L'abuso della legge come strumento per zittire il dissenso, influenzare la libertà di espressione e manipolare la libertà di stampa. Questo è il nono dossier tematico legato alla libertà di stampa in Europa con risorse tratte dal Resource Centre per la libertà di stampa
Rivisto da Charlie Holt, Greenpeace International Legal Unit
Indice:
2. L’approccio degli organismi internazionali
3. La diffamazione e l’aggravante a mezzo stampa
1. La definizione
1.1. Come un sasso nello stagno
“Una grande azienda fa causa a un attivista che ha denunciato uno scandalo ambientale, sperando che la querela dissuada altri ambientalisti. Un influente uomo d'affari fa causa per diffamazione a un giornalista che lo aveva citato in un'inchiesta veritiera sulla corruzione. Un impresario immobiliare usa la minaccia di una querela per zittire la contrarietà dei cittadini a un nuovo progetto edilizio. E avanti di questo passo” (dal manuale di difesa anti-SLAPP della task force di Protect the Protest, marzo 2019).
Ecco quella che gli anglofoni chiamano SLAPP, utilizzando un acronimo inventato trent'anni fa negli Stati Uniti che indica una “querela strategica contro la partecipazione pubblica”.
Secondo gli attivisti della piattaforma Protect the Protest , una SLAPP si distingue da una querela ordinaria perché colpisce forme di libertà di espressione, sfrutta a proprio vantaggio una disparità di potere, minaccia di mandare sul lastrico il querelato, tenta di prolungare il processo il più possibile, solitamente fa parte di una più ampia strategia comunicativa che ha lo scopo di denigrare i critici, e segue una procedura seriale di intimidazione, visto che di solito il querelante ha alle spalle una certa esperienza nell'utilizzare o nel minacciare una SLAPP per zittire chi lo critica.
Come già descritto nel 1989 da George Pring, queste querele sono semplicemente degli strumenti legali che hanno lo scopo di “bloccare i cittadini nell'esercizio dei loro diritti politici o di punirli per averli esercitati. Una SLAPP invia un messaggio chiaro, ovvero che esprimere una posizione politica ha un prezzo”.
In origine il fenomeno della SLAPP interessava essenzialmente attivisti, ambientalisti e cittadini che si facevano sentire su singole questioni. Oggi colpisce una vasta gamma di individui e organizzazioni che agiscono nel pubblico interesse, quali esponenti della società civile e di singole comunità, giornalisti, gente che denuncia abusi nelle aziende o nell'amministrazione. Riguarda un po' tutti.
La SLAPP è diventata una minaccia seria alla libertà di stampa e alla partecipazione democratica, per cui si rende necessaria una potente ed efficace azione di contrasto. “Come un sasso lanciato in uno stagno – ha scritto nel 1989 Penelope Canan in La SLAPP da una prospettiva sociologica - una singola SLAPP può avere ripercussioni ben oltre il suo impatto iniziale”. E queste ripercussioni sulla libertà di espressione e sulla qualità della vita, sulla democrazia e sulla qualità del giornalismo, sono praticamente rimaste le stesse negli anni. Questo dossier le analizza da diversi approcci, offrendo una panoramica anche delle soluzioni finora approntate o soltanto suggerite.
1.2. Intimidazioni e disparità
Una delle caratteristiche principali di una SLAPP è la disparità di potere e di risorse economiche fra il querelante e il querelato. Il querelante ne è perfettamente consapevole e, sfruttando l'elasticità delle norme giuridiche, riesce a trasformare questioni di pubblico interesse in dispute tecnico-legali di diritto privato, che in genere comprendono esorbitanti richieste di risarcimento e affermazioni che hanno l'unico scopo di intimidire il querelato, prosciugandone le finanze.
Una SLAPP non ha bisogno di vincere il processo per ottenere l'effetto sperato, visto che il querelante sa fin dall'inizio che le sue accuse sono prive di fondamento o quantomeno esagerate. Ma anche se il giudice riconosce – prima o poi – l'infondatezza della querela e ne ordina l'archiviazione, c'è il rischio (nel caso del “poi”) che la causa resti in sospeso per anni, comportando per il querelato ingenti spese e danni alla reputazione.
Querele di questo tipo abusano del sistema giuridico e hanno un serio effetto paralizzante sulla libertà di parola e sul diritto di cronaca, visto che sono molti quelli che, magari non trovandosi in grado di sostenere i costi di una causa, preferiscono rinunciare da subito al legittimo esercizio dei loro diritti civili.
1.3. Gli avvertimenti e il prezzo del silenzio
Con l'intento di esercitare pressione su attivisti e giornalisti, le SLAPP possono essere anche usate per ricattare esplicitamente le vittime e comprarne il silenzio. Infatti, le pressioni subite dai querelanti sono di vario genere.
Da un lato, intimiditi dagli alti costi di una causa, tendono ad autocensurarsi per evitare di affrontare le spese; dall'altro, ci sono casi in cui gli viene esplicitamente chiesto di tacere in cambio del ritiro della querela.
Quest'ultima fattispecie di comportamento rende addirittura superfluo che una querela venga formalizzata e presentata alle autorità: è sufficiente che sia “annunciata”, come accade ad esempio in Germania dove “gli uffici legali di giornali ed emittenti radio e tv hanno visto aumentare i tentativi degli avvocati di impedire la pubblicazione o la diffusione di una certa notizia”. Secondo un recente studio della fondazione tedesca Otto Brenner, Se lo scrivi, ti denuncio! Strategie preventive degli avvocati ai danni dei media, pubblicato in collaborazione con la Società per i diritti alla libertà, editori ed emittenti riceverebbero almeno tre avvertimenti al mese.
