Le relazioni tra Grecia e Turchia si sono costantemente deteriorate negli ultimi anni, facendo temere uno scontro tra i due paesi. Il terremoto che ha devastato la Turchia il 6 febbraio, però, ha aperto nuovi spazi di solidarietà e di dialogo
La giovane donna si ferma un attimo per riprendere fiato. Guance arrossate, capelli arruffati, mani indaffarate spolverate di polvere di gesso bianco. Sembra che lavori da ore. Ha in mano un grosso cartone con un'etichetta sia in greco che in turco, con la scritta "scarpe per bambini", fatta da un altro volontario.
A chiedere l'anonimato sono di solito le persone intervistate su questioni controverse, legali o delicate; stavolta si tratta di una giovane studentessa che sta facendo volontariato per aiutare ad alleviare il trauma delle persone colpite dai devastanti terremoti in Turchia, in un'immensa campagna di solidarietà avviata da governo greco, società civile greca e sindacati locali.
Intuendo la sorpresa, la donna si affretta a fornire una spiegazione, anche se per discrezione non le è stata chiesta.
“Solo la scorsa settimana la Turchia era il peggior nemico della Grecia; eravamo quasi sull'orlo della guerra. Vengo qui ogni giorno per aiutare, perché sento davvero che dovrei. Ma vengo da sola, non ne parlo sui social, non lo dico a nessuno”, dice la giovane. “Sto studiando per diventare diplomatico e spero che un giorno ci riuscirò. Ora siamo amici della Turchia, ma presto questo potrebbe cambiare di nuovo. Succede sempre. Quello che ora viene visto come un atto di solidarietà potrebbe avere una lettura diversa domani. Il mio sogno è diventare un ambasciatore; sarebbe un bene o un male per la mia carriera essere considerata filo-turca?”.
L'anonima aspirante diplomatica si accorge improvvisamente di avere ancora in mano quella scatola, che ora sembra troppo pesante per la sua figura minuta.
"Dallo pure a me", dice un giovane soldato, che prende rapidamente il cartone e se lo porta in spalla dall'altra parte dell'atrio, dove si accumulano dozzine di scatole di contenuto simile. Il municipio di Salonicco si è trasformato in un magazzino con centinaia di scatole contenenti vestiti, cibo e forniture mediche. Ogni cinque o dieci minuti un'altra macchina si ferma davanti all'ingresso laterale e gente comune scarica buste di plastica, valigie o scatole di cartone contenenti aiuti umanitari. I volontari ricevono le donazioni e le classificano per articolo.
L'artista Aristeia Elbasidou è fra i volontari più assidui, spinta ad unirsi agli sforzi collettivi da un bisogno interiore di aiutare.
“Abbiamo così tanta cultura condivisa con i turchi. È la propaganda che avvelena le nostre relazioni. La colpa è sia dei politici greci che di quelli turchi. Credo che le nostre relazioni bilaterali rimarranno buone a livello politico per i pochi mesi in cui l'aiuto offerto rimarrà sotto gli occhi dell'opinione pubblica”, sostiene Elbasidou. “Non appena questo sarà dimenticato, i politici potrebbero riportarci a come eravamo prima. Tuttavia, credo onestamente che il popolo turco non dimenticherà mai la nostra solidarietà”.
Il municipio è solo uno dei tanti punti della città dove si raccoglie materiale, ma sicuramente il più frequentato, con orario di lavoro dalle 07.00 alle 19.00. La chiamata ai volontari è stata condivisa sui social, ma anche per passaparola.
La maggior parte dei volontari ha poco più di vent'anni, ma ci sono anche anziani, tra cui alcuni pensionati. Alcuni sono arrivati in gruppi, in rappresentanza di istituzioni statali, ONG indipendenti o aziende, mentre altri si sono presentati spontaneamente. Il carico di lavoro è tale che tutti sono messi immediatamente al lavoro.
Anche altre città della Grecia settentrionale hanno mostrato il desiderio di aiutare. L'avvocata Vivian Lada è responsabile dei programmi di sviluppo della rete cittadina "AGROVOIO", nella regione della Macedonia occidentale, e co-fondatrice dell'organizzazione della società civile "Humans First", con sede a Siatista, Kozani.
Avendo una buona padronanza della lingua turca ed esperienza in diversi programmi di scambio sostenuti dalla Commissione europea, anche Lada vede nella propaganda il fattore principale dietro le turbolente relazioni bilaterali tra Grecia e Turchia. Ad OBCT spiega come, pur non essendo un modo ideale per trovare soluzioni alle impasse di politica estera, la diplomazia del terremoto potrebbe essere un trampolino di lancio per una revisione e un riordino delle cose.
“In quanto figli del Mediterraneo condividiamo le stesse preoccupazioni climatiche e ambientali e, purtroppo, condividiamo anche la paura dei terremoti... era quindi naturale che in un momento di assoluta distruzione e lutto, la società greca rispondesse in questo modo umano e del tutto normale, mostrando il suo sostegno comune per un popolo che soffre”, afferma Lada. “Oltre alle azioni diplomatiche, c'è bisogno di agire come società civile; dovremmo attuare iniziative che da un lato allevino le difficoltà delle persone colpite e dall'altro creino legami reali tra i popoli, basati su sentimenti puri, umani, liberi dai pregiudizi del passato e dalla propaganda del presente”.
