I negoziati mediati dalla Troika, una possibile dichiarazione unilaterale di indipendenza, le ripercussioni delle vicende kosovare sull'intera regione e sul Caucaso. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Franco Cotta*
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Le elezioni che si sono recentemente tenute in Kosovo hanno dato una vittoria "di minoranza" al Partito Democratico del Kosovo, guidato da Hashim Thaci, il generