Si è aperta il 17 aprile la 13ma edizione del Festival del cinema europeo di Lecce. Che dedica una retrospettiva a Emir Kusturica, il regista che ha segnato un'epoca, tra creatività e polemiche
Riccioli ribelli, la musica nel sangue, una capacità di costruire immagini rara. E pure quella di stare sempre in mezzo alle polemiche traendone di solito vantaggio. È Emir Kusturica, uno dei cineasti più visionari e folli, più premiati e riconoscibili del cinema contemporaneo. Anche se la sua vena creativa pare ultimamente inaridita, è sempre al centro della scena, come regista, musicista, attore, produttore, scrittore e organizzatore di festival. Kusturica è protagonista di una retrospettiva nell’ambito del 13° Festival del cinema europeo di Lecce, in programma da martedì 17 a sabato 21 aprile. Oltre alla riproposizione delle sue pellicole (il capolavoro “Underground” in versione integrale), sono in programma una mostra fotografica e un concerto della formazione Stribor Kusturica and the Poisoners.
Si tratta di un momento particolare per fare il punto sulla carriera del regista. L’ultima sua pellicola di finzione è del 2007, “Promettilo” (il suo film meno riuscito), cui è seguito, l’anno dopo”, il documentario “Maradona, el pibe de oro”. L’unico film che ora lo vede coinvolto è “Words With Gods”, dov’è regista e attore di un episodio. Autore precoce ed eclettico ma non troppo prolifico, Kusturica, nato a Sarajevo nel 1954, studi alla Famu di Praga, esordio nel ’78 con il film tv “Arrivano le spose” e al cinema nell’81 con “Ti ricordi di Dolly Bell?”, negli ultimi dieci anni ha realizzato solo due lungometraggi (l’altro è “La vita è un miracolo” del 2004). Una stagione di stasi, forse di minor creatività, per uno dei registi più imitati e criticati di oggi.
Genio e polemiche
Lasciando da parte le discutibili opinioni storico/politiche espresse in varie occasioni e le sterili polemiche legate ai finanziamenti di alcune sue pellicole, non c’è dubbio che si tratti di uno dei cineasti più talentuosi, influenti e carismatici degli ultimi decenni. Per quanto riguarda il cinema dell’Europa orientale assolutamente centrale e imprescindibile.
Il cinema di Kusturica riassume i tratti del mondo balcanico di cui è stato forse il maggiore ri-creatore e re-inventore. I suoi film hanno reso e fatto conoscere, anche trasformandolo in “esotico” e “bizzarro”, lo spirito eccessivo dei tanti popoli che abitano un’area che negli stessi decenni ha vissuto trasformazioni e conflitti terribili. Il mix di grottesco e tragedia, di malinconia e vitalismo, di orrore e bellezza, di amore e morte, scontro di simili e conciliazione di opposti che va sotto il nome di "balcanico".
Kusturica ha fatto tesoro degli insegnamenti dei suoi maestri o ispiratori, come Otakar Vàvra e Jiri Menzel (suoi insegnanti alla Famu di Praga), Ivica Matić, Andrej Tarkovskij o Federico Fellini, trovando però un forte tratto originale e personale. Tanto da diventare fonte di ispirazione a sua volta, per tutta una serie di cineasti che oggi si rifanno al suo “realismo magico” fatto di levitazioni, gag, numeri musicali ed eccessi visivi ed esistenziali. La sua macchina da presa sempre più virtuosa negli anni, mobile, tanto da non aver più freni spaziali o gravitazionali. La recitazione ora misurata, ora sopra sopra le righe dei suoi attori (in particolare Miki Manojlović, Lazar Ristovski e Slavko Štimac).
Colonne sonore
La presenza imprescindibile della musica, sempre trascinante e in primo piano. Zoran Simjanović, serbo tra i maggiori compositori di colonne sonore dell’ex Jugoslavia, fu il musicista per i primi film, fino a “Papà è in viaggio d’affari” (1985). E compreso “Ti ricordi di Dolly Bell?”, folgorante esordio nel 1981, che si ricorda soprattutto per la versione di “24.000 baci” di Adriano Celentano.
Poi il sodalizio con Goran Bregović per “Il tempo dei gitani” (una soundtrack storica, che fece conoscere la tradizionale “Ederlezi” in tutto l’Occidente), “Arizona Junior” (con la partecipazione memorabile di Iggy Pop) e “Underground”. Per la sarabanda di sposi folli e vecchi eccentrici “Gatto nero gatto bianco” si affida ai virtuosismi di Vojislav Aralica, Nele Karajlić – leader degli "Zabranjeno Pušenje" - e Dejan Sparavalo. Quest’ultimo scrive le musiche pure per “La vita è un miracolo” (e per “Jagoda: Fragole a supermarket” prodotto e interpretato da Kusturica). Fino ad affidarsi al figlio musicista Stribor: “Blue Gipsy”, episodio nel collettivo “All The Invisibile Children” sceneggiato dallo stesso Stribor, “Promettilo!” e “Maradona”. In mezzo, nel 2001, la parentesi “Super8 Stories” dove raccontava il tour della sua band “No Smoking” con grande cast di strumentisti e il mito Joe Strummer nella parte di se stesso. A riprova della passione musicale, in “Triplo gioco” di Neil Jordan, una delle sue prove d’attore in film altrui (tra le altre da menzionare “L’amore che non muore” di Patrice Leconte), è un chitarrista che suona i riff di Jimi Hendrix.
Otto (più due) lungometraggi di finzione e due documentari lunghi sono relativamente pochi ma l’hanno reso, a neanche sessant’anni, una personalità che ha segnato un’epoca. Si è rinnovato, è stato capace di assorbire stimoli e catturare i momenti, reinventarsi, confrontarsi pure con il sogno americano senza soggezioni. Qualità che fanno pensare che il suo contributo al cinema si farà ancora sentire.
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