello sloveno Janez Potočnik nella Commissione Prodi (che tra maggio e novembre 2004 aveva affiancato il tedesco Günter Verheugen dopo l'adesione della Slovenia all'Ue), non era mai accaduto che il portafoglio dell'Allargamento fosse assegnato a un rappresentante di un Paese balcanico. È qui che la sfida per l'ex ambasciatrice slovena in Germania e in Svizzera si farà interessante: sfruttare il capitale politico dell'esperienza dell'integrazione Ue per trasferirlo ai Paesi candidati, balcanici e non.

Le priorità della commissaria Kos

La carica che ricoprirà Kos tornerà a essere quella di commissaria "solo" all'Allargamento, senza la delega alla Politica di vicinato come era avvenuto negli ultimi 14 anni. "Completare ulteriormente la nostra Unione è un imperativo strategico, economico e morale", recita la lettera d'incarico della presidente Ursula von der Leyen alla nuova commissaria.

In questo processo "basato sul merito" Kos promette di essere "molto rigida", perché "possiamo accogliere solo i Paesi che chiudono tutti i capitoli negoziali e rispettano i valori europei". Gli obiettivi sono già tangibili – a suo dire – grazie alla "opportunità di chiudere i capitoli con il Montenegro entro fine 2026 e con l'Albania entro fine 2027".

Un altro pilastro sarà l'integrazione graduale dei Paesi candidati all'adesione, per "dimostrare non solo ai governi ma soprattutto ai cittadini che possono trarre vantaggi anche prima dell'ingresso". La futura commissaria si è detta disponibile a estendere questo approccio a nuovi settori, sottolineando poi più volte l'importanza di una campagna di comunicazione (nei Paesi candidati e negli attuali membri) per "diffondere informazioni affidabili, anche coinvolgendo influencer".

Chiaro l'impegno verso la società civile – "terrò incontri in ogni visita, e voglio duplicare i fondi dedicati" – e sul rispetto di stato di diritto, democrazia, libertà, uguaglianza e diritti umani: "L'articolo 2 del Trattato Ue deve essere la stella polare".

C'è poi il grande tema dell'Ucraina, sia per quanto riguarda gli sforzi per la ricostruzione sia per i negoziati di adesione. Sarà compito di Kos "guidare il sostegno continuo e sostenuto della Commissione" a Kyiv, ha messo in chiaro von der Leyen.

Con lo Strumento per l'Ucraina "siamo già al lavoro su riforme interne, ricostruzione con partner internazionali e sostegno agli investimenti privati", ha ricordato la futura commissaria, mentre i progressi sul fronte dell'adesione "dipenderanno dalla durata della guerra. La speranza è di avviare i negoziati sui cluster fondamentali a inizio 2025".

L'audizione di Kos ha toccato poi altri temi delicati per il suo mandato. Per esempio lo stallo dei negoziati per l’adesione della Macedonia del Nord, causato dall'opposizione di Skopje a emendare la Costituzione sulla questione delle minoranze: "Il governo macedone deve farlo, la controversia con la Bulgaria va ricomposta secondo i valori Ue".

Sul tema caldissimo della crisi politica in Georgia, che ha di fatto congelato il percorso di Tbilisi, Kos ha messo in chiaro che l'abrogazione delle due leggi che "calpestano valori europei" – quella sugli agenti stranieri e quella contro la comunità LGBTQI+ – è la "precondizione" per riaprire il dialogo.

Con la futura alta rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Kaja Kallas bisognerà "trovare nuove modalità se le cose non funzionano" sul fronte Serbia-Kosovo, ma in ogni caso "non prenderemo mai in considerazione uno scambio di territori", ha assicurato Kos.

Ultimo tema quello della migrazione, parte del portafoglio della commissaria slovena in coordinamento con il responsabile in pectore per gli Affari interni Magnus Brunner: "Allargamento e migrazione sono due facce della stessa medaglia, perché anche i futuri membri dovranno essere pronti a gestirla". Con un occhio rivolto all'accordo Italia-Albania, anche se "al momento lascia molto a desiderare".

Gli umori a Bruxelles

La figura di Marta Kos alla carica di commissaria all'Allargamento non ha sollevato particolari polemiche a Bruxelles, fatta eccezione per i membri del Partito Democratico Sloveno all'interno del Partito Popolare Europeo. In ogni caso "il Ppe è soddisfatto delle sue risposte", ha reso noto l'eurodeputato Matej Tonin, sottolineando di aver "prestato attenzione al suo passato poco chiaro". Il riferimento è alla presunta collaborazione di Kos con i servizi segreti jugoslavi prima dello scioglimento della Federazione, "illazioni" da cui Kos si è difesa ripetutamente. 

Le tre ore di domande e risposte al Parlamento europeo hanno garantito a Kos il voto favorevole di più di due terzi dei coordinatori dei gruppi politici in commissione Affari esteri (popolari, socialisti, Verdi, liberali e conservatori). Mentre il gruppo Europa delle Nazioni Sovrane si è diviso sull'approvazione, a votare contro sono stati quello di estrema destra di Patrioti per l'Europa e quello della Sinistra.