Un silenzio da 400 milioni di dollari
Il prezzo del silenzio è arrivato a più di 400 milioni di dollari per gli attivisti che in British Columbia, Canada, avevano protestato contro la costruzione della diga Site C sul Peace River. “Se firmate questo impegno a non esprimere più in futuro alcuna valutazione né opinione sulla diga, garantiamo che la querela verrà ritirata”: questo il tenore della richiesta formulata dalla BC Hydro, compagnia elettrica provinciale, al gruppetto di agricoltori e nativi che aveva ostacolato i lavori di costruzione occupando una zona di bosco nell'inverno 2016. Anche Ken Boon, proprietario di una fattoria sul fiume, aveva ricevuto la richiesta: se avesse taciuto per sempre, la BC Hydro avrebbe ritirato la richiesta di risarcimento danni di 420 milioni di dollari, formulata in una citazione lunga 13 pagine in cui il gruppo era accusato di “cospirazione, intimidazione, violazione di proprietà privata, creazione di intoppo pubblico e privato, interferenza intenzionale nei rapporti economici tramite mezzi illegali”. Per 63 giorni avevano occupato una zona di bosco per salvarla dalle ruspe; erano diventati famosi, erano stati intervistati dai media di mezzo mondo. E adesso, perché smettessero di parlare a giornali e tv, la BC Hydro era disposta a ritirare la querela. Quel loro silenzio era stato stimato 420 milioni di dollari.
1.4. Una perdita di tempo, credibilità e soldi: come funziona
Non è difficile identificare i meccanismi di una SLAPP: nell'ottica del querelante, più lenta è, meglio è. Secondo la descrizione fornita dal manuale di autodifesa curato tra gli altri da Greenpeace, per definire il funzionamento di una SLAPP si può partire da un approccio comportamentale.
“Una querela del genere può trascinarsi per anni, anche se magari alla fine viene archiviata. Nel corso della causa, i campioni della SLAPP chiederanno spesso di avere accesso alle vostre mail, ai documenti salvati nel vostro computer, e ad altri dettagli della vostra vita privata. Una SLAPP può costringervi a pagare migliaia di dollari di costi legali, mentre siete continuamente costretti a temere di finire sul lastrico nel caso la controparte l'avesse vinta. Chi finora ha sempre sostenuto il vostro lavoro, adesso comincia a mettere in discussione la vostra credibilità. Potete magari perdere anni della vostra vita a difendervi in tribunale, invece che dedicare tempo ed energia alle cose che vi interessano. E alla fine, come molti altri, potrete anche decidere di lasciar perdere e mollare la vostra protesta”.
2. L’approccio degli organismi internazionali
La questione varia enormemente da Paese a Paese, essendo legata sia al quadro legislativo sia alla mentalità e alla prassi. Alcuni elementi tuttavia, come illustra anche un documento delle Nazioni Unite, oggettivamente facilitano o scoraggiano la proliferazione della SLAPP, come ad esempio l'importo delle spese legali e dei risarcimenti, le leggi sulla libertà di stampa e di espressione, la presenza o meno di misure deterrenti. E diversi organismi internazionali hanno cominciato ad affrontare il problema con l’attenzione dovuta.
2.1. Le Nazioni Unite: tutelare i diritti dei cittadini
In diverse occasioni l'ONU ha sollevato l'importanza della questione, sottolineando l'obbligo degli Stati di promuovere l'esercizio dei diritti di libertà di espressione, di riunione e di associazione.
In particolare, si legge in un documento del 2016, gli Stati dovrebbero “assicurare un giusto processo e proteggere i cittadini da cause civili prive di fondamento”, e “per gli organizzatori e i partecipanti di riunioni, dovrebbero introdurre tutele da cause civili pretestuose che abbiano lo scopo di intimidire il coinvolgimento pubblico”.
Secondo l'approccio dell'ONU, gli Stati inoltre dovrebbero implementare normative anti-SLAPP che ne permettano una repentina archiviazione con il corrispettivo riconoscimento di un risarcimento, applicando misure legislative che ne sanzionino l'abuso.
2.2. Il Consiglio d'Europa: depenalizzare
Per “migliorare la protezione dei giornalisti, affrontare meglio minacce e violenze ai danni dei professionisti dell'informazione e implementare all'interno del Consiglio d'Europa meccanismi di allerta e maggiore capacità di risposta”, il Consiglio d'Europa ha istituito online la Piattaforma per promuovere la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti, che comprende la catalogazione e il monitoraggio delle minacce alla libertà di stampa, senza tuttavia operare una specifica distinzione fra minacce dirette e indirette. I casi di SLAPP, benché l’acronimo non compaia mai, si ritrovano sotto il capitolo delle querele per diffamazione, depositate o anche solo minacciate, nel gruppo degli “atti diversi che hanno un effetto raggelante sulla libertà di stampa”. Un esempio è la segnalazione Tentativo di intimidire i giornalisti Carlo Bonini, John Sweeney e il blogger Manuel Delia del 24 ottobre 2019, secondo cui “il governo di Malta ha chiesto ad un ufficio legale di informare i giornalisti che ‘si riserva di adire le vie legali in merito alla pubblicazione e alla ripetizione di ogni affermazione diffamatoria o falsa’”.
Una rassegna delle linee guida del Consiglio d'Europa illustra la posizione assunta da anni.
