I partner occidentali rispondono all'appello della presidente Zourabichvili e si muovono per supportare la ricerca della verità su tutte le segnalazioni di brogli elettorali. Ma il premier ungherese Orbán, in viaggio a Tbilisi per garantire supporto agli alleati di Sogno Georgiano, scava un ulteriore solco con Bruxelles
La cautela diplomatica si sta finalmente dissolvendo. E sul lungo periodo proprio il sangue freddo delle capitali occidentali potrebbe rivelarsi il sostegno più efficace per i cittadini georgiani scesi in piazza a migliaia per protestare contro quanto andato in scena dentro e fuori le urne il 26 ottobre, nel giorno delle elezioni in cui "è stato rubato il nostro voto e il nostro futuro".
Dopo due giorni di temporeggiamento, a Bruxelles e Washington si sta facendo sempre più netta la richiesta di chiarezza sulle centinaia di foto e video che denunciano brogli e violenze, così come sui report delle organizzazioni di osservazione elettorale che stanno presentando i contorni di un ampio schema di frodi elettorali da parte del partito al potere Sogno Georgiano.
Non è qualcosa di poco conto, se si considerano le parole della presidente Salomé Zourabichvili. Prima ha fatto un appello ai partner europei e statunitensi di "essere di nuovo al nostro fianco, queste elezioni non erano legittime e nulla può renderle tali", e poi dal palco allestito di fronte al Parlamento il 28 ottobre ha aperto la manifestazione di protesta mettendo in chiaro che tutti i leader "insistono sul fatto che dobbiamo continuare le indagini e portarle a termine, potremmo persino ricevere il sostegno internazionale per garantire che siano approfondite e non lascino nessuna domanda senza risposta".
Per soddisfare la richiesta di "verità" delle decine di migliaia di manifestanti georgiani, la risposta più solida che può arrivare da Bruxelles e Washington è proprio un supporto alle indagini che rendano incontestabile la necessità di tornare al voto. Anche considerato che dall'altra parte dello spettro politico - più vicino al Cremlino - il partito al potere in Georgia sta cercando disperatamente legittimazione internazionale. Come quella del primo ministro più problematico tra tutti i 27 leader Ue, l'ungherese Viktor Orbán, che ha viaggiato a Tblisi tra il 28 e il 29 ottobre per sostenere i suoi alleati.
L'allarme sulle violazioni elettorali
A far emergere le "profonde preoccupazioni" dell'Ue sulle violazioni elettorali è stata la delegazione di sette eurodeputati parte della missione di osservazione Osce/Odihr. Presentando i propri risultati preliminari in conferenza stampa a Tblisi, il capo-delegazione Antonio López-Istúriz White (Partito popolare europeo) ha ricordato che durante la campagna elettorale "il partito al governo ha usato una retorica anti-occidentale e ostile, prendendo di mira i partner democratici della Georgia, in particolare l'Unione europea" e ha promosso "la disinformazione, manipolazione e teorie cospirative russe".
Nella giornata elettorale si è poi assistito alle scene più sconcertanti: "Violenze, intimidazioni, incitamenti all'odio, persecuzioni e repressioni contro l'opposizione, la società civile e i media indipendenti", oltre a "telecamere in tutti i seggi", "aggressione fisica degli osservatori che cercavano di denunciare le violazioni", "stralcio dei reclami", "intimidazione degli elettori all'interno e all'esterno dei seggi".
Tutto questo testimonia secondo López-Istúriz White il "regresso democratico in Georgia", di cui le elezioni del 26 ottobre "ne sono state purtroppo la prova", con il rischio che "possa minare seriamente il processo politico".
Parlando con OBCT a margine della conferenza stampa, l'eurodeputata ceca Markéta Gregorová (Verdi/Ale) ha confessato di "non aver condiviso" la scelta del Parlamento europeo di adottare in sessione plenaria una risoluzione sulle elezioni in Georgia prima del voto: "Ci lascia meno margine di manovra per una nuova risoluzione con ciò che abbiamo osservato". In ogni caso ora la delegazione dovrà riportare in commissione per gli Affari esteri (Afet) i risultati dell'osservazione e della valutazione sul campo: "Poi si dovrà decidere cosa fare, io personalmente sono a favore di una nuova risoluzione", anticipa Gregorová.
A muoversi in modo più deciso sono stati poi i ministri di 13 Paesi Ue, a seguito delle intense telefonate con la presidente Zourabichvili tra il 27 e il 28 ottobre. "Condanniamo ogni violazione delle norme internazionali per elezioni libere ed eque", si legge nella dichiarazione congiunta dei rappresentanti dei governi di Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca e Svezia.
Condividendo le preoccupazioni degli osservatori internazionali, la richiesta è quella di "un'indagine imparziale sulle denunce e un rimedio alle violazioni accertate", con un avvertimento al governo: "Le violazioni dell'integrità elettorale sono incompatibili con gli standard che ci si aspetta da un candidato all'Unione europea".
