Da una foto del 1917

7 ottobre 2020

bubble icon

Una foto in posa, come quelle che si facevano all’epoca, cercando di raccontare storie di vita attraverso i dettagli di scatti il più possibile curati. Siamo ad Alba di Canazei, nel mezzo delle Dolomiti della Val di Fassa asburgica, ed è il 1917.

Sono gli anni della Grande guerra, un conflitto che non si era mai visto in Europa, tanto meno in queste valli, e che ha devastato il territorio, sfibrando le popolazioni e strappando le vite di schiere di soldati su entrambi i lati del fronte.

 Alba di Canazei - 1917. Da sx: donne ladine, prigioniero russo, soldato austroungarico che fuma, anziana donna, due soldati austroungarici

 Alba di Canazei - 1917. Da sx: donne ladine, prigioniero russo, soldato austroungarico che fuma, anziana donna, due soldati austroungarici

Sono protagoniste di questa foto alcune donne locali e tre soldati austro-ungarici a riposo. Nel mezzo, a cavalcioni sulla botte, un prigioniero di guerra russo. Cosa ci faceva lì, a centinaia di chilometri dal fronte dove era stato catturato, lo abbiamo raccontato in questo articolo. Ma l’enorme numero di prigionieri serbi e russi ammassati tra il 1915 e il 1918 nell’odierno Trentino-Alto Adige/Südtirol come forza lavoro coatta non era utilizzata solamente per la costruzione di strade, ferrovie, trincee e forti, a servizio dello sforzo bellico. Era urgente anche continuare a coltivare la terra e la maggior parte dei trentini e dei sudtirolesi adulti era stata spedita a combattere in Galizia.

Per questa ragione, alle famiglie era concesso di “prendere a noleggio”, dietro il pagamento di una specifica tariffa, i prigionieri; in alcuni casi perfino custodendoli nelle proprie abitazioni. Non solo le condizioni di lavoro nei campi per serbi e russi erano meno estreme, ma tali situazioni potevano finire per intaccare quell’atteggiamento di diffidenza o ostilità della popolazione locale verso i prigionieri nemici, dettato sia dalle autorità che dalla lotta quotidiana per la sopravvivenza in un contesto di fame diffusa. 

Ed ecco quindi la comparsa di fotografie come questa, le denunce di pericolosa “fraternizzazione con il nemico” e perfino l'intrecciarsi di relazioni amorose clandestine. La guerra determinò d’altra parte un passaggio epocale nelle campagne: in assenza di padri, mariti e fratelli le donne divennero d’un tratto “padrone di casa”, responsabili della produttività, di fronte a nuove crepe nel rigido sistema di controllo dei corpi.

Questo è solo uno dei tanti temi che riscopriremo nell’ambito di un nuovo progetto dal titolo “Gli ultimi delle Grande guerra: memoria in rete”, sostenuto da Fondazione Caritro, coordinato dal Museo italiano della guerra di Rovereto e in partenariato con Fondazione Mach, Associazione Forte delle Benne e Centro Astalli Trento. Nei prossimi mesi ci impegneremo in attività di ricerca, mapperemo la presenza dei prigionieri serbi e russi nelle valli alpine, organizzeremo attività didattiche nelle scuole riprendendo la collaborazione con Wikipedia e prepareremo una mostra fotografica che verrà ospitata al Castello di Rovereto.