A marzo un'inchiesta del The Observer ha raccontato ciò che purtroppo già si sapeva, senza che nessuno però intervenisse: nelle campagne del sud Italia donne immigrate subiscono orribili violenze. Un'intervista
Il 12 marzo 2017 un reportage del The Observer ha riacceso i riflettori sul fenomeno del caporalato nelle campagne del sud Italia denunciando le dure condizioni, di violenza e abuso, in cui vivono migliaia (5.000 secondo il settimanale inglese) di cittadine romene, lavoratrici stagionali nelle campagne siciliane del ragusano. Dopo la pubblicazione le istituzioni romene sono corse ai ripari, organizzando appena due giorni dopo presso il Senato romeno un’audizione parlamentare sul tema, mentre tra il 15 e il 17 marzo una delegazione guidata da Andreea Păstârnac, ministra per i romeni all’estero, si è recata a Ragusa per incontrare i rappresentanti delle amministrazioni locali e le organizzazioni per la difesa dei diritti dei migranti, come richiesto dal Primo ministro Sorin Grindeanu.
Bucarest e Roma sono da anni a conoscenza della situazione, più volte denunciata da inchieste giornalistiche. In passato le autorità romene hanno sottovalutato il problema, mentre quelle italiane si sono limitate ad attendere improbabili denunce da parte delle donne. Ora però sembrano intenzionate a collaborare nella lotta contro lo sfruttamento delle lavoratrici romene. Tra le varie proposte emerse in questi giorni c’è quella di istituire - attraverso azioni bilaterali - un luogo di rifugio per le donne che decidono di denunciare e fuggire. Il provvedimento potrebbe avvantaggiarsi della recente (ottobre 2016) emanazione in Italia della legge sul contrasto al caporalato, che prevede l’estensione delle provvidenze del fondo anti-tratta alle vittime dello sfruttamento del lavoro in agricoltura.
Silvia Dumitrache, in Italia dal 2003, fondatrice e presidentessa dell’Associazione delle Donne Romene in Italia (A.D.R.I), da anni denuncia la situazione vissuta in Italia dalle sue concittadine nelle campagne del Sud. Il 14 marzo era in Parlamento a Bucarest, invitata a partecipare all’audizione parlamentare promossa e voluta dal senatore Viorel Badea che ha ritenuto "necessario coinvolgere e ascoltare le persone che hanno lavorato per raccogliere le denunce sui lavoratori romeni che si trovano in situazioni estreme".
Le abbiamo chiesto di raccontarci come si è svolta l’audizione parlamentare e di commentare la richiesta ufficiale di collaborazione con le autorità italiane da parte del governo romeno.
Silvia Dumitrache, lei da anni si è fatta portavoce di importanti battaglie a sostegno delle sue connazionali che vivono in Italia. Come ha accolto la notizia della convocazione in parlamento a Bucarest?
Sono stata davvero molto contenta dell’invito che mi è stato rivolto (e a fine mese sarò anche al Parlamento europeo) e dell’occasione per poter denunciare la situazione di sfruttamento dei lavoratori romeni in Italia, specialmente delle donne. L’audizione parlamentare è stata organizzata molto bene, oltre a me dall’Italia c’era anche Emilia Spurcaciu, sindacalista della Cgil Romania. Ci sono stati spazi ampi di ascolto e anche di dibattito, così come una grande copertura mediatica sia da parte dei giornali che dalle trasmissioni televisive, così finalmente non solo i politici, ma anche i cittadini in Romania sono stati informati rispetto a quello che succede ai loro connazionali in Italia, perché si tratta di una realtà che per anni in generale è stata negata, sia ai livelli più alti, dalla politica, sia a livelli più bassi, dalla gente normale.
L’incontro tra delegazione romena e funzionari italiani è stato accolto da alcune organizzazioni che operano in quei luoghi come un passo fondamentale e di grande rilievo, da altre invece come l’ennesimo atto simbolico, a cui non seguirà nulla di concreto una volta che si saranno spenti nuovamente i riflettori, lei che idea si è fatta?
