La storia di Maja non è molto diversa da quella di tante altre persone che nascono e crescono in Italia senza cittadinanza. Storia segnata da ingorghi burocratici e complessità esistenziali, dentro un quadro legislativo da tempo superato dalla situazione demografica e sociale italiana
Maja è nata a Mostar nel 1981 ed è in Italia dagli anni Novanta, dove è arrivata in seguito alle guerre di dissoluzione jugoslava. È una delle molte persone che vivono sulla propria pelle gli effetti di una mancata riforma della legge sull'acquisizione della cittadinanza. Lavora in una Onlus del sociale in una città del Nord Italia, collabora con lo sportello antidiscriminazione del proprio Comune, ma è coinvolta anche nelle reti “Italianə senza cittadinanza” e “Dalla parte giusta della storia.”
Come tante e tanti altri, nelle ultime settimane è stata impegnata in prima persona nella campagna che ha portato ieri al raggiungimento delle 500mila firme necessarie per indire un nuovo referendum, volto a ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza ininterrotta in Italia richiesti per poter presentare la domanda di cittadinanza.
Le 500mila firme sono state raggiunte dopo una campagna che negli ultimi giorni ha visto il coinvolgimento di un numero crescente di persone. Ti aspettavi questo risultato? Quali sono, dal tuo punto di vista, le potenzialità e i limiti di questa iniziativa? Superato lo scoglio della raccolta firme, credi in un possibile successo al referendum?
È stata una prova superata alla grande, grazie al coinvolgimento degli e delle attiviste delle reti di lancio della Campagna, al supporto di ambienti di attivismo e lotta intersezionali, ai vari ambasciatori (artisti e intellettuali) che hanno sostenuto e rilanciato l’appello per la firma, al terzo settore, ai singoli cittadini e cittadine. Noi promuoviamo dei principi molto chiari ed è evidente che le persone si riconoscono in essi: la cittadinanza è e deve essere un diritto non una concessione arbitraria e insieme vogliamo stare dalla parte giusta della storia.
Siamo consapevoli però che diminuire gli anni per richiedere la cittadinanza italiana attraverso un referendum è solo un inizio e non la meta di una riforma non prorogabile. Sarà anche un chiaro segnale per la politica che la riforma deve essere posta all’ordine del giorno e non certo archiviata perché “non è una priorità” per il Paese. Questa mobilitazione e il raggiungimento dell'obiettivo di raccolta in soli venti giorni è un messaggio inequivocabile: i diritti sono la priorità.
Il successo del futuro referendum penso dipenderà da quante persone torneranno a esprimersi in una cabina elettorale, con la consapevolezza che più di un milione di persone loro concittadini non hanno il privilegio di astenersi, non avendo il diritto al voto. Come Comunità abbiamo il dovere nei confronti di tutte quelle persone, nate in Italia ma senza il diritto al voto, di esprimerci per chi non può.
Vuoi condividere qualcosa della tua vicenda personale? In che modo l’attuale legge sulla cittadinanza ha impattato il tuo percorso?
La mia vicenda, come quella di tante altre persone - ad oggi più di un milione - che nascono e/o crescono in Italia senza cittadinanza è segnata da ingorghi burocratici e complessità esistenziali, dentro un quadro legislativo stabilito nel 1992 e da tanto tempo superato dalla situazione demografica e sociale del nostro paese. Del resto se non sei al 100% cittadino del luogo in cui nasci o arrivi da piccola o piccolo, vivi, cresci, studi, lavori, paghi le tasse, ami, sei impegnata e impegnato, ti fai una famiglia, a quale altro luogo potresti appartenere o fare riferimento? Certo, le origini non si dimenticano e non sarebbe nemmeno giusto, ma è proprio qui la nostra ricchezza, in questo essere dei ponti tra culture, mondi e complessità.
Quando hai sentito la necessità di impegnarti in prima persona per un cambiamento? Come è iniziato il tuo percorso nelle diverse reti di attivismo e come si combina con il tuo impegno lavorativo?
Quando, al di là della vicenda personale, ho realizzato che la questione ha una portata enorme sulle vite di tante persone nate e cresciute qui, in quanto ostacolo all'uguaglianza e a quello che la Costituzione italiana nell’articolo 3 definisce il “pieno sviluppo della persona umana”. L’Italia - la nostra “Cara Italia”, per citare Ghali - fatica ad adattarsi ai cambiamenti sociali avvenuti, rifiutando di riconoscere un diritto basilare, come appunto la cittadinanza, a centinaia di migliaia di persone.
Certo la possibilità esiste, bisogna attendere almeno un decennio senza lasciare mai l’Italia per più di sei mesi, attendere la maggiore età, avere i requisiti economici e poi aspettare che arrivi la concessione, perché abbiamo una legge che si basa sul “diritto di sangue”, per altro scelto decenni fa perché l’Italia fu terra di emigrazione e quindi per tracciare una connessione con i discendenti degli emigrati italiani.
Ma oggi questo impianto è assurdo e desueto. Faccio un esempio pratico: puoi acquisire la cittadinanza per discendenza o filiazione anche se vivi da tre generazioni in Brasile, richiedendola direttamente in loco, senza essere mai stati in Italia. Invece se nasci, vivi e cresci in Italia devi aspettare una concessione dello Stato e dimostrare di avere le carte in regola.
Io lavoro nel sociale, in una Onlus della mia città che si occupa primariamente di accoglienza e servizi per persone immigrate, e so quanto impegno e quanta fatica (sia dei servizi che delle famiglie) si fa per promuovere la cittadinanza attiva e le pari opportunità nelle scuole, nei quartieri, nei centri di aggregazione. Ma poi più di un milione di persone si trovano a vivere una discriminazione istituzionale, non hanno il diritto al voto o di esprimersi in un referendum, per l’appunto.
Mi sconvolge il fatto che mia figlia cresca 30 anni dopo il mio arrivo in Italia, in un paese i cui governanti trovino giusta e legittima una situazione del genere.
La questione della cittadinanza è al centro del dibattito politico da diverso tempo. Come hai vissuto e partecipato a questo dibattito? Che opinioni ti sei fatta?
La frustrazione da anni è tanta e tante sono le occasioni mancate. In primo luogo perché il dibattito è prevalentemente schiacciato sul tema della sicurezza e dell’immigrazione più recente, ma anche perché c’è chi ci vorrebbe invisibili e rassegnati, chi non accetta la realtà dei fatti, il fatto che noi ci siamo e non andremo da nessuna parte (perché questa è anche casa nostra) e che abbiamo aderito alla migliore tradizione sociale italiana: essere cittadini e cittadine attivi, lottare per i diritti civili e impegnarci per una società più equa, per una reale cultura della pace, che senza giustizia e diritti è impensabile. Come reti abbiamo promosso iniziative pubbliche, ciascuna nel proprio territorio, progettualità, abbiamo investito energie nella comunicazione online e offline, elevandoci sempre più a protagonisti, passando dalla rappresentazione alla rappresentanza.
Alcune delle comunità più rappresentate in Italia provengono dai paesi del Sud Est Europa: Romania e Albania in primo luogo, ma anche dai paesi post-jugoslavi. Quanto sono coinvolte nell’attivismo su questo tema le persone con background migratorio in questi paesi?
La rete che anima la comunità delle italiane e degli italiani senza cittadinanza è davvero meticcia e intercontinentale. Diversamente da quanto si può pensare, partendo dal presupposto che parte consistente delle migrazioni dai paesi del sud est europeo sono avvenute negli anni Novanta, non è una presenza marginale e non si tratta di problemi che riguardano marginalmente queste comunità. Stiamo parlando di seconde generazioni prive di cittadinanza che stanno lottando per i propri diritti civili. La presidente di “Italianə senza cittadinanza” è una donna arrivata in Italia dalla Romania a sette anni e che ha ottenuto la cittadinanza solo di recente. Lo stesso vale per l’altra figura di spicco dell’associazione, nata a Scutari in Albania.
La questione sulla cittadinanza in Italia mi ha fatto molto riflettere negli anni. In quanto jugoslava e bosniaca, ho ben chiara la differenza concettuale tra “comunità nazionali” e “cittadinanza”: i cittadini di un singolo Stato possono appartenere a comunità etniche, nazionali, linguistiche o religiose diverse. In Italia si confondono molto spesso questi due significati e la politica dell’ultradestra e dei conservatori su questa confusione costruisce le paure e condiziona l’elettorato.
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Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di “MigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell'Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell'Unione europea.
Referendum
Per tutte le informazioni relative al referendum e per essere indirizzati alla pagina del Ministero della Giustizia con i dati sulla raccolta firme visita il sito: https://referendumcittadinanza.it/
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