Come raccontare il fenomeno migratorio? Come rispettare i diritti di richiedenti asilo, rifugiati e minoranze? Il caso della Grecia e la proposta della "Carta di Idomeni"
Con oltre 1.300.000 richieste d’asilo in Europa nel 2015 e più di 1 milione di arrivi via mare nel corso dello stesso anno, il 2015 ha segnato in Europa un deciso incremento di notizie sui fenomeni migratori. Le redazioni di molti paesi europei si sono quindi trovate ad affrontare quotidianamente questi temi.
In Grecia – il principale paese Ue per arrivi lo scorso anno - i media stanno sperimentando con particolare intensità la difficoltà di fare informazione sulla presenza di richiedenti asilo nel paese. Se per l’Italia la copertura mediatica del fenomeno migratorio è monitorata dall’Osservatorio carta di Roma , in Grecia non esiste ancora uno strumento simile. E' per colmare questo vuoto che l’Unione dei Giornalisti di Macedonia e Tracia (ESIEMTH) ha recentemente lanciato la proposta di adottare la “carta di Idomeni”, un codice deontologico che richiama alla responsabilità del giornalismo e allo stesso tempo promuove la tutela dei diritti di migranti e richiedenti asilo.
Polarizzazione
Molti media negli ultimi mesi in Grecia hanno contribuito a soffiare sul fuoco della xenofobia, alimentando un atteggiamento ostile nei confronti di migranti e richiedenti asilo.
Secondo il professor George Pleios, che dirige il Dipartimento di Comunicazione e Media Studies dell’Università di Atene, è possibile distinguere tre diverse fasi nella copertura mediatica della crisi dei rifugiati da parte dei media ellenici.
“Tenuto conto dei diversi orientamenti ideologici fra gli organi di informazione, così come della distinzione fra carta stampata, televisione e media online, si può dire che in una prima fase, durata fino all’inizio dell’estate 2015, sia prevalso un approccio inadeguato caratterizzato dall’uso diffuso di termini come 'immigranti illegali' e 'clandestini'. Il termine utilizzato in greco è latrometanastes, che ha un’accezione particolarmente negativa. Ignorando distinzioni fondamentali e con esse i diritti di queste persone”, spiega Pleios “i media hanno così contribuito ad alimentare timori quali il pericolo che l’arrivo di persone in fuga potesse diffondere malattie, danneggiando l’immagine della Grecia quale meta turistica e causando quindi perdite economiche per il paese. Non da ultimo, in molti hanno fomentato allarmismo circa la possibilità che fra le persone in arrivo ci fossero jihadisti o addirittura agenti dei servizi segreti turchi”.
Dalla fine dell’estate 2015, secondo George Pleios, la situazione è cambiata con il graduale diffondersi di immagini positive e notizie più accurate: “Nel paese si è diffusa la consapevolezza che le persone in arrivo non fossero intenzionate a trattenersi in Grecia, e questo ha facilitato l’affermarsi di espressioni di solidarietà”. A sostegno di questo processo vi è stata, a suo avviso, l’azione di associazioni di volontariato e Ong e l’intervento di alcune celebrità che hanno visitato l’isola di Lesbo, alimentando l’immagine della Grecia come paese ospitale, disposto a offrire accoglienza e aiuti umanitari. E in questo “non va dimenticato inoltre il potenziale di identificazione derivante dal fatto che alcuni cittadini greci riconoscono le proprie origini di rifugiati: molti sono discendenti di chi arrivò come dalla Turchia novant’anni fa”, afferma Pleios.
La terza fase, tutt’ora in corso, ha preso il via con la chiusura del confine fra Grecia e Macedonia da parte delle autorità di Skopje che ha fatto riemergere la prospettiva di una permanenza di lungo periodo da parte dei richiedenti asilo sul territorio ellenico, portando alcuni leader xenofobi, fra i quali figure del clero ed esponenti di Alba Dorata, a organizzare manifestazioni di protesta contro la presenza dei rifugiati. In parallelo si sono diffuse notizie montate ad arte per diffondere un’immagine negativa dei rifugiati. “Al momento la situazione è caratterizzata da una forte contrapposizione tra una parte dell’opinione pubblica e dei media che sposa posizioni xenofobe e chi si oppone a questo tipo di atteggiamento”, conclude Pleios.