La Georgia nell'agenda delle istituzioni Ue
Stimolate dal contemporaneo rilievo del segretario di Stato Usa Antony Blinken sul fatto che "gli osservatori internazionali non hanno dichiarato che il risultato è stato libero ed equo" e che è necessaria "un'indagine completa su tutte le segnalazioni di violazioni elettorali", le istituzioni Ue hanno sposato la stessa linea, abbandonando gradualmente la cautela del giorno successivo alle elezioni.
"Il popolo georgiano ha lottato per la democrazia, ha il diritto di sapere cosa è successo questo fine settimana", è stato l'affondo quasi inaspettato da parte della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a poche ore dalle proteste di piazza a Tbilisi: "Ha il diritto di vedere che le irregolarità siano indagate in modo rapido, trasparente e indipendente, perché elezioni libere ed eque sono al centro dei valori europei".
Un'esortazione che nella giornata del 29 ottobre ha spinto anche l'alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell a rincarare la dose, convocando una discussione "urgente" del Comitato politico e di sicurezza: "Gli osservatori internazionali hanno segnalato violazioni durante la campagna elettorale e il giorno delle elezioni, inoltre non hanno dichiarato che le elezioni sono state libere ed eque".
La richiesta è quella di un'inchiesta "trasparente e rapida" su "irregolarità, pressioni e intimidazioni nei confronti degli elettori che hanno inciso sulla fiducia dei cittadini nel processo", perché possa essere invertito "l'arretramento democratico" nel Paese caucasico. La questione sarà nell'agenda del Consiglio Affari Esteri del 18 novembre, ma prima sarà discussa al vertice informale dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue in programma a Budapest l'8 novembre. "Valuteremo la situazione e stabiliremo le prossime tappe delle nostre relazioni con la Georgia", ha anticipato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel.
Il sostegno di Orbán a Sogno Georgiano
Quasi per uno scherzo del destino, il Consiglio europeo informale con il tema delle elezioni in Georgia in agenda sarà ospitato a casa del premier ungherese Orbán, lo stesso che non ha tentennato nel celebrare il successo di Sogno Georgiano e nel fornire il sostegno del suo governo nella fase post-elettorale.
Orbán è attualmente il presidente di turno del Consiglio dell'Unione Europea (fino al 31 dicembre) e ha deciso di sfruttare questi sei mesi di riflettori per spingere la sua agenda nazionale e stringere i legami con i partner più affini, tentando di far passare le sue scelte come la posizione ufficiale dell'intera Unione. Lo stesso schema che Orbán ha messo in campo a luglio in Russia con Vladimir Putin, in Cina con Xi Jinping e negli Stati Uniti con Donald Trump si sta ripetendo ora con la Georgia dell'oligarca Bidzina Ivanishvili e del suo primo ministro Irakli Kobakhidze.
Il premier ungherese ha tutto l'interesse nell'aumentare la propria influenza nei Paesi interessati dal processo di allargamento dell'Unione europea, e la preferenza verso i regimi più illiberali non è certo una novità. Lo sta facendo da anni con la Serbia di Aleksandar Vučić, con la Bosnia Erzegovina - nell'entità a maggioranza serba presieduta da Milorad Dodik - e con la Macedonia del Nord ora guidata dalla destra nazionalista. Ecco perché nel giorno delle elezioni, ancora prima che fossero annunciati i risultati preliminari, Orbán si è congratulato su X con il premier Kobakhidze e con il partito Sogno Georgiano "per la loro schiacciante vittoria", invocando il fatto che "il popolo della Georgia sa cosa è meglio per il suo Paese e oggi ha fatto sentire la sua voce".
Nella struttura e nelle aspirazioni di occupare tutte le istituzioni nazionali a ogni livello, Sogno Georgiano prende a modello proprio Fidesz, il partito del primo ministro ungherese. Per questo motivo, nella ricerca di un immediato riconoscimento europeo del risultato delle elezioni, Kobakhidze si è rivolto a Orbán, sapendo di intercettare il suo interesse: l'invito per una visita ufficiale è stato accolto e a Tbilisi sono arrivati, insieme al premier ungherese, anche il ministro degli Esteri Péter Szijjártó, quello dell'Economia Márton Nagy e quello delle Finanze Mihály Varga.
"I risultati elettorali sono indiscutibili, si sono tenute elezioni libere e democratiche, anche se in Europa ci saranno ancora dibattiti e discussioni", è stata la provocazione di Orbán al resto dell'Unione, durante la conferenza stampa con l'omologo georgiano: "Non bisogna prenderlo troppo sul serio, è un fatto comune ogni volta che vincono partiti intrinsecamente conservatori".
Secca la reazione sia della Commissione europea sia dei 13 ministri Ue alla "prematura" visita a Tbilisi: "Il primo ministro ungherese non parla a nome dell'Unione europea".
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