I Balcani e il Caucaso a Torino: una presenza consistente e di livello. Dai cowboy macedoni ai ragazzi di Zemun, passando per una commedia noir alla greca. Una rassegna sull'ormai prossima 36ma edizione del Torino Film Festival
Torna da venerdì fino a sabato 1 dicembre il Torino Film Festival con la 36° edizione. Il film d'apertura sarà “The Front Runner” di Jason Reitman con Hugh Jackman, Vera Farmiga, J.K. Simmons e Alfred Molina, sulla vicenda del senatore Gary Hart candidato democratico alla Casa Bianca nel 1988, travolto durante la campagna elettorale dalla notizia di una sua relazione extraconiugale. Per la chiusura è stato scelto “Santiago, Italia” di Nanni Moretti, documentario sul ruolo dell'ambasciata italiana in Cile dopo il colpo di stato di Pinochet l'11 settembre 1973. Nel mezzo un programma ricchissimo con un premio al grande attore Jean-Pierre Léaud, le imperdibili retrospettive dedicate a Powel e Pressburger e Jean Eustache, l'omaggio a Ermanno Olmi, la carta bianca a Pupi Avati, con un totale di 176 titoli, tra i quali 133 lungometraggi. La presenza dell'area balcanica e caucasica è, anche stavolta, abbastanza consistente nel numero e interessante come livello, con alcune proposte molto valide.
Il concorso internazionale lungometraggi comprende 15 titoli, tra i quali “Ride”, l'esordio dietro la macchina da presa dell'attore Valerio Mastandrea. In gara c'è anche il greco “Oiktos - Pity” di Babis Makridis, al secondo lungometraggio dopo “L” (2012), scritto con lo sceneggiatore di Yorgos Lanthimos, Efthymis Filippou. Il film, coprodotto con la Polonia, ha debuttato al Sundance e si annuncia come una commedia nera nei canoni del cinema greco contemporaneo. La storia di un avvocato di successo destabilizzato dal risveglio della moglie dal coma e che si accorge di poter essere felice solo quando è infelice.
Nella sezione Festa mobile ci sono il russo “Dovlatov” di Aleksey German jr., Orso d'argento all'ultimo Festival di Berlino come miglior contributo tecnico per la costumista e scenografa Elena Okopnaya. Sei giorni nella vita dello scrittore Sergej Dovlatov, interpretato dal giovane e talentuoso attore serbo Milan Marić, nella Leningrado del 1971. Poi vi è la ricerca a più voci, tra Trieste e Slovenia, tra realtà e finzione, tra passato e presente de “I nomi del signor Sulcic” di Elisabetta Sgarbi, con la musica di Franco Battiato. Coproduzione tra Gran Bretagna, Serbia e Francia è “The White Crow” dell'astro della danza Ralph Fiennes, sulla storia di Rudolf Nureyev (interpretato da Oleg Ivenko), su sceneggiatura di David Hare.
Il Torino FilmLab è tra i principali istituti internazionali che sostengono e finanziano lo sviluppo di film e da qualche anno presenta all'interno del TFF le produzioni dell'anno precedente. Tra queste spicca “Zgodovina ljubezni – History of Love”, secondo lungo della slovena Sonja Prosenc (“Drevo – L’albero” del 2014), una coproduzione Slovenia/Norvegia/Italia già presentata ai festival di Karlovy Vary e Portorose. La storia dell’adolescente Iva che ha perso la madre musicista in un incidente automobilistico e ne scopre la relazione con il direttore d’orchestra Erik. È l'inizio di un percorso per affrontare i traumi del passato. Con uno stile sospeso e non lineare, suggerendo senza spiegare, con una narrazione che emoziona e ha bisogno di decantare, Prosenc conferma quanto di buono c'era nel primo con il ritorno di alcuni temi, come l'isolamento o un rapporto anche duro con la natura. Un'esplorazione non banale del dolore e della perdita, condotta da una musica che non sta solo nelle note: tra i momenti più belli c'è proprio l'ingresso di Iva nel teatro e la scoperta improvvisa della musica.
Nella competizione Internazionale.doc c'è il serbo “Taurunum Boy” di Jelena Maksimović e Dušan Grubin, che racconta la vita quotidiana dei ragazzi di Zemun (Taurunum era il nome dell'antico insediamento pre-romano), la città sul Danubio che fa parte della municipalità di Belgrado. Il tifo per la locale squadra di calcio, il vagabondare lungo il fiume e in città, la scuola e la famiglia, le feste, l’estate, le gite e gli amici.
Concorre in Italiana.doc la coproduzione Italia / Macedonia “Cowboy Makedonski” di Fabio Ferrero. È la storia di Goran, che arriva nelle Langhe nel 1993 e fonda una cooperativa che fornisce la manodopera per i lavori in vigna per molti produttori di Barolo. Quando arriva la crisi economica, i lavori diminuiscono e la concorrenza si fa agguerrita. Così è il momento di tornare in Macedonia e fare i conti con le cose rimaste in sospeso.
Novità dell'anno è il programma chiamato “TFFdoc / Apocalisse”, che in 11 opere prova a interpretare un mondo al collasso. Tra questi c'è “Life = Cinematic Imperfections” di Avo Kaprealian, coproduzione Libano / Armenia, il regista siriano d'origine armena rivelato da “Houses Without Doors” del 2016, sulla distruzione di Aleppo vista dalla finestra di casa. Il nuovo lavoro “è un film sull’esistenza umana, sul teatro e sul cinema; sul passato, il presente e il futuro, sul partire, sulla discontinuità e le cesure, sulla deformità, il vuoto e i buchi neri che si formano nello spirito; un film sulla cura e sulla ricerca dell’anima”.
La sezione più sperimentale Onde ospita due registi importanti, uno già affermato e uno da tenere d'occhio. Quest'ultimo è il turco Gürcan Keltek che si era rivelato con il politico “Meteore – Meteorlar” e torna con il mediometraggio “Gulyabani”. Un altro film spazzante che fa i conti con l'incontro e con il rimosso di una società. La violenza, gli abusi, i pregiudizi, ma anche un legame con il soprannaturale e lo spirituale, attraverso la storia di una donna di Smirne a partire dalle pagine di un diario e con l'utilizzo anche di immagini di repertorio.
Il romeno Radu Jude (già affermato con “Aferim!” o “Scarred Hearts”) torna a riflettere sulla storia recente del suo Paese in “I Do Not Care If We Go Down In History As Barbarians”, una coproduzione Romania/Germania/Bulgaria/Francia/Repubblica Ceca. Jude segue una regista mentre prepara e mette in scena uno spettacolo sul militare e politico romeno Ion Antonescu, che fu primo ministro e poi dittatore e nel 1941 avviò la pulizia etnica del fronte orientale. Un personaggio controverso e in parte rimosso che tra le altre cose affermò: «Non m’importa se passeremo alla storia come barbari». Un film sul rapporto fra memoria, identità e rappresentazione.
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