Mentre la Grecia perde ben 38 posizioni rispetto al 2021 nella classifica annuale di Reporter Senza Frontiere, l'opinione pubblica viene a sapere del caso di sorveglianza del giornalista investigativo Thanasis Koukakis. Lo spyware usato si chiama Predator e ancora non è chiaro chi ci sia dietro
“Thanasis, sai qualcosa di questa questione?” È bastato un click sul link che accompagnava questo messaggio apparentemente innocuo per infettare con lo spyware Predator lo smartphone del giornalista Thanasis Koukakis lo scorso 12 luglio 2021.
Quando si è rivolto al Citizen Lab dell’Università di Toronto per far analizzare il suo dispositivo, Koukakis – reporter finanziario della CNN Greece che ha collaborato anche con CNBC e con il Financial Times – nutriva già da tempo il sospetto che i suoi dispositivi fossero sotto sorveglianza e le sue comunicazioni intercettate. Nell’agosto del 2020, il giornalista si era infatti rivolto all’ADAE, l’autorità greca che si occupa della sicurezza e della privacy delle comunicazioni, chiedendo di indagare.
La richiesta di Koukakis è rimasta senza risposta per mesi. Infine, nel marzo 2021, con un emendamento introdotto all’ultimo minuto, il governo ha modificato la legge che consentiva all’ADAE di informare i cittadini monitorati dai servizi segreti ellenici (EYP) anche se la loro sorveglianza era motivata da ragioni legate alla sicurezza nazionale.
Il Citizen Lab ha in seguito confermato che lo spyware Predator era presente sullo smartphone di Koukakis per almeno 10 settimane tra il luglio e il settembre 2021, senza escludere che la sorveglianza potesse estendersi anche ad altre circostanze.
La vicenda della sorveglianza di Koukakis è stata resa pubblica ad aprile da Inside Story , che nelle scorse settimane ha portato avanti un’inchiesta che si arricchisce di particolari sempre più inquietanti. È emerso infatti che quello inviato a Koukakis non è l’unico link “infetto”: sono stati acquistati almeno 50 domini web greci somiglianti a quelli di testate e siti greci conosciuti, utilizzati per trarre in inganno i potenziali bersagli e installare Predator sui loro dispositivi. Se si considera che ogni dominio può essere indirizzato a più di una vittima, la platea dei sorvegliati potrebbe essere molto ampia.
Chi si nasconde dietro a Predator?
Sviluppato da una start-up nord macedone, Predator è venduto da Intellexa, azienda con sede (fantasma) proprio ad Atene. Ma chi ha acquistato lo spyware? Secondo il Citizen Lab, è difficile ipotizzare che un’azienda privata abbia la capacità economica per acquistare Predator e un margine di legalità per utilizzarlo.
Alcune mail pubblicate da Wikileaks nel 2015 e ripescate da Inside Story rivelano che sin dal 2011 lo stato greco aveva mostrato interesse per l’acquisto di dispositivi di sorveglianza remota. Reporters United ha inoltre dichiarato di essere in possesso di documenti che provano che le comunicazioni di Koukakis erano state effettivamente intercettate dai servizi segreti, che avevano interrotto bruscamente il monitoraggio solo quando il giornalista si è rivolto all’ADAE per chiedere lumi.
Interpellato però sulla questione, il portavoce del governo ha assicurato che le autorità greche “non utilizzano gli specifici software” descritti nella vicenda in questione, né hanno rapporti con le aziende che li producono e li mettono in commercio. Una versione dei fatti confermata anche dal ministro dello Stato Giorgos Gerapetritis.
Se le autorità greche non erano in possesso dello spyware, resta da capire chi ne ha fatto uso, con quale autorizzazione, e a danno di quali e quanti cittadini.
Libertà di stampa in declino
La procura ateniese ha avviato un'indagine sul caso Koukakis, che rischia di scoperchiare un vaso di Pandora sulla sorveglianza di decine di privati cittadini greci. Il monitoraggio da parte dell’EYP delle comunicazioni del giornalista, autore di numerose inchieste sulle banche elleniche, si inserisce anche nel dibattito sulla libertà di stampa in Grecia.
Nel suo rapporto annuale pubblicato il 3 maggio, Reporter Senza Frontiere (RSF) ha evidenziato come la libertà di stampa in Grecia abbia “subito gravi battute d'arresto nel 2021 e 2022”. Atene perde 38 posizioni rispetto al rapporto precedente, e scivola all’ultimo posto tra i paesi UE, alle spalle anche di Ungheria e Bulgaria.
