© Tomasz Bidermann/Shutterstock

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È bastato che un cittadino russo, putiniano e sostenitore dell’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del sud, si sedesse sulla poltrona del presidente dell’Assemblea parlamentare georgiana, per far scatenare l’opposizione parlamentare e la piazza di Tbilisi. Che ora chiede che si torni al voto

24/06/2019 -  Monica Ellena

La politica è l’arte del compromesso, ma per i georgiani la libertà fa eccezione ed è un valore sul quale non si accettano mediazioni. E il governo sta pagando un prezzo alto per averlo sottovalutato. Da giovedì 20 giugno migliaia di georgiani protestano nel centro della capitale Tbilisi contro l’influenza russa nel paese: la violenza del primo giorno è sfumata, ma gli animi non si sono placati e i manifestanti hanno fatto voto di rimanere in piazza finché il ministro dell’Interno non se ne sarà andato, finché tutti i fermati dei giorni scorsi non saranno liberi e il governo non avrà indetto nuove elezioni.

Il rapporto con Mosca è da sempre complesso in Georgia e il Sogno georgiano (Georgian Dream, GD), al governo dal 2012, ha scelto la strada del confronto con il Cremlino in una decisa inversione di tendenza dallo scontro che aveva caratterizzato la politica dell’ex presidente Mikhail Saakashvili e che nell’agosto 2008 era sfociata nel conflitto con la Russia per il controllo della regione separatista dell’Ossezia del sud.

Ma i disordini degli ultimi giorni sono il chiaro segnale che tra il tenere fede al sogno dell’integrazione Euro-atlantica e mantenere aperto il dialogo con Mosca c’è una sottile e fragile linea rossa che un deputato russo seduto sulla poltrona del presidente dell’assemblea parlamentare georgiana ha oltrepassato e che i georgiani non hanno perdonato alla propria leadership. In un frenetico susseguirsi di eventi la piazza ha ribadito che considera la Russia, che controlla direttamente le regioni separatiste di Abkhazia e Ossetia del Sud, una forza occupante. Nel 2008 il Cremlino ha riconosciuto l’indipendenza delle due regioni, di fatto fuori dal controllo di Tbilisi dalla metà degli anni Novanta, e mantiene basi e truppe in entrambi i territori. Centinaia di manifestanti hanno indossato una benda rossa su un occhio con la scritta “20%” a indicare che Mosca occupa il 20 percento del paese.

L’obiettivo però è il presidente Vladimir Putin: "Molti russi ci sostengono, e la Georgia è, e deve rimanere, per loro un’isola di libertà", ha detto alla folla Lasha Bughadze, scrittore e popolare personaggio televisivo. "Non confondete la popolazione con Putin".

Cronaca di una protesta (in)aspettata

La miccia che ha innescato la protesta ha passaporto russo e si chiama Sergey Gavrilov, nome sconosciuto ai più e che sarebbe rimasto tale se giovedì scorso non si fosse seduto sulla poltrona del presidente dell’Assemblea parlamentare georgiana nel corso della riunione d’apertura dell’Assemblea interparlamentare sull’ortodossia, entità altrettanto oscura che, si sa ora, si occupa di rafforzare le relazioni tra i legislatori dei paesi cristiano-ortodossi.

La mossa di Gavrilov ha acceso la reazione dell’opposizione che ha reagito vestendo la bandiera georgiana e interrompendo la sessione. Gavrilov, politico vicino a Putin, è un sostenitore dell’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del sud. La sua presenza in Georgia il 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato, ha avuto un peso maggiore alla luce dei quasi 300mila sfollati georgiani che ad oggi non possono tornare a casa a causa dei conflitti irrisolti con le due regioni.

Dagli scranni la rabbia è sfociata in piazza attraverso un fulmineo tam-tam sui social network. In poche ore la folla radunatisi di fronte al parlamento, nella centrale Rustaveli Avenue, si è gonfiata passando da poche centinaia ad alcune migliaia. La protesta si è trasformata presto in critica aperta verso il governo reo di debolezza, se non condiscendenza, verso il Cremlino.

Ai manifestanti che tentavano di forzare l'entrata del parlamento la polizia antisommossa ha reagito con gas lacrimogeni e proiettili di gomma, abitualmente usati contro animali selvatici. Risultato: 240 feriti tra poliziotti e manifestanti, centinaia di fermi, e un governo in imbarazzo per il quale non sono bastate le dimissioni del presidente del parlamento, Irakli Kobakhidze, e di Zakaria Kutsnashvili, deputato GD che aveva promosso l’ormai infausta assemblea.

"Hanno fatto cadere due teste, ma è irrilevante, erano due marionette", spiega Natali Kinkadze, attivista e co-fondatrice dell'impresa sociale Generator 9.8. Marionette, a suo avviso, di Bidzina Ivanishvili, fondatore del partito al governo, l’uomo più ricco del paese con una fortuna personale valutata in €5.3 miliardi, ovvero circa un terzo dell’intero prodotto interno lordo.

Le richieste ora sono le dimissioni di Giorgi Gakharia, ministro degli Interni, la liberazione di tutti i dimostranti arrestati ed elezioni parlamentari anticipate, al momento previste per il 2020, con un nuovo meccanismo proporzionale invece dell'attuale sistema misto.