Da un lato, “consapevole del potenziale effetto paralizzante che leggi anti-diffamazione troppo restrittive possono avere sulla libertà di espressione e sul dibattito pubblico”, il Consiglio d'Europa promuove la “depenalizzazione della diffamazione”. Secondo l'organizzazione, infatti, i giornalisti non dovrebbero né essere puniti con la prigione né minacciati da una pena detentiva quando sono accusati di violare il diritto altrui al buon nome; in ogni caso, queste violazioni dovrebbero essere illeciti civili, non penali.
Dall’altro, è pur vero che un potente effetto paralizzante si può avere anche nel caso in cui la diffamazione venisse depenalizzata.
Ecco perché il Consiglio d’Europa, oltre a promuovere la depenalizzazione, “offre delle linee guida ai propri Stati membri per assicurare la proporzionalità delle leggi anti-diffamazione e la loro applicazione rispettosa dei diritti umani”.
Fra gli effetti paralizzanti elencati nella serie di pubblicazioni Libertà di stampa e tutela della reputazione , si include “il riconoscimento di risarcimenti ingiustificatamente alti in cause civili, e la relativa mancanza di tutele adeguate ed efficaci sia nella legge sia nella pratica”. Le cause per diffamazione con risarcimento danni molto alto possiedono un effetto paralizzante sulla libertà di espressione, come confermato da diverse sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
2.3. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo: un prezzo troppo alto
In diverse occasioni la Corte si è espressa su questioni riguardanti conflitto ed equilibrio fra libertà di stampa e tutela della reputazione, e una sentenza in particolare è citata dalla Piattaforma del Consiglio d’Europa in quanto considerata apripista.
Nel giugno 2017 la Corte si trovò a deliberare in un caso di richiesta risarcimento danni per diffamazione in cui l’editore del quotidiano irlandese Herald era stato condannato a pagare più di un milione di euro. Il giornale aveva pubblicato una serie di articoli su una consulente di pubbliche relazioni riferendo di voci secondo cui costei avrebbe avuto una relazione con un ministro. Querelato per diffamazione, il giornale era stato condannato a risarcirla con 1.250.000 euro. L’editore si era rivolto alla Corte obiettando che la cifra fosse eccessiva e che avesse violato il proprio diritto alla libertà di espressione.
La Corte affermò che “non è necessario decidere se il risarcimento impugnato abbia avuto di fatto un effetto paralizzante sulla stampa. In linea di principio, risarcimenti imprevedibilmente alti nei casi di diffamazione sono considerati capaci di avere un tale effetto e quindi è necessario che siano affrontati nel modo più attento possibile (...) e che abbiano una giustificazione molto forte”.
2.4. L’OSCE: libertà di parola
Il Rappresentante OSCE per la libertà dei mezzi d’informazione “ha lo specifico mandato di proteggere e promuovere la libertà dei media in tutti i 57 Stati partecipanti dell’OSCE. Le attività del Rappresentante includono il monitoraggio degli sviluppi nel mondo dell’informazione come parte integrante di una funzione di preallarme e l’assistenza fornita agli Stati partecipanti ai fini del rispetto dei loro impegni nel campo della libertà di espressione e della libertà dei mezzi d’informazione”. Tra gli impegni per garantire la sicurezza dei giornalisti, il Rappresentante promuove la depenalizzazione della diffamazione, poiché “i giornalisti non dovrebbero essere incriminati per il loro lavoro”.
Sul sito e nei documenti non si parla esplicitamente di SLAPP, ma nel 2019, nell’ambito della Dichiarazione congiunta per il ventesimo anniversario: sfide alla libertà di espressione nel prossimo decennio , si trova un chiaro richiamo all’obbligo degli Stati di promuovere la libertà di espressione e la sicurezza dei giornalisti tramite legislazioni, norme e prassi che “limitino l’applicazione di norme penali alla libertà di parola, in modo da non frenare il dibattito pubblico su questioni di pubblico interesse”.
2.5. L’Unione Europea: armonizzare, missione impossibile
La libertà di stampa è un diritto fondamentale che a livello europeo trova radicamento nell’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e nell’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea , e che costituisce un pilastro della moderna democrazia in quanto componente essenziale di un confronto libero ed aperto.
In diverse Risoluzioni, il Parlamento Europeo ha sottolineato l’importanza di “proporre una direttiva anti-SLAPP (Strategic lawsuit against public participation - azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica), che proteggerà i media indipendenti da azioni legali vessatorie volte a metterli a tacere o a intimidirli” (risoluzione del 3 maggio 2018 ) e ha invitato “sia la Commissione sia gli Stati membri a presentare proposte legislative o non legislative sulla protezione dei giornalisti nell'UE, regolarmente oggetto di azioni legali destinate a censurare la loro attività o a intimidirli, incluse le norme anti-SLAPP a livello europeo” (risoluzione del 19 arile 2018 ).
Nel 2018, in un’iniziativa trasversale che ha coinvolto più gruppi politici, sei europarlamentari hanno inviato una lettera alla Commissione Europea chiedendo un’azione concertata per combattere la SLAPP. La questione è ancora aperta: tre europarlamentari del nuovo organismo eletto nel 2019 hanno ereditato l’impegno dai colleghi e hanno ospitato una tappa importante di questo dibattito, un “expert talk ” tenutosi a Bruxelles il 12 novembre 2019 con una tavola rotonda internazionale che ha coinvolto studiosi, politici e associazioni di giornalisti.
