Una scena el documentario Babi Yar

Una scena del documentario Babi Yar

Grande varietà della sempre più ricca produzione del cinema dell'Europa centro orientale alla 33sima edizione del Trieste Film Festival, svoltasi lo scorso gennaio. Numerosi i film tra cui spiccano gli ucraini “Babi Yar. Context” di Sergej Loznica, e “Klondike” di Maryna Er Gorbach. Il Premio Trieste per il miglior lungometraggio è andato al romeno “Intregalde” di Radu Muntean

01/04/2022 -  Nicola Falcinella

Quando la guerra in Ucraina cominciava a essere un timore più concreto, ma pochi credevano che sarebbe diventato realtà, è andato in scena il 33° Trieste Film Festival , di nuovo dal vivo nei suoi consueti spazi cittadini, oltre che su MyMovies. Un festival di cui avevamo già anticipato vari titoli e temi, che ha come di consueto reso il quadro vario della sempre più ricca produzione dell’Europa centro-orientale. Nel programma alcune schegge dall’area dell’ex Urss che possono aiutare a capire cosa accade nell’ex impero che Putin vorrebbe restaurare. Da “Gorbachev. Heaven” di Vitalij Manskij (ospite a Trieste), nuovo film intervista con l’ex presidente sovietico dopo quello di Herzog, al documentario “Babi Yar. Context” di Sergej Loznica sul massacro nazista di oltre 30.000 ebrei ucraini, con l’aiuto della polizia ausiliaria ucraina, avvenuto nel settembre 1941, all’interessantissimo “Focus Georgia” sulla vitale cinematografia della repubblica del Caucaso. Nel frattempo “Klondike” dell’ucraina Maryna Er Gorbach, già premiato dal pubblico del Festival di Berlino, ha vinto il primo premio del 36° Festival di Friburgo.

A Trieste, nel concorso documentari vinto dal croato “Tvornice radnicima – La fabbrica ai lavoratori” di Srđan Kovačević e menzione a “Film balconowy – Film dal balcone” di Paweł Łoziński (anche premio del pubblico), c’era il russo “The Case – Delo” di Nina Guseva. Un film inchiesta che può aiutare a capire la giustizia, la società civile e l’opposizione durante il governo di Vladimir Putin. All’inizio un cartello illustra l’articolo 31 della Costituzione della Repubblica russa che stabilisce il diritto di manifestare.

Siamo nel luglio 2019, quando si susseguono una serie di manifestazioni anti-governative a Mosca. L’avvocatessa Maria Eismont, già giornalista giudiziaria, è molto attiva nell’assistere i manifestanti (per lo più giovani) arrestati per le strade dalla polizia, cercando di garantire loro il minimo del sostegno. Nel mese di agosto è arrestato Kostantin Kotov, fermato durante una manifestazione solo perché camminava con un poster. Ci sono immagini che provano cosa è successo, la totale estraneità dell’accusato a qualsiasi disordine, ma il giovane è condannato a 4 anni di detenzione, sentenza confermata in appello. Eismont si convince subito che si tratti di arresti politici e si prende a cuore il caso Kotov: riunisce altri avvocati, cerca la pressione dell’opinione pubblica, fa ancora appello per farlo assolvere, nel frattempo lo visita in carcere. A una domanda di un giornalista televisivo sulla faccenda, Putin, dopo aver detto che nessuna associazione per i diritti umani gli ha mai parlato di Kotov, risponde che negli altri Paesi le pene sono anche più dure e severe e aggiunge che si occuperà del caso. Questo sembra riaprire la vicenda: dopo la revisione del processo, Kotov sarà condannato a un anno e sei mesi e scarcerato al temine del periodo. “Non penso che dobbiamo presumere che tutto nel nostro Paese avvenga per volontà di una sola persona. Non penso che il Presidente influenzi tutte le cose” dichiara l’avvocatessa rispondendo a un’intervista.

“The Case” è un film sicuramente interessante, con un ritmo abbastanza incalzante, che segue passo passo l’avvocatessa, che continua a credere nel ruolo delle persone che fanno sentire la loro opinione e la loro voce seppure in una situazione in cui gli spazi democratici sono molto ristretti. Il documentario mostra le difficoltà nel difendere gli arrestati (circa tremila nell’estate 2019), ad accedere al carcere, a comunicare e pure l’ostinazione di pochi nel battersi per i diritti costituzionali.

Tra i documentari in gara anche la coproduzione Bosnia / Paesi Bassi / Francia “Looking For Horses” di Stefan Pavlović, che ha ricevuto il nostro premio Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa con la motivazione: “Perché è la celebrazione di un'insolita amicizia tra il regista e Zdravko, un pescatore che si è ritirato a vivere vicino a un lago solitario dopo la guerra in Bosnia Erzegovina. Il film descrive la crescita del legame tra Zdravko, che ha perso l'udito dopo l'esplosione di una granata, e il regista che racconta la sua lotta con la balbuzie a partire dall’infanzia. Superando lentamente le barriere nella comunicazione, i due uomini instaurano un rapporto unico, cementato dalla volontà di capirsi nonostante tutto, che si trasforma in un’esperienza di guarigione reciproca. Stefan Pavlović analizza i temi della comunicazione e del trauma in un'opera d'arte originale e toccante, in cui non ha paura di rivelare insicurezze, paure e dubbi. Oggi più che mai, "Looking for Horses" manda un messaggio chiaro alla Bosnia Erzegovina: anche quando le condizioni sono difficili, ascoltarsi e comprendersi non solo è possibile ma costituisce anche un'esperienza straordinaria.

Il Premio Trieste per il miglior lungometraggio è andato al romeno “Intregalde” di Radu Muntean, con menzioni a due ottimi film serbi, “Kelti – Celts” dell’esordiente Milica Tomović (anche premio Cei – Central European Initiative) e “Strahinja Banović - As Far as I Can Walk” di Stefan Arsenijević. Premio del pubblico a “Mrak – Darkling” di Dušan Milić, che sarà nelle sale italiane dal 21 aprile. “Strahinja Banović” è l’adattamento del celebre poema medievale serbo in una chiave molto attuale. Arsenijević (noto soprattutto per “Love and Other Crimes” del 2008) fa diventare il suo protagonista un immigrato africano che vive a Belgrado, giocando a calcio e adoperandosi nel volontariato mentre aspetta l’agognato permesso di soggiorno insieme alla moglie attrice che vorrebbe ricominciare a recitare. Un giorno arriva un gruppo di profughi siriani, tra i quali il fascinoso professore Ali che vuole raggiungere la Gran Bretagna. Quando Ababou parte con i siriani per cercare di attraversare il confine, il marito la insegue combattendo come un guerriero medievale per l’amore, il rispetto, il futuro e i sogni. È un film di dilemmi morali, su quanto a lungo possiamo inseguire i nostri sogni e quanto questi possano cambiare nel tempo e quel che siamo disposti a fare per amore. Una storia di migranti molto realista, con tutto quel che può accadere a chi aspetta un permesso o cerca di varcare un confine illegalmente, che però risulta ancora più universale e più potente intrisa nei sentimenti eterni di Strahinja e quindi un po’ differente dalle “solite” storie di migrazioni. Il film ha vinto l’estate scorsa il Crystal Globe a 55° Karlovy Vary Film Festival.

Il premio Cineuropa è stato assegnato invece a “Looking for Venera” di Norika Sefa, uno dei migliori prodotti dell’onda di cinema del Kosovo che sta tenendo banco nei festival dell’ultimo periodo: in gara c’era l’altrettanto bello “The Hill Where Lionesses Roar” di Luàna Bajrami e, fuori competizione, “Vera Dreams of the Sea” di Kaltrina Krasniqi, rivelazione dell’ultima Mostra di Venezia.

Tra i lungometraggi in gara merita attenzione pure lo sloveno “Orkester” di Matevž Luzar, che segue l’orchestra paesana di Zagorje nei suoi frequenti viaggi per esibirsi, soprattutto in Austria. Cinque storie che si intrecciano, tra autisti e musicisti, durante le trasferte, tra segreti, rivelazioni, colpe, paure, desideri, amicizie, tradimenti e rapporti tra genitori e figli. Una pellicola sulla musica come occasione per stare insieme, festeggiare (i bandisti trascorrono spesso le serate in birreria, anche ubriacandosi), trascorrere momenti lieti, evadere dalla quotidianità e forse scoprire qualcosa di sé. Un film in un elegante bianco e nero, a chiarire che non si tratta di un documentario anche se lo potrebbe sembrare, con la particolarità che l’orchestra non suona quasi mai e osservazioni curiose sulle differenze di costumi e mentalità tra Slovenia e Austria.

Vittoria kosovara anche nel concorso cortometraggi con il bel “Pa vend - Da un posto all’altro” di Samir Karahoda, già in gara a Cannes. Infine tradizionale premio Corso Salani, in ricordo del regista e attore scomparso nel 2010, a “Dal pianeta degli umani” di Giovanni Cioni.


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