Ciò che non ci distrugge ci rende più forti

I media russi hanno etichettato i disordini come esempio di una “russofobia” dilagante, ironizzando sui metodi lacrimogeni della democrazia occidentale. Il vice ministro degli Esteri Grigoriy Karasin ha parlato a Interfax di "un baccanale di forze radicali che stanno facendo di tutto per interferire nelle relazioni bilaterali tra i due paesi", inclusi il tavolo negoziale dei colloqui di Ginevra relativi alle regioni separatiste.

La reazione formale di Mosca è stata l’approvazione di un decreto che sospende temporaneamente i voli delle compagnie aeree russe verso la Georgia dall'8 luglio – una misura dettata, secondo il ministero dei Trasporti russo, "dalla necessità di garantire un livello di sicurezza aerea sufficiente" e di proteggere i cittadini russi da eventuali ritorsioni.

Nonostante le relazioni diplomatiche si siano interrotte nel 2008, i turisti russi – o di lingua russa proveniente dai paesi ex-Urss – rappresentano una fetta importante del boom turistico georgiano degli ultimi anni. È scomparsa la segnaletica in cirillico ma la lingua è parlata ovunque, nei bar alla moda di Tbilisi, sulle spiagge del Mar Nero e sui sentieri montani del Caucaso. Gli osservatori però stemperano i timori che la moratoria possa piegare l’economia.

"Onestamente non credo ci sia da preoccuparsi, si tratta più di una mossa simbolica che di una vera e propria minaccia. I russi sono aumentati in modo sostanziale dal 2011, ma non la fanno da padrone", spiega a OBC Transeuropa Fady Asly, presidente della Camera internazionale per il commercio e uomo d’affari libanese che vive in Georgia dagli anni Novanta. "Transparency International ha calcolato che se nessun turista russo dovesse visitare il paese a partire dal 9 luglio le perdite per il 2019 sarebbero nell’ordine 100 milioni di dollari, circa il 3 percento delle entrate del settore. E comunque oltre il 60 percento dei turisti russi arriva in Georgia via terra. Se poi Mosca dovesse scegliere un nuovo embargo sull’importazione dei vini, beh, ci siamo già passati ed è stata la cosa migliore che potesse succedere al vino georgiano".

Nel 2006 il blocco delle importazioni di vino da Georgia e Moldavia introdotto da Mosca per ragioni politiche mise in ginocchio la produzione vitivinicola di entrambi i paesi che esportavano in Russia circa l’80 percento dell’intera produzione. I viticoltori reagirono con una profonda ristrutturazione produttiva e un ritorno ai metodi tradizionali, che migliorarono la qualità, aprendo nuovi canali commerciali. Quando nel 2013 l’embargo cessò il vino georgiano era ormai venduto dagli Stati Uniti alla Cina.

Di fronte al blocco aereo i georgiani hanno reagito immediatamente. Mamuka Kazaradze, co-fondatore e presidente del gruppo finanziario TBC Group che fa capo alla principale banca del Paese, l’omonima TBC Bank, si è detto pronto a finanziare 10 aerei charter per portare in Georgia turisti ucraini. La rete poi è partita con la campagna #spendyoursummeringeorgia (trascorri la tua estate in Georgia) per sostenere il turismo nel paese: lanciata sabato 22 giugno ha raccolto 67mila adesioni in 24 ore.

Tbilisi Pride

I disordini hanno anche avuto un effetto diretto su quello che doveva esser il primo Tbilisi Pride. Gli organizzatori, guidati dagli attivisti Tamaz Sozashvili e Giorgi Tabagari, hanno cancellato l’evento, previsto per sabato 22 giugno, affermando che "alla luce della situazione attuale Tbilisi Pride ha deciso di posticipare la Marcia della Dignità di alcuni giorni e di unirsi alle proteste davanti al Parlamento".

Una decisione non facile, presa dopo mesi trascorsi a raccogliere risorse e consensi a fronte di una forte pressione di gruppi religiosi e dell’estrema destra. L’influente patriarcato ortodosso aveva esortato il governo a vietare la manifestazione, descrivendola come una provocazione inaccettabile volta a promuovere “il peccato di Sodoma,” mentre il miliardario ultra-conservatore Levan Vasadze aveva minacciato la formazione di unità di vigilanza per fermare la marcia. Il governo da parte sua aveva messo in guardia dai rischi di violenza affermando che non poteva garantire la sicurezza dei partecipanti.

"Siamo stanchi di aver paura, vogliamo esistere negli spazi pubblici, è arrivato il momento di uscire allo scoperto", aveva spiegato a OBC Transeuropa Giorgi Tabagari prima della decisione di annullare la marcia. "Vogliamo che Tbilisi Pride sia un trampolino per lanciare una conversazione seria, a livello nazionale, sui problemi e la discriminazione che affrontiamo ogni giorno".

Il team di Tbilisi Pride è stato oggetto anche di minacce di morte - lo scorso 19 giugno ha dovuto evacuare l’ufficio – ma è comunque riuscito a realizzare due degli eventi previsti, una rappresentazione teatrale e una conferenza, che si sono svolti senza incidenti.


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