"Ci ha convinto il fatto di condividere gli stessi valori e priorità", ha spiegato lo spagnolo Nacho Sánchez Amor (S&D), a cui ha fatto eco il bulgaro Ilhan Kyuchyuk (Renew): "Avrà il compito di riportare la fiducia dei Paesi candidati e di convincere gli Stati membri a fidarsi di quelli alle porte dell'Unione". Sulla stessa linea il verde austriaco Thomas Waitz: "È a favore di un processo di allargamento basato su valori e sullo Stato di diritto".

Gli umori nei Balcani occidentali

Nei Paesi candidati dei Balcani, la nomina di Kos è stata accolta con cauto ottimismo. La nuova commissaria ha una certa familiarità con i Balcani occidentali e con le loro lingue: la sua stessa provenienza lascia sperare che la Commissione europea non si concentri solo sull'Ucraina.

Uno dei principali consiglieri di Kos sarà Marko Makovec, un funzionario della Commissione europea che conosce molto bene i Paesi balcanici candidati. Ma l’aspetto migliore di Kos è che non è Olivér Várhelyi: negli ultimi cinque anni l’ormai quasi ex commissario ungherese ha minato la credibilità dell'Ue nei Balcani occidentali con la sua politica unilaterale a sostegno di forze autocratiche e dell'influenza ungherese nella regione. 

Kos però non è un peso massimo della politica: non sarà facile per lei fare grandi passi avanti sull’allargamento. “Come la maggior parte dei leader dell'UE, Kos spenderà molte parole quando si parlerà di allargamento e Ucraina, ma probabilmente non compierà i molti passi avanti necessari”, ritiene Marko Lovec, politologo dell'Università di Lubiana.

Secondo lui, il cosiddetto “allargamento differenziato” è il meglio che gli stati dei Balcani occidentali possono realisticamente aspettarsi: non diventerebbero cioè membri dell’Ue a pieno titolo, ma parteciperebbero in alcune aree – come il mercato comune – senza ottenere pieni diritti di voto. 

In effetti, in tutti e sei gli stati dei Balcani occidentali, la speranza di poter entrare davvero nell'UE è diminuita drasticamente negli ultimi anni. Per questo motivo, la nomina di Kos non è considerata decisiva da nessuno. 

Nei prossimi cinque anni, il Montenegro è l'unico Stato della regione che potrebbe fare dei progressi concreti e avvicinarsi all'adesione: per questo a Podgorica si pensa che Kos si concentrerà sul piccolo stato.

Molto più basse le speranze in Bosnia Erzegovina, dove comunque Kos gode di un certo credito visto che la Slovenia è uno dei pochi stati membri che sostiene con convinzione da anni l'allargamento.

Tuttavia, come accade da decenni, il governo della Bosnia Erzegovina non sta facendo alcuna riforma, tanto che di recente non è stato possibile erogare nemmeno la prima rata del piano di crescita stanziato dall'UE (75 milioni di euro). Il problema principale è che la leadership politica della Republika Srpska, soprattutto Milorad Dodik, non è assolutamente interessata ad aderire all'UE. 

La Serbia, invece, negli ultimi dieci anni ha fatto dei passi indietro per quanto riguarda la libertà dei media e di espressione, la democrazia e la trasparenza. Il governo, in realtà guidato dal presidente Vučić, agisce in modo autocratico e non ci sono segnali che possano far pensare a un cambiamento. Certo, la Serbia vuole ricevere fondi dall'UE e li sta ottenendo – ma l'adesione è impossibile per il momento, anche per la vicinanza politica del governo con la Russia. 

Non essendo ancora stato riconosciuto da tutti i Paesi dell'UE, il Kosovo non ha nemmeno lo status di candidato. Al centro della politica europea nei confronti del Kosovo c’è il tentativo di mediare e sopire le tensioni con la minoranza serba e la Serbia stessa – ma Kos non avrà la responsabilità di guidarlo, quindi la sua nomina non ha attirato particolari attenzioni a Pristina. È tuttavia considerato positivo il fatto che provenga da uno Stato che riconosce il Kosovo e non agisce unilateralmente a fianco della Serbia, come era invece l'Ungheria di Várhelyi.

La dichiarazione più importante fatta da Kos durante la sua audizione al Parlamento europeo è stata la sua opposizione a possibili scambi territoriali su base etnica tra Kosovo e Serbia. A fronte di aperture espresse dalla prima amministrazione Trump negli Stati Uniti, negli ultimi anni anche politici e diplomatici europei come l'ex commissario all’allargamento Johannes Hahn o l'ex Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina Wolfgang Petritsch avevano segnalato una certa disponibilità a ragionare su spostamenti dei confini. 

La questione è di importanza cruciale non solo per la regione, ma per l'Europa nel suo complesso, dato che qualsiasi modifica su base etnica dei confini nei Balcani potrebbe portare alla destabilizzazione. Per questo motivo l’arrivo di una nuova amministrazione Trump – che mantiene stretti legami con Vučić – è assai temuta nei Balcani occidentali. Da questo punto di vista, la fermezza mostrata da Kos sulla questione del confine serbo-kosovaro risulta ancora più importante. 

 

Questo articolo è stato prodotto in collaborazione con la testata austriaca Der Standard nell'ambito di PULSE, un'iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.


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