Per difendere i giornalisti e la libertà di stampa, la Commissione sta attualmente finanziando diversi progetti europei, tra cui alcune piattaforme gestite dal Centro Europeo per la Libertà di Stampa e dei Media (ECPMF ) e dai suoi partner per fornire sostegno pratico e assistenza legale ai reporter minacciati, monitorare le minacce alla libertà di stampa e organizzare seminari di formazione di autodifesa digitale.
3. La diffamazione e l’aggravante a mezzo stampa
3.1. Una definizione, tante variabili
Benché le SLAPP costituiscano un abuso del diritto e siano volte a chiedere risarcimenti danni tra i più disparati (alla proprietà privata, ai profitti, alla reputazione commerciale, alla salute…) sulla base di diversi illeciti (violazione della proprietà privata, della privacy, dell’onore...), le querele pretestuose più frequenti riguardano danni alla reputazione derivanti da pubblicazione o diffusione di notizie, per cui interferiscono con l’attività del giornalista e con l’esercizio della libertà di espressione e del diritto di cronaca. Ecco perché le leggi anti-diffamazione sono il terreno più fertile per l’eventuale radicamento di una SLAPP.
Come conferma uno studio del Consiglio d’Europa , le differenze fra Paesi sono piuttosto consistenti e non si può fornire una definizione univoca di cosa sia diffamazione, diffamazione scritta, attribuzione inaccurata di fatti, parole non veritiere, ingiuria, calunnia. Ogni sistema giuridico ha le proprie definizioni e i propri termini. Il termine inglese defamation, ad esempio, in molti contesti si riferisce soltanto alla diffamazione verbale e non scritta, ma i rapidi progressi tecnologici costringono con sempre maggiore urgenza ad aggiornare anche la terminologia.
In Croazia, querele a migliaia
Hrvoje Zovko, presidente dell’Associazione dei giornalisti croati (HND), aveva parlato nel gennaio 2019 di “più di mille processi in corso contro giornalisti o media croati". Zovko stesso è stato querelato per calunnia dal suo ex datore di lavoro, la televisione pubblica HRT, che lo aveva licenziato nel settembre 2018. "In Croazia, è caccia aperta ai giornalisti", aveva dichiarato a OBCT qualche giorno prima, commentando l’aumento di attacchi ai danni di suoi colleghi. Insieme a lui, la televisione pubblica croata aveva querelato per calunnia, negli ultimi due anni, 36 fra emittenti e giornalisti, inclusi alcuni propri dipendenti.
Serbia: la moltiplicazione dei processi
Le querele “contro i giornalisti stanno diventando abbastanza comuni in Serbia, indipendentemente dallo zelo con cui è stato verificato il contenuto dell'articolo. E spesso alti funzionari, ad esempio ministri, fanno causa ai media”: come Stevan Dojčinović, direttore del portale investigativo KRIK, ha detto a Francesco Martino, corrispondente di OBCT, un’emittente può essere “citata in giudizio quattro volte diverse per la stessa storia”, e il tribunale può respingere la richiesta di unificare le cause. “Quindi stiamo attualmente impiegando un'enorme quantità di tempo, denaro ed energie per difenderci”.
3.2. Abusare di uno strumento legale
Come conferma uno studio di diritto comparato commissionato dal Rappresentante OSCE per la libertà dei media, “le leggi penali sulla diffamazione continuano ad essere applicate con una certa regolarità nella zona OSCE, anche contro i mezzi di comunicazione. Zone particolarmente problematiche restano l’Europa meridionale (specialmente la Grecia, l’Italia, il Portogallo e la Turchia), l’Europa centrale (specialmente l’Ungheria), l’Asia Centrale e l’Azerbaijan, anche se saltuari arresti di giornalisti continuano ad avvenire in Paesi tipicamente considerati forti difensori della libertà di stampa, quali Danimarca, Germania e Svizzera”.
Questa applicazione delle leggi anti-diffamazione, nel civile e nel penale, in realtà non ha nulla a che vedere con un eventuale rapporto di causa-effetto tra diffamazione e SLAPP: la diffamazione in realtà è soltanto un pretesto, una scusa, un falso alibi, utilizzato con l’unico scopo di zittire le critiche e bloccare le inchieste dei giornalisti.
La questione focale in tale contesto, dove legislazione e prassi concorrono nel bilanciare la libertà di espressione e il diritto alla difesa della reputazione e del buon nome, non è tanto la legge quanto piuttosto l’abuso della legge. Perché le SLAPP, in effetti, sono abusi della legge.
3.3. Principi e buone pratiche
Visto che un consistente numero di SLAPP si appiglia a leggi anti-diffamazione, l’attenzione degli organismi internazionali si è concentrata per anni sulle leggi che regolano l’attività del giornalista in rapporto alla tutela della reputazione altrui. Negli ultimi due decenni, la ONG Article 19 ha sviluppato una Carta di principi comuni che possa servire da fondamento per il dibattito e l’analisi: lo scopo è “stabilire un giusto equilibrio fra il diritto umano alla libera espressione e la necessità di tutelare la reputazione degli individui”. I Principi, pubblicati per la prima volta nel 2010 e poi rivisti nel 2017, si basano sul diritto internazionale e comprendono soltanto il rapporto fra la libertà di stampa e la tutela della reputazione, escludendo altri campi delicati quali la privacy o l’hate speech.
3.4. La Scandinavia dà il buon esempio
Nel dicembre 2019, Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa ha partecipato ad una missione di ricognizione guidata da ECPMF allo scopo di reperire e analizzare buone pratiche per la tutela e la protezione della libertà di stampa.