Una polarizzazione di cui i giornalisti sono spesso anche vittime: sono numerosi i casi di aggressioni ai danni di giornalisti riportati dalla piattaforma Mapping Media Freedom . Il più recente fra questi risale allo scorso 8 aprile, quando la fotoreporter Alexia Tsagari (Vice) e un membro della troupe televisiva del canale E TV sono stati aggrediti mentre documentavano una manifestazione antifascista ad Atene. Il 10 marzo, sempre ad Atene, il giornalista Petros Anastassiades era stato assalito da alcuni membri di Alba Dorata mentre un rappresentante del partito lanciava un’invettiva razzista nel corso di un comizio sui flussi migratori.
Interferenze governative
Altra questione sono i limiti che vengono posti ai giornalisti in Grecia nell'informare il pubblico su questi temi. Il culmine sembra essere stato raggiunto durante l’evacuazione del campo di Idomeni. Anticipata dall’arrivo di oltre 700 poliziotti da tutto il paese, l’operazione è stata preceduta dall’allontanamento dei giornalisti e dei volontari presenti nel campo. La polizia greca ha impedito l’accesso agli organi di stampa ad eccezione della radio-televisione pubblica (ERT) e dell’agenzia di stampa pubblica (ANA-MPA). L’evacuazione è stata quindi documentata dalle immagini trasmesse da droni della polizia di stato che hanno ripreso dall’alto lo svolgimento delle operazioni. L’esclusione dei giornalisti dall’area conferma la prassi diffusa in molti paesi europei, fra i quali l’Italia , secondo la quale viene negato l’accesso degli organi di stampa alle aree in cui si trovano migranti e richiedenti asilo.
“Un decreto del ministro all’Immigrazione Yannis Mouzalas, adottato il 29 febbraio scorso, impedisce ai giornalisti di entrare liberamente nei campi dove si trovano migranti e richiedenti asilo”, spiega Pavlos Nerantzis, giornalista, ex-direttore di ERT3 e iniziatore dell’iniziativa che promuove l’adozione della carta di Idomeni “l’adozione del decreto è stata giustificata sulla base del fatto che la presenza di giornalisti causerebbe disagi alle persone ospitate nei campi, così come segnalato nei mesi scorsi da parte di alcuni volontari - spiega il giornalista - ma il provvedimento non garantisce comunque la tutela delle persone che si trovano nelle strutture di accoglienza: i giornalisti possono comunque accedere ai campi previo consenso rilasciato dal ministero della Difesa, un iter che richiede di solito un paio di giorni, e una volta entrati non ci sono misure che garantiscano il rispetto dei diritti e della privacy delle persone che si trovano dentro quelle strutture”.
E' poi a suo avviso emblematica da una parte la prontezza del governo a limitare lo spazio d'azione dei giornalisti e dall'altra i silenzi sulla pubblicazione di notizie che alimentano xenofobia e islamofobia: “Occorre tutelare i diritti dei richiedenti asilo ma questo non si ottiene limitando l’accesso dei giornalisti e dei media alle aree dove sono costretti a vivere, cosa che inevitabilmente danneggia il diritto all’informazione”.
La carta di Idomeni
In reazione a questa situazione l’Unione dei Giornalisti di Macedonia e Tracia, organizzazione locale con sede a Salonicco, ha lanciato la proposta di adottare la carta di Idomeni e di creare un Osservatorio contro il razzismo e la xenofobia per monitorare quotidianamente il modo in cui i media affrontano questi temi. Il documento promuove linee guida per orientare il lavoro dei giornalisti.
“E’ necessario per prima cosa distinguere le cause che portano alla pubblicazione di servizi giornalistici che istigano reazioni razziste e xenofobe” precisa Nerantzis. “Da una parte va riconosciuta la mancanza di strumenti da parte di chi fa informazione. Mi riferisco qui alla necessità di conoscere le norme che regolamentano i diritti di migranti e richiedenti asilo. In questo caso, la disinformazione può essere affrontata tramite un lavoro capillare di sensibilizzazione, ed è proprio su questo versante che ci proponiamo di intervenire promuovendo l’adozione della carta di Idomeni. L’uso di termini quali “clandestino” può essere evitato tramite una corretta preparazione di chi fa informazione.”