Sulla valutazione negativa di RSF pesa soprattutto l’omicidio del giornalista Giorgos Karaivaz, avvenuto il 9 aprile 2021 e rimasto finora senza colpevoli, nonostante le autorità greche avessero assicurato un rapido corso della giustizia.
Il giorno successivo alla pubblicazione del rapporto, il governo greco ha inviato a RSF una lettera di protesta , accusando l’ONG di “infangare ingiustamente l'immagine di un paese europeo democratico” e mettendo in dubbio la bontà della metodologia utilizzata. Il segretario generale di RSF Cristophe Deloire ha risposto che “il governo greco farebbe meglio a concentrarsi sulla soluzione dei problemi molto concreti che i giornalisti greci si trovano ad affrontare”.
Il governo greco e l’ossessione per il “controllo del messaggio”
Il declassamento della Grecia all’ultimo posto in UE per libertà di stampa secondo RSF ha colto di sorpresa i più, ma non erano mancati i segnali d’allarme lanciati dagli addetti ai lavori.
Il Media Freedom Rapid Response (MFRR) , progetto di cui fa parte anche OBCT, aveva condotto una missione online nel dicembre 2021, pubblicandone i risultati lo scorso marzo. “La crisi sistemica della libertà di stampa in Grecia è stata aggravata dai tentativi del governo di Nuova Democrazia di ‘controllare il messaggio’ e di minimizzare le voci critiche e dissenzienti”, si legge nel rapporto MFRR.
Oltre al caso Karaivaz, vi sono le responsabilità del governo nell’assegnazione poco trasparente dei fondi destinati ai media per diffondere messaggi di salute pubblica durante la pandemia. In un panorama mediatico caratterizzato da elevata polarizzazione, l’allocazione dei fondi si è trasformata in un modo per premiare le voci amiche e punire quelle critiche.
I giornalisti che incontrano più ostacoli nel loro lavoro quotidiano sono quelli che si occupano di proteste e di immigrazione. Alle manifestazioni, i fotogiornalisti devono guardarsi sia dall’ostilità delle frange più estreme dei manifestanti, sia dagli abusi e dalla violenza della polizia.
I giornalisti impegnati negli hotspot migratori del Paese vengono sottoposti regolarmente ad arresti, detenzioni arbitrarie e sorveglianza - come nel caso di Stavros Malichudis, monitorato dall’EYP durante il suo lavoro sull’isola di Kos.
La ragione di queste intimidazioni ai danni dei professionisti dell’informazione è che le autorità greche sono state accusate sia da organizzazioni che si occupano di diritti umani che da inchieste giornalistiche internazionali di trattamenti inumani ai danni dei richiedenti asilo, (inclusi respingimenti irregolari dei migranti nell’Egeo ), ma hanno sempre negato.
Il governo ha incaricato l’Autorità Greca per la Trasparenza (NTA) di svolgere un’indagine indipendente sui respingimenti documentati dai giornalisti, ma nel presentare i risultati la NTA - che ha difeso l’innocenza delle autorità greche - non ha oscurato accuratamente i nomi dei testimoni intervistati, rivelando involontariamente che molti erano membri della polizia e della guardia costiera, e pochissimi i migranti e i rappresentanti delle NGO.
Infine, c’è il capitolo relativo alle minacce legali utilizzate per ostacolare il lavoro giornalistico. Desta preoccupazione la persecuzione giudiziaria di Kostas Vaxevanis e Ioanna Papadakou, che negli anni passati hanno contribuito a rivelare lo schema di corruzione messo in atto in Grecia dal colosso farmaceutico Novartis durante gli anni più duri della crisi economica.
Il MFRR identifica anche una serie di cause intimidatorie (SLAPP) intentate da potenti multinazionali ai danni di giornalisti indipendenti. Stavroula Poulimeni, giornalista del sito di notizie Alterthess, è stata trascinata in tribunale da Efstathios Lialios, dirigente dell’industria mineraria già condannato per inquinamento delle acque in Calcidica (condanna poi confermata in appello). Lialios ha accusato Poulimeni di aver danneggiato la sua reputazione pubblicando in un articolo del 2020 i nomi dei condannati, chiedendo un risarcimento di 100mila euro nonostante l’articolo fosse basato su una sentenza già emessa e disponibile al pubblico. Il processo contro la giornalista è cominciato oggi 19 maggio.
Il progetto DJAS è co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa.
Questo progetto ha ricevuto finanziamenti dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell'Unione europea in virtù della convenzione di sovvenzione Marie Skłodowska-Curie n. 765140.
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