Vista la mancanza pressoché assoluta di casi e di minacce di SLAPP sia in Danimarca sia in Svezia, è risultato piuttosto difficile anche soltanto fornire una descrizione plausibile della situazione. Benché infatti entrambi i Paesi presentino elementi in comune con altri Stati dove invece la SLAPP costituisce un’emergenza, come ad esempio la sussistenza del reato di diffamazione e la sua punizione con il carcere nei casi più gravi, le querele pretestuose non costituiscono affatto un problema, né in Danimarca né in Svezia: semplicemente non esistono.
Alla richiesta di fornire una spiegazione al fenomeno, gli interlocutori della missione (giornalisti, sindacalisti, avvocati, giuristi) hanno suggerito due elementi che si possono considerare dei deterrenti efficaci contro l’abuso di querele intimidatorie della libertà di stampa e di espressione. Si tratta tuttavia di caratteristiche insite ai sistemi legali, costituzionali e sociali, quindi piuttosto difficili da “esportare”:
- in entrambi i Paesi, la tradizione democratica è un collante sociale molto forte: nonostante alcune sporadiche tendenze alla polarizzazione, la libertà di espressione e una libera stampa sono considerate costitutive del sistema costituzionale e della coesione sociale. Da un lato, nei pochi casi affrontati in tribunale l’esito è quasi sempre a favore del giornalista; dall’altro, la questione ha anche un risvolto reputazionale: querelare un giornalista semplicemente non sta bene, non si fa, è qualcosa di cui ci si dovrebbe vergognare;
- una caratteristica del codice civile, terreno altrimenti fertile per le SLAPP, è che i risarcimenti per danni alla reputazione sono molto bassi: oltre ad essere sconvenienti sotto il profilo sociale, quindi, le cause contro i giornalisti non convengono affatto sotto il profilo economico, le spese sono alte e gli eventuali danni invece molto bassi. E se i danni sono bassi, viene meno anche l’effetto raggelante dei risarcimenti esorbitanti, per cui la minaccia di una querela perde tutto il suo potenziale intimidatorio.
Il racconto dei numeri
I numeri a volte non esauriscono il racconto di una storia: è il caso ad esempio di Antonella Napoli e della sua battaglia contro un’unica causa, una richiesta danni che si trascina da oltre 20 anni. Una singola SLAPP può tenerti in sospeso una vita intera. Ma i numeri riescono ad essere abbastanza d’impatto, come nel caso di Federica Angeli, giornalista sotto scorta e impegnata a rispondere in tribunale a decine di querele per diffamazione. Al momento, dicembre 2019, Federica Angeli sta celebrando la sua 111esima vittoria contro una di queste cause.
4. In cerca di soluzioni
Già nel 1989, uno dei primi studiosi della SLAPP era consapevole che una soluzione andasse trovata proprio dove si presentava il problema, ovvero in tribunale. Scriveva George Pring: “La soluzione migliore sta nei nostri tribunali, in quelle istituzioni create per tutelare le libertà individuali e i diritti politici, che sono pure, ironicamente, le stesse istituzioni manipolate ed abusate per produrre l’effetto paralizzante delle SLAPP”.
4.1. Leggi anti-SLAPP negli USA e in Canada
Secondo un manuale scritto da Austin Vining e Sarah Matthews per l’associazione Reporters Committee for Freedom of the Press, “le leggi anti-SLAPP offrono ai querelati un modo di far archiviare velocemente le querele senza fondamento da cui sono colpiti appellandosi al Primo Emendamento. Queste leggi intendono scoraggiare l’abuso delle querele impedendo che portino a lunghe cause dai costi esorbitanti e che quindi abbiano un effetto paralizzante sulla libertà di parola”.
Diversi Stati negli USA hanno adottato delle leggi anti-SLAPP, alla data del 15 ottobre 2019 si tratta di 30 Stati e del Distretto della Columbia. In Canada, 3 Province hanno delle leggi anti-SLAPP (British Columbia, Ontario e Quebec). Le tutele garantite da queste leggi variano anche in modo consistente. Nella maggior parte dei casi tuttavia, riescono a proteggere i giornalisti da tentativi di censura o da ritorsioni.
Secondo gli attivisti di West Coast Environmental Law , un’associazione canadese di giuristi, avvocati e ambientalisti, la nuova legge anti-SLAPP della British Columbia (reintrodotta dopo che il governo locale aveva abrogato quella precedente) è in grado di accelerare il procedimento di archiviazione delle querele se queste interferiscono con la libertà di espressione. Come altre leggi anti-SLAPP, si prevede la possibilità che il giudice condanni il querelante all’ulteriore pagamento di cosiddetti “danni punitivi”.
4.2. In cerca di soluzioni europee
I singoli Stati membri della UE sono liberi di adottare leggi anti-diffamazione diverse e di applicare diversi standard di tutela della libertà di parola.
La mancanza di armonizzazione, tuttavia, consente il proliferare di abusi soprattutto in campo civilistico grazie all’applicazione del diritto internazionale privato che regola dispute tra privati residenti in Paesi diversi. Le norme in questione sono il Regolamento Bruxelles I (che regola la scelta della giurisdizione in materia civile e commerciale) e il Regolamento Roma II (che regola la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali).
Un caso emblematico è quello che ha coinvolto la giornalista Daphne Caruana Galizia e la Pilatus Bank, banca che, nonostante avesse radicati legami con Malta, ha avviato cause per diffamazione nel Regno Unito e negli USA. La cosa è stata possibile in quanto il Regolamento Bruxelles I permette al querelante di scegliere fra il tribunale della zona di residenza e il tribunale della zona dove si stima siano stati rilevati i danni. La legge da applicare inoltre, visto che la diffamazione è esplicitamente esclusa dall’ambito di applicazione del Regolamento Roma II, sarà quella del Paese dove persiste il danno.
In pratica, queste regole speciali nei casi di diffamazione permettono al querelante di scegliere il tribunale e la legislazione di un Paese dove vi siano tutele inferiori per la libertà di stampa, in questo modo consentendo la violazione del diritto al giusto processo.
Il fatto che i casi di diffamazione possano subire il cosiddetto forum shopping (ovvero questa possibilità accordata alle parti di una controversia giudiziaria di affidarla alla cognizione del giudice di uno Stato piuttosto che a quello di un altro) è una circostanza sufficiente a far dichiarare che esiste di fatto una limitazione della libertà di stampa, come evidenziato in una pubblicazione del Consiglio d'Europa, visto che difendersi da una querela depositata in un Paese straniero comporta costi esorbitanti e stress psicologico dovuto all’estraneità di un sistema giuridico straniero.
Nel giugno 2018, il vice presidente della Commissione Europea Frans Timmermans, in risposta alla lettera dei sei europarlamentari che premevano per un progetto di direttiva europea anti-SLAPP, ha risposto che non è materia di competenza UE un’armonizzazione delle leggi anti-diffamazione. Tuttavia, secondo uno studio di Justin Borg-Barthet (presentato all'Expert talk on anti-SLAPP a Bruxelles), l'Unione europea avrebbe la competenza per intervenire in questa materia, visto che le basi giuridiche della Direttiva sui whistleblowers sarebbero le stesse di una eventuale direttiva anti-SLAPP: “Se si può argomentare che la tutela degli informatori ha un effetto diretto sul funzionamento del mercato interno, come fa la Commissione quando richiama l’articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, allora ne segue che la cosa sia valida anche per la diffamazione”.
Lo studio inoltre suggerisce di modificare la legislazione esistente, in particolare cambiando le regole sulla giurisdizione nel Regolamento Bruxelles I, che dovrebbero invece portare alla scelta del foro del domicilio del querelato, mentre il Regolamento Roma II dovrebbe essere cambiato in modo da armonizzare le regole sulla scelta della legislazione nei casi di diffamazione. La legge applicabile dovrebbe essere certa sin da subito e si dovrebbe limitare così il forum shopping.
Secondo Justin Borg-Barthet andrebbero condotti altri studi sulle procedure nazionali e sulle leggi anti-diffamazione in modo da arrivare ad elaborare una direttiva che armonizzi un minimo la salvaguardia della libertà di espressione.
Al momento, il dibattito a livello europeo è ancora aperto e si concentra su un pacchetto di soluzioni a breve e lungo termine. Anche in mancanza di una direttiva, infatti, si possono trovare singoli provvedimenti in grado di limitare se non contrastare il proliferare della SLAPP.
5. Italia: querele come armi
L’acronimo SLAPP non è ancora di uso comune in italiano, anche se il fenomeno è tutt’altro che nuovo, visto il proliferare, da anni, delle cosiddette querele pretestuose, cause bavaglio, liti temerarie. Per i giornalisti si tratta di un’emergenza quotidiana.
Per una serie di fattori interconnessi (crisi economica, legislazione, interferenza della politica, calo della popolarità e della fiducia per gli operatori dell’informazione), il panorama mediatico italiano è in graduale peggioramento sotto il profilo della libertà di stampa e del libero esercizio del diritto di cronaca.
Secondo l’indice di Reporters Sans Frontières del 2019, l’Italia è al 43esimo posto nella classifica mondiale della libertà di stampa e il livello di violenza e minacce subite dai giornalisti è in continua crescita. Circa una ventina di giornalisti sono sotto scorta (si veda il rapporto di Ossigeno per l'Informazione e ECPMF) e nel 2018 l’Italia ha registrato l’aumento maggiore nel numero di segnalazioni pervenute alla Piattaforma del Consiglio d’Europa per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti.
Secondo l’analisi dell’Osservatorio sul Giornalismo , seconda edizione, pubblicato dall’AGCOM, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, “alcune forme di intimidazione subite dai giornalisti sono esercitate attraverso strumenti legali”: “si tratta di azioni processuali per lo più infondate in punto di fatto e diritto”, “esperite con il solo scopo di limitare e condizionare l’esercizio del diritto di cronaca del giornalista”. “Nel caso di lite temeraria intentata nei confronti del giornalista il processo, mezzo di tutela dei diritti della personalità, si trasforma in strumento di limitazione di un altro diritto fondamentale, quello della libera manifestazione del pensiero”.
I giornalisti italiani ne sono pienamente consapevoli, da anni, e come ribadito dal presidente dell’Ordine Carlo Verna in occasione del discorso di fine anno alla presenza del capo del governo il 28 dicembre 2018 , “le iniziative giudiziarie temerarie imbavagliano la libertà di stampa, costituiscono oggettiva compressione del diritto di informare e soprattutto di essere informati. Sono un’emergenza democratica”. E come ha ripetuto nella stessa occasione un anno dopo, il 29 dicembre 2019 , “giornalista intimidito con una querela infondata uguale cittadino contrastato nel suo diritto ad essere correttamente informato”.