Diplomazia del terremoto e vecchi nemici
Il giorno stesso del disastro, il 6 febbraio, la Grecia ha risposto rapidamente inviando 25 soccorritori addestrati dell'EMAK, un'unità specializzata in soccorso in caso di calamità che fa parte dei vigili del fuoco ellenici, due cani da salvataggio e un aereo da trasporto C-130 decollato dall'aeroporto militare di Elefsina.
Sul “campo di battaglia”, molti soccorritori greci riformulavano la famigerata dichiarazione del presidente Erdoğan e ripetevano quello che sarebbe diventato lo slogan della missione ellenica: “Eravate soliti minacciarci che sareste venuti una notte inaspettatamente, invece un giorno siamo arrivati inaspettatamente noi, ed era per aiutarvi”.
Nei giorni dopo il disastro, i media locali trasmettevano maratone di storie eroiche da Hatay, Antakya e regioni vicine, precedentemente sconosciute alla maggior parte dei greci. Secondo i dati ufficiali, al 10 febbraio la Grecia aveva già inviato 90 tonnellate di aiuti umanitari attraverso i suoi meccanismi di Protezione Civile e altri nei giorni successivi.
La Croce Rossa Ellenica (HRC) ha inviato in Turchia 2 missioni umanitarie, rispettivamente il 21 e 24 febbraio, per un totale di 60 tonnellate circa, ma anche camion, mezzi di soccorso, personale addestrato e volontari. Secondo il comunicato stampa ufficiale dell'HRC, gli aiuti umanitari sono stati raccolti "grazie all'amore e dalla solidarietà del popolo greco in tutto il paese".
Diplomazia del terremoto Grecia-Turchia: dal 1999 al 2023
Non è la prima volta nella storia moderna che le relazioni greco-turche vengono “salvate” dalla solidarietà mostrata durante un disastro. Negli anni '90 le relazioni diplomatiche avevano toccato il fondo. La crisi di Imia/Kardak del gennaio 1996 aveva addirittura portato i due paesi sull'orlo di un conflitto armato. La situazione cambiò tuttavia, il 17 agosto 1999, quando il terribile terremoto nella regione di Marmara in Turchia scatenò un'immensa ondata di solidarietà dalla Grecia. Solo un mese dopo, fu il popolo turco a esprimere la propria solidarietà agli ateniesi dopo il forte terremoto del 7 settembre 1999.
Per uno strano caso del destino, proprio come allora, la tragedia turca è stata recentemente seguita da un mortale incidente in terra greca. L'incidente ferroviario avvenuto il 28 febbraio a Tempi è stato il più grande del suo genere nella storia greca, provocando 57 vittime (dati condivisi il 6 marzo 2023) e ondate di rabbia pubblica. I turchi sono stati tra i primi a esprimere la loro solidarietà.
Molti analisti di entrambe le parti hanno confrontato la situazione odierna con il riavvicinamento del 1999. Certamente ci sono tratti comuni, ma il quadro generale è diverso. Allora il terremoto aveva rafforzato gli sforzi diplomatici in atto, in un clima politico che favoriva il dialogo. In altre parole, le relazioni tra i due paesi stavano già mostrando segni di miglioramento.
In un articolo del 2006, il professor Dimitris Keridis analizza come, prima dell'incidente, i cambiamenti al ministero degli Esteri greco avessero preparato il terreno per un miglioramento dei rapporti. Aveva giocato un ruolo chiave la nomina di un nuovo ministro degli Esteri favorevole al riavvicinamento: George Papandreou era succeduto a Theodoros Pangalos, che era stato costretto a dimettersi; di conseguenza, Atene aveva avviato un nuovo ciclo di dialogo con Ankara.
Secondo Keridis, uno dei temi su cui i due paesi avevano trovato un terreno comune era la loro posizione nella crisi del Kosovo nella primavera del 1999; sia la Grecia che la Turchia erano “fermamente impegnate per l'inviolabilità dei confini e la protezione dei diritti delle minoranze etniche”.
Quello che è seguito ai disastri umanitari del 1999 è stato un periodo di graduale miglioramento delle relazioni, in cui entrambi i paesi si sono concentrati sulla cooperazione piuttosto che sulla rivalità. Anche il sostegno della Grecia alla prospettiva europea della Turchia dovrebbe essere visto come il frutto di una diplomazia sismica di successo.
Le tensioni tra i due paesi si sono nuovamente intensificate nel 2020 a causa delle rilevazioni sismiche condotte dalla nave turca Oruç Reis nelle aree della piattaforma continentale greca vicino alle isole Castellorizo, Rodi e Karpathos. Nonostante i segnali di allentamento, quell'anno segnò l'inizio di un periodo di continue turbolenze su una serie di questioni, dagli interessi conflittuali di lunga data nell'Egeo alle diverse posizioni sulla guerra della Russia contro l'Ucraina, dalle controversie relative all'energia che coinvolgono Cipro e Libia ad una serie di dissapori sulla gestione della crisi dei profughi.
La storia dimostrato che, affinché la diplomazia dei terremoti sia sostenibile, dovrebbe essere costruita questa volta su fondamenta durature di cooperazione, che richiedono l'impegno di entrambe le parti. Grecia e Turchia dovrebbero prendere in considerazione l'avvio di un serio processo di riconciliazione, con un dialogo approfondito e orientato alla soluzione.
Senza un impegno politico orientato al futuro, le iniziative dal basso che stanno (ri)fiorendo saranno destinate a rimanere, ancora una volta, solo una bella parentesi.
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