L’incontro in Sicilia è durato tre giorni ed è stato importante perché finalmente le istituzioni romene, tra cui c’era anche l’ambasciatore, hanno incontrato quelle italiane, ma hanno incontrato soprattutto la comunità romena che vive lì. La ministra per i romeni all’estero inoltre ha dichiarato che ci saranno incontri periodici a cadenza mensile per aggiornarsi a vicenda sulla situazione in corso, soprattutto nel ragusano, ma in Italia in generale.
Se mi guardo indietro non dovrei essere troppo fiduciosa perché è già successo altre volte che alcune persone venissero in Italia, una stretta di mano e non si facessero più vedere. Mi auguro però che questa volta vada diversamente. Ho avuto la possibilità di parlare con la nuova ministra per i romeni all’estero e mi è sembrata credibile, finora non si è tirata indietro e sta rispettando quanto annunciato.
Il lavoro nelle campagne permette di migrare con la famiglia - diversamente da chi assiste gli anziani in casa nel nord Italia. Ma le condizioni di vita implicano alti livelli di violenza e abuso, siamo di fronte a donne spesso vittime due volte, dei loro mariti e dei loro padroni, come si può intervenire?
Per quanto riguarda le persone che già vivono in queste drammatiche condizioni servono senz’altro degli interventi di emergenza, bisogna che queste persone vengano incontrate e intercettate sui luoghi di lavoro, nelle campagne o dove si recano a fare la spesa ecc., poi c’è bisogno, ma questo c’è da anni, di fare un serio lavoro di prevenzione del fenomeno in Romania, specialmente nelle regioni del nord-est del paese, da dove arriva la maggior parte di questi migranti. Sono zone di forte povertà, una povertà che rende queste persone vulnerabili e facilmente sfruttabili, lasciandole spesso senza scelta perché molti di loro non avrebbero dove tornare, a fare cosa? Non c’è davvero possibilità di lavoro.
Quindi senz’altro bisogna intervenire per rendere queste persone più consapevoli dei loro diritti, chi vive in così tanta povertà e sofferenza a volte si dimentica che ci sono dei diritti umani. Qui non si parla solo di sfruttamento lavorativo e di mancanza di un lavoro dignitoso, ma proprio di diritti umani, c’è di mezzo la tratta, le violenze sessuali e gli aborti, di cui nessuno parla.
Questa situazione in Romania si sa da anni, ma nessuno finora ha preso decisioni o si è voluto assumere la responsabilità di agire.
Le piazze della Romania a febbraio sono state animate da quella che è stata definita una richiesta di più Europa, guardata con favore da Bruxelles, parallelamente assistiamo all’impiego dei migranti dell’est in sostituzione alla manodopera africana, perché regolari e quindi paradossalmente più invisibili e sfruttabili. Da cosa scappano queste persone e cosa cercano in quest'Europa che per loro non c’è?
Queste persone scappano da una situazione di grande povertà ma arrivano in un inferno, dal quale è difficile potersene andare, dove è complicato poter denunciare, perché non saprebbero dove farlo e a chi rivolgersi. Vivono in luoghi molti isolati, dove mancano i collegamenti, quindi oltre alla paura e alla vergogna che spinge molte donne a non denunciare per timore delle conseguenze immediate, quali la perdita del lavoro e dell’abitazione, se così possiamo chiamarla, ci sono anche difficoltà concrete legate all’isolamento in cui vivono, lontane chilometri da tutto.
Oltre a questo poi, in seguito alle denunce, generalmente c’è anche l’impossibilità di trovare un nuovo lavoro in quelle zone, perché tutti sanno chi si è ribellato.
Ritengo inammissibile che l’Italia, che è uno dei paesi fondatori dell’Unione europea, e l’Europa stessa, permettano il perpetuarsi di questa situazione.
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