5.1. Il quadro legislativo italiano
Scopo della normativa è operare un bilanciamento fra diritto di cronaca (garantito dall’articolo 21 Cost.) e altri valori costituzionalmente garantiti, come la tutela dell'onore. Sul punto è intervenuta nel 1984 una storica sentenza della Corte di Cassazione, conosciuta dai giornalisti come “sentenza decalogo”, che individua le tre condizioni che rendono legittimo il diritto di cronaca pur in presenza di uno “scontro” con la tutela dell’altrui reputazione.
Secondo la sentenza n. 5259 del 18 ottobre 1984, il diritto di stampa è legittimo quando concorrano le seguenti tre condizioni:
- utilità sociale dell’informazione;
- verità (oggettiva o anche soltanto putativa purché, in quest’ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti;
- forma “civile” dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione: cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire.
La diffamazione è un illecito penale ai sensi dell’articolo 595 del codice penale e della Legge 47/1948, detta anche “Legge sulla stampa”. La pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro, e la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha ripetutamente ammonito l’Italia per il potenziale effetto paralizzante della libertà di stampa dovuto alla semplice esistenza di una pena detentiva, elemento che costituisce un’interferenza sproporzionata con il diritto alla libertà di espressione (es. in Belpietro v. Italy e Ricci v. Italy).
Secondo la Legge sulla stampa, inoltre, “per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l’editore”.
Una causa pretestuosa è quindi un’azione perfettamente legale che può essere intrapresa sia con una querela per il reato di diffamazione sia con una azione civile di richiesta risarcimento danni.
5.1.1. Cause civili e cause penali
Se si contemplano i meccanismi stabiliti dal codice di procedura civile, l’abuso delle cause civili risulta essere più pericoloso e lesivo del diritto di cronaca rispetto alle cause penali in quanto:
- manca un esame preliminare da parte dell’autorità giudiziaria (corrispondente al giudice per le indagini preliminari in campo penale) e la cosa implica procedimenti più lunghi e costosi (mentre la maggior parte delle querele sono archiviate e non arriva a processo);
- non esiste un limite al risarcimento danni (nella procedura penale il limite è fissato a 50.000 Euro, e anche questo è stato considerato eccessivo e sproporzionato da una decisione della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa);
- il tempo entro cui depositare la richiesta danni è molto più lungo rispetto al limite entro cui presentare querela (5 anni contro soli tre mesi). Va detto comunque che il reato è prescritto dopo 6 anni, e secondo l’articolo 2947 comma 3 del codice civile, la stessa prescrizione si applica all’azione civile.
Per questo il legislatore sta lavorando al codice di procedura civile per introdurre deterrenti più efficaci visto che gli esistenti, quali i danni punitivi e la mediazione obbligatoria, non funzionano.
5.1.2. Un complicato approccio con i numeri
Benché le cause temerarie, le SLAPP, siano state definite “emergenza democratica”, è difficile quantificare con precisione il fenomeno.
La ragione principale sta nel fatto che i dati relativi alle richieste danni e alle cause penali sono registrati in modo diverso.
Per i procedimenti penali, il database dell’ISTAT riporta una classificazione in base al reato; per i procedimenti civili invece, una classificazione per tipologia non esiste per cui è impossibile quantificare le cause che colpiscono giornalisti nella mole di cause che intasano i tribunali italiani, notoriamente caratterizzati da un alto livello di litigiosità.
Le statistiche inoltre non comprendono le soluzioni extra-giudiziali eventualmente trovate e neppure gli eventuali atti di autocensura.
Resta comunque un dato significativo quel 70% di querele archiviate e non mandate a processo, grazie all’intervento del giudice per le indagini preliminari.
5.1.3. Il paradosso italiano
Anche a livello internazionale la diffamazione è un reato nella maggior parte dei Paesi, ad esempio in tre quarti dei Paesi OSCE. Eppure, le organizzazioni per la libertà di stampa e i diritti umani chiedono la “piena depenalizzazione della diffamazione e un’equa disamina di tali casi da parte di organi arbitrali o corti civili”, come si ribadisce sul sito dell'OSCE .
Spesso tale richiesta sembra confondersi con la richiesta di abolire la pena del carcere per la diffamazione, che a ben guardare è altra cosa rispetto alla depenalizzazione. Se in Italia ad esempio venisse depenalizzata la diffamazione, non vi sarebbe più la garanzia di un filtro (la valutazione del gip) e tutte le cause o richieste danni andrebbero a processo impegnando i contendenti magari per anni. Al momento quindi, nessuna proposta di legge chiede di depenalizzare la diffamazione.
Anche in Italia invece, conformemente all’orientamento internazionale, da più parti si chiede l’abolizione delle pene detentive per la diffamazione: in tal caso, pur restando un reato, la diffamazione sarebbe sanzionata soltanto con una multa invece che con il carcere.
Un’altra caratteristica precipua del sistema italiano, probabilmente considerata un paradosso in un’ottica internazionale, è il ricorrente abuso di hate speech e linguaggio diffamatorio da parte di organi di stampa controllati da partiti politici o singole figure influenti: troppo spesso i media sono usati come “macchina del fango” e come strumento di delegittimazione. Ecco perché, benché consapevoli dell’importanza di un bilanciamento fra libertà di espressione e tutela della reputazione, molti osservatori (tra cui Alessandro Galimberti, Presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia intervistato dalle autrici) concordano sulla necessità di mantenere la diffamazione un reato, in modo da mantenere un freno e un deterrente all’abuso della libertà di insulto, che spesso in Italia sconfina in istigazione all’odio razziale e disprezzo per le categorie deboli.
5.2. Fattori che alimentano l’effetto paralizzante
Sono molti i fattori che hanno un’influenza negativa sull’attività giornalistica e che amplificano l’effetto paralizzante di un’eventuale querela pretestuosa.
Innanzitutto, l’alto livello di insicurezza occupazionale influenza la capacità di reazione a una querela: in Italia un gran numero di giornalisti è freelance e nella maggior parte dei casi, quando sono colpiti da una SLAPP, si trovano a rispondere da soli, non potendo contare sull’appoggio dell’editore. Come osserva il già citato rapporto dell’AGCOM , “l’elevato grado di precarietà e le forme più diffuse di inquadramento contrattuale della categoria non appaiono idonee a garantire l’operatore dell’informazione rispetto ai costi processuali legati alle suddette forme di intimidazione. Spesso si riscontra la mancanza di un supporto da parte della testata editoriale, soprattutto nel caso delle piccole realtà locali, che hanno l’obbligo contabile di iscrivere in bilancio la passività legata al costo delle spese processuali”.
Nella maggior parte dei casi inoltre, basta la semplice minaccia, il semplice annuncio, di una querela per ottenere quell’effetto intimidatorio della libertà di stampa che porta all’autocensura e scoraggia i giornalisti nella loro attività di inchiesta e approfondimento.
In Italia l’effetto paralizzante è amplificato dall’eccessiva lunghezza dei processi (circa sei anni per arrivare a una sentenza di primo grado), fattore più volte criticato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
Altro elemento che rafforza l’effetto intimidatorio è l’estrema facilità con cui si può procedere ad una richiesta risarcimento danni o a porgere querela: non vi sono limiti ai risarcimenti, quindi le multe e le spese, magari dopo anni di processo, possono essere sproporzionate.
5.3. Lo stato dell’arte in Parlamento
Attualmente in Parlamento sono in discussione quattro disegni di legge con proposte di modifica alla legge sulla stampa e alle norme che regolano la responsabilità del direttore, il diritto di replica, la creazione di autorità arbitrali, danni punitivi e multe a sostituzione delle pene carcerarie per la diffamazione.
Le proposte, presentate da Movimento 5 Stelle, Democratici e Forza Italia, hanno un unico elemento in comune, ed è l’abolizione della pena del carcere per i giornalisti.
In merito alla SLAPP e a strumenti di deterrenza delle querele pretestuose, tutti e quattro i disegni di legge propongono di inserire nel codice di procedura civile una sorta di “responsabilità aggravata” con un corrispondente danno punitivo per le cause prive di fondamento o formulate in malafede: quando il giudice accerti la malafede del querelante, lo può (o lo deve, a seconda della proposta) condannare al pagamento di un risarcimento o di una multa. Le proposte sono diverse in quanto propongono si tratti o di una multa o di un risarcimento al querelato, di importo vario.
Il disegno di legge Di Nicola, senatore del Movimento 5 Stelle, sembra aver ottenuto il favore della maggioranza ed altre proposte concorrenti sono state “congelate” per permettere una spedita approvazione della legge: si tratta di un unico articolo, l’aggiunta di un comma a un articolo del codice di procedura civile per introdurre l’obbligo del risarcimento proporzionale all’ammontare della richiesta danni (in caso di condanna, il querelante dovrebbe pagare non meno di un quarto di quanto da lui preteso inizialmente).
Questa proporzionalità potrebbe essere a detta di molti un potente deterrente per le SLAPP che chiedono risarcimenti milionari, ma violerebbe anche il principio costituzionale di libero accesso al processo (articolo 24 Cost.) nonché il principio di uguaglianza essendo rivolto soltanto alla diffamazione a mezzo stampa; alcune perplessità sarebbero state sollevate dalla stessa maggioranza.
La situazione, che sembrava arrivata ad un punto di stallo ad oltre un anno dalla presentazione del ddl Di Nicola, pare essersi sbloccata il 17 dicembre 2019 quando in Commissione Giustizia è stata approvata una versione emendata della proposta dei 5 Stelle: all'articolo 96 del codice di procedura civile si inserirebbe un comma che prevede i danni punitivi nel caso di richieste danni immotivate o in cattiva fede, e tali danni ammonterebbero a non meno di un quarto del danno dichiarato (e non più alla metà). L'approvazione, con il relativo proseguimento dell'iter in aula, è stata accolta con molto favore dalla categoria dei giornalisti. Si tratterebbe di una chiara misura anti-SLAPP.
5.4. Autodifesa e contrattacco
I giornalisti italiani considerano da tempo le querele pretestuose un’emergenza, e visti i fallimenti di diverse iniziative parlamentari la categoria si è organizzata per cercare almeno delle soluzioni tampone. Fra le soluzioni applicate, spiccano alcune misure di solidarietà:
- come spiegato a OBCT da Antonella Napoli, giornalista sotto protezione, il modo migliore per aiutare i colleghi colpiti da SLAPP è fornire loro la cosiddetta “scorta mediatica”: ripubblicare le loro inchieste, parlare di loro, amplificare il loro lavoro, è un modo per non farli sentire soli e per dare spazio alla verità giornalistica;
- come deciso nel maggio 2019 dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti , “considerando l’abnorme numero di iniziative giudiziarie temerarie il cui scopo è quello di colpire la libertà di stampa”, c’è l’impegno a “sostenere i giornalisti oggetto di azioni legali intimidatorie” con strumenti adeguati;
- nel 2011, l’Associazione Stampa Romana ha aperto lo sportello “Roberto Morrione querele temerarie ”, e dal 2015 un analogo servizio di assistenza legale gratuita è attivo grazie all’associazione Ossigeno per l’informazione.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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