Ma non si può ignorare che vi sia anche chi sceglie deliberatamente di diffondere informazioni inaccurate, notizie montate e reportage ostili nei confronti dei richiedenti asilo. Secondo Nerantzis, il fenomeno ha radici profonde: “La Grecia è stata a lungo al primo posto nella classifica dei paesi europei per quanto riguarda la diffusione di attitudini xenofobe. Questo clima da caccia alle streghe risale agli anni ‘90, quando di fronte agli arrivi di centinaia di migliaia di cittadini albanesi i canali informativi, soprattutto quelli privati, adottarono uno stile di giornalismo allarmista per cui un atto di criminalità perpetrato da un cittadino straniero finiva sistematicamente in prima pagina. In quel periodo e attraverso quei metodi si è coltivato e radicato un clima di xenofobia che si è acutizzato quando, a partire dal 2001, la Grecia ha iniziato a ricevere i flussi in transito verso l’Europa e provenienti soprattutto dall’Afghanistan”.
La storia della carta di Idomeni risale infatti già al 2006. “Quando nel 2006 presentammo la prima bozza di quella che poi sarebbe diventato il documento attuale, questa non venne adottata perché la situazione non aveva raggiunto livelli preoccupanti come quelli attuali”, spiega l’iniziatore della proposta. “Ora auspichiamo che questo documento possa stimolare la discussione sul razzismo e sulla xenofobia, e che possa promuovere un dibattito autentico in seno alla categoria dei giornalisti e più in generale nell’opinione pubblica. E’ indispensabile che la questione di come fare informazione su temi delicati quali la situazione dei richiedenti asilo venga trattata anche al di fuori di consessi che riuniscono persone già sensibili al tema. L’argomento deve divenire oggetto di dibattito pubblico”.
La carta ha già ricevuto sostegno e approvazione internazionale sia da parte della Federazione Europea dei Giornalisti (EFJ) che dall’OSCE. Il prossimo passo è l’adozione del documento da parte della Federazione Panellenica delle Unioni dei Giornalisti (Poesy). “Sul piano interno le reazioni per il momento sono state positive, ma non siamo ancora arrivati all’approvazione. La Federazione al momento sta affrontando un passaggio delicato legato alla revisione del sistema di previdenza sociale da parte del governo, così come richiesto dai creditori internazionali, e questo tema assorbe molte energie. Ma sono ottimista in merito, credo che arriveremo presto all’adozione della carta di Idomeni. Una bozza del documento è stata inviata anche al ministro per l’Immigrazione, ma non abbiamo purtroppo avuto riscontri”.
Lo spunto per la formulazione della carta di Idomeni viene da altre esperienze simili promosse nel resto d’Europa. Nerantzis, che in passato ha collaborato con alcune testate in Italia, fa riferimento alla carta di Roma come precedente per l’elaborazione del codice deontologico da applicarsi in Grecia. Un altro punto di riferimento sono stati i codici etici adottati dai giornalisti del Belgio e dei Paesi Bassi. Al nucleo iniziale della carta sono stati aggiunti di recente altri articoli che riguardano le condizioni di accesso dei giornalisti ai campi dove vengono ospitati i richiedenti asilo, per assicurare il diritto all’informazione e per per garantire il rispetto della privacy nelle condizioni specifiche dei centri di accoglienza. La carta delinea le norme di comportamento da seguire, fra le quali l’obbligo di chiedere il consenso prima di fotografare, intervistare o rendere pubblica l’identità delle persone che si trovano all'interno dei centri. Un altro aspetto particolarmente sensibile riguarda le norme da seguire per documentare la presenza di minori, una questione già trattata, in Italia, nella carta di Treviso .
La Grecia non è certo il solo paese ad affrontare una situazione molto delicata per quanto riguarda la responsabilità dei media nel riportare le notizie sull’arrivo e la presenza di migranti e richiedenti asilo. Anche in Bulgaria, per citare un paese limitrofo, nei mesi scorsi sono stati registrati casi molto gravi di atteggiamenti irresponsabili da parte dei media. Non sembra però esserci un approccio regionale al problema. “La maggioranza dei giornalisti in Grecia, così come le Unioni che li rappresentano, sono caratterizzati da una certa introversione. In passato, specialmente durante gli anni ‘90, esistevano forme stabili di dialogo, ma di recente questi canali sono stati depotenziati e credo che sia molto importante promuove e sviluppare nuovamente questi contatti con i colleghi di altri paesi confinanti”, conclude Nerantzis.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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