Domenico Failutti (1872-1923) fu uno dei ritrattisti più ricercati del suo tempo. Ha vissuto e lavorato a Vienna, Budapest, Parigi, Monaco di Baviera, Bucarest, Sofia, Belgrado… e il Caso lo ha fatto incontrare con Božidar Stanišić
Quando, quel lontano giorno di luglio del 1978, nel museo che porta il nome del re Nikola I Petrović Njegoš, a Cetinje, vidi per la prima volta i ritratti del primo e ultimo re del Montenegro e di sua moglie Milena, non prestai alcuna attenzione al nome dell’autore. Non lo feci nemmeno negli anni Ottanta, quando, per ben due volte, portando in gita gli studenti dell’ultimo anno di una scuola superiore di Maglaj, visitai il Museo nazionale del Montenegro, in cui è inglobata anche l’ex residenza del re Nikola che, oggi come allora, è la sezione più visitata del complesso museale. Per me, che sono un frequentatore occasionale dell’arte italiana – tanto che all’epoca in cui visitai i musei di Cetinje credevo che, ad eccezione di alcuni modernisti (come Modigliani e Guttuso), dopo Giotto, Botticelli, Tiziano, Raffaello, Leonardo, Michelangelo e Caravaggio, non fosse rimasto nient’altro che palude e deserto – l’autore dei ritratti della coppia reale fu, per molto tempo, solo “unitalianoqualunque”.
Così… un italiano qualunque aveva eseguito i ritratti del re Nikola e della regina Milena (due ritratti, a figura intera, della coppia reale sono custoditi in quello che fu lo studio del re, mentre altri due sono esposti nello spazio un tempo riservato alla camera da letto della regina). Osservando quei dipinti ebbi l’impressione che l’occhio di quel pittore qualunque – formatosi evidentemente nel solco della lunga tradizione della pittura ritrattistica classica e accademica – funzionasse come la lente di una macchina fotografica: non gli sfuggiva nulla, si accorgeva di ogni capello bianco, di un anello al dito, della più minuta piega sui vestiti. Fu uno di quei pittori “fotografi” grazie ai quali conosciamo l’aspetto, più o meno fedele alla realtà, di alcuni grandi filosofi, letterati, scienziati, come Spinoza, Goethe, Franklin… (ma anche dei napoleoni di ogni specie, anche se verso le figure di cui sopra abbiamo un maggiore debito di gratitudine, o sbaglio?).
Scoprii il nome di quel pittore qualunque grazie alla Storia in Movimento che negli anni Novanta sconvolse la Bosnia e l’intera regione, tanto che improvvisamente divenni disertore, rifugiato e traditore di due, se non addirittura tre progetti etnici. Ora però non voglio scervellarmi su questa questione, né tanto meno voglio spingere voi a farlo.
Per quella scoperta devo ringraziare anche il Caso, il miglior aiutante della Storia, un commediante che sa perfettamente che la volontà individuale, soprattutto di chi naviga controcorrente, vale due spicci.
Il commediante Caso, solo per ricordare, è quell’arlecchino invisibile, ma onnipresente, di cui parla Miloš Crnjanski nei suoi Commenti alla raccolta di poesie Itaka, un arlecchino che, con una leggerezza incredibile, decide della vita e della morte in tempo di guerra. Nel suo Commento a Sumatra, il giovane poeta, reduce della Grande Guerra, scrisse: “Un giorno avvertii tutta l’impotenza della vita umana e la complessità del nostro destino. Capii che nessuno va dove vuole, rendendomi conto dei legami fino ad allora inosservati”.
Sono ormai anni che cerco di scrivere una prosa su quei legami “fino ad allora inosservati”, anche se suppongo che solo l’occhio impietoso della telecamera possa dimostrare l’effettivo stato delle cose per quanto riguarda la dispersione territoriale degli ex jugoslavi, in particolare dei bosniaci, di tutte le nazionalità, che oggi sono sparpagliati in circa ottanta paesi del mondo.
Non scrivo queste righe per lamentarmi della ferocia della Storia e dei suoi commedianti. No, non avrebbe alcun senso focalizzarsi, egoisticamente, su una sola tragedia, soprattutto oggi, quando milioni di persone sono costrette a migrare, spinte dalle guerre a noi invisibili, dagli interessi economici che muovono quel “mondo migliore” e dalle catastrofi naturali – una realtà che, evidentemente, preannuncia il futuro. Non scordiamoci però – lo ripeto tanto da farvi annoiare? – di quei cinque milioni di cittadini dell’ex Jugoslavia, da Lubiana a Skopje, che tra il 1991 e il 2000 cambiarono il luogo di residenza. Una vicenda che merita di essere ricordata, ma solo se ci può aiutare a comprendere meglio quella enorme Totalità.
Ormai da tempo per me quel pittore di cui parlavamo all’inizio non è più un pittore qualsiasi. Si chiama Domenico Failutti (1872-1923).
Scoprii il suo nome in quel lontano novembre del 1992 quando con la mia famiglia giunsi a Zugliano (nel comune di Pozzuolo del Friuli), davanti al grande cancello di legno del centro di accoglienza per migranti “Ernesto Balducci”. A lasciarci entrare fu don Pierluigi Di Piazza. Fummo i primi tra i tanti profughi dalla Bosnia che trovarono rifugio in questa struttura. Così ebbi anche la possibilità di scrivere.
Abito ancora a Zugliano, in via Domenico Failutti. Lo dico nonostante la famosa privacy. La mia casa si trova nelle immediate vicinanze della casa natale di Failutti, contrassegnata da una targa commemorativa, ormai da restaurare (spesso mi suona alla porta uno di quegli Speedy Gonzales per spedizioni veloci per chiedere se quella sia la strada giusta, perché la targa in metallo con il nome della strada è scomparsa ormai da tempo).
Sto sfogliando nuovamente un libro su Failutti, “amico della verità”, scritto in quel lontano 1923, poco dopo la prematura scomparsa dell’artista, da un gruppo dei suoi ammiratori. C’è tutta la vita del pittore, raccontata in modo dettagliato e con passione, dalla sua nascita in una famiglia di modesti contadini (i suoi genitori si chiamavano Carlo e Eufrasia Fogolin) agli anni in cui raggiunse grande fama e popolarità come ritrattista, passando per il periodo di studio in Friuli – dove, oltre ad un’istruzione di base, ricevette anche un’istruzione artigiana ed ebbe la fortuna di non essere ostacolato nel coltivare il suo talento né dai suoi genitori né da quell’artigiano friulano che aveva capito che sarebbe stato un peccato non incoraggiare quel ragazzo a diventare un artista importante.
Domenico Failutti lavorò come pittore principalmente nelle grandi città d’Europa e dell’America del Sud, dipingendo sì solo quelli che potevano permettersi “un ritratto vero di un servo della verità” [in italiano nel testo originale] (così si potrebbero sintetizzare gli elogi a Failutti di cui abbonda il summenzionato libro), ma pur sempre con una certa bravura, simile a quella dei suoi maestri dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, Ettore Tito e Antonio Dal Zotto, e di quelli con cui studiò a Firenze. Failutti fu uno dei ritrattisti più ricercati del suo tempo, vivendo e lavorando a Vienna, Budapest, Parigi, Monaco di Baviera, Bucarest, Sofia, Belgrado… (non so nulla del suo periodo belgradese.) Raggiunse l’apice della sua fama nell’ultimo periodo della sua vita, trascorso nell’America del Sud, tra Uruguay, Venezuela, Argentina e Brasile. Nel Museo Paolista a San Paolo ci sono due sale interamente dedicate alla produzione artistica di Domenico Failutti, o meglio ai ritratti delle figure importanti e, ovviamente, ricche di quell’epoca. Me lo ha raccontato Augusto, pronipote del pittore, che vive a Zugliano e aveva visitato il Museo Paolista. Qualcosa mi spinge ad aggiungere che, se non fosse stato per Failutti, i volti di quei brasiliani ricchi, influenti e potenti sarebbero ormai caduti nell’oblio.
Domenico Failutti soggiornò a Cetinje tra febbraio e fine giugno del 1910. Il primo ritratto che dipinse fu quello della regina Milena. Mentre lo eseguiva – come raccontano gli autori del sopracitato libro – chiacchierava con Ksenija e Vera, le uniche tra le nove figlie della coppia reale a non essere sposate. Mentre ritraeva il re Nikola i due parlavano, in italiano, soprattutto di Parigi, dove Nikola I Petrović Njegoš (1841-1921) soggiornò prima di essere proclamato principe del Montenegro nel 1860, dopo l’assassinio del principe Danilo. Parlavano anche di Venezia, dell’arte italiana e di una delle figlie del re Nikola, Jelena, regina d’Italia (a Nikola Petrović fu affibbiato il soprannome, scherzoso ma, al contempo, ispirato alla realtà – di “suocero d’Europa” perché ben cinque delle sue figlie furono sposate con regnanti europei, da Mosca a Parigi. Anche il principe Marko, uno dei tre figli del re Nikola e della regina Milena, fu sposato con una donna di origini aristocratiche.
Nikola I Petrović Njegoš fu un uomo molto istruito ed eloquente, ed è noto anche come autore di alcune opere letterarie, tra cui il poema Onam, ‘ nam, che per poco non divenne l’inno nazionale del Montenegro, e il dramma Balkanska carica [L’imperatrice dei Balcani]. Sullo sfondo dei ritratti del re Nikola (tutti eseguiti a grandezza naturale, come anche quelli della regina Milena) Domenico Failutti “aggiunse” i luoghi diventati simboli delle gloriose vittorie del re nelle battaglie contro i turchi: il lago di Scutari, le Bocche di Cattaro, la città di Ulcinj… Failutti si recò più volte alle Bocche di Cattaro, per disegnare il paesaggio locale, a bordo di una nave, messa a disposizione del re.
Tra tutti i dettagli riguardanti i ritratti della coppia reale eseguiti da Failutti, a suscitare maggiore interesse sono i volti del re e della regina.
A quanto pare, all’occhio “fotografico” di Failutti non sfuggì nessun aspetto legato allo stato spirituale ed emotivo dei regnanti. Lo sguardo del re Nikola è lo sguardo di un guerriero e statista, eppure il pittore riuscì a cogliere un’ombra di preoccupazione sul volto del capo di un piccolo popolo determinato a persistere nella sua lotta per la sopravvivenza fisica. Il re Nikola posò per Failutti in uno dei periodi più turbolenti del suo regno, un periodo caratterizzato dalle tensioni politiche interne e dalla rivalità tra la dinastia dei Petrović Njegoš e quella dei Karađorđević. Quest’ultima infatti non vedeva di buon occhio le aspirazioni del re montenegrino, il quale non aveva mai nascosto le proprie pretese al trono serbo, ma anche ad un futuro trono jugoslavo che arditamente s’immaginava potesse esistere. Anche l’intenzione di Nikola Petrović Njegoš di proclamare il regno del Montenegro e di assumere il titolo di re suscitò reazioni negative a Vienna, Istanbul e Belgrado. Inoltre, la crisi di annessione (scoppiata nel 1908 a seguito della decisione di Vienna di annettere la Bosnia Erzegovina) era ancora attuale, quindi il re Nikola – che aveva contributo molto alla modernizzazione del Montenegro, governando abilmente il paese e cercando alleati potenti – di certo non poteva stare sereno.
Quanto invece ai ritratti della regina Milena, nonostante il suo volto e la sua postura denotino riservatezza e moderazione, la figura di Milena – nel suo triplice ruolo di madre, moglie e regina – è avvolta da una nube di inquietudine. È come se sul suo volto galleggiassero le parole, inespresse, ma tutt’altro che astratte: cosa ci aspetta? Dove andiamo? Milena era la figlia dell’influente voivoda Petar Vuković, amico di Nikola Petrović Njegoš. Fu promessa al suo futuro marito all’età di sei anni e data in sposa all’età di tredici anni.
È facile “leggere” i ritratti delle persone il cui destino è ben noto. Già, a noi che passeggiamo tra le sale dei musei tutto risulta facile. Possiamo interpretare senza difficoltà i ritratti del re e della regina del Montenegro perché conosciamo le vicende della loro vita. Sappiamo anche che il Montenegro, una volta entrato a far parte del Regno dei serbi, croati e sloveni, rinunciò a qualsiasi forma di autonomia. È una lunga storia in cui si intrecciano le biografie dei membri della dinastia Karađorđević (soprattutto quella di Zorka, figlie del re Nikola, moglie del re Petar I Karađorđević, madre del principe Aleksandar che, come anche suo fratello Đorđe, nacque a Cetinje), le vicende legate alla partecipazione del Montenegro e della Serbia alla Grande guerra, il crollo di quattro grandi imperi al termine del primo conflitto mondiale e la nascita del primo stato unitario dei popoli slavi del sud. Una storia tuttora incompiuta, di cui però preferirei non parlare. Mica devo sempre rovinare i miei articoli per OBCT parlando di temi di attualità politica.
Il re Nikola I Petrović Njegoš morì nel 1921 in Francia, ad Antibes, sulla Costa Azzurra. Sua moglie Milena si spense due anni dopo. La coppia reale, come anche le loro figlie Ksenija e Vera, fu sepolta nella Chiesa ortodossa russa di Cristo Salvatore a Sanremo. Nel 1989, al termine di un complesso processo procedurale che coinvolse più paesi, le loro salme furono trasportate in Montenegro, a Cetinje, e tumulate all’interno della Chiesa della Natività della Vergine a Ćipur, costruita nel 1890, per volere del re Nikola, sui resti dell’antico monastero dei Crnojević. Nella chiesa di Ćipur si trova anche la tomba di Ivan Crnojević, fondatore della città di Cetinje.
Concludo chiedendomi: durante il suo soggiorno a Cetinje, a Domenico Failutti sono forse venuti in mente quei versi del genio di Stratford-upon-Avon, tratti dal dramma Riccardo II, che recitano “Per amor di Dio, sediamoci sulla terra / a raccontar le tristi storie della morte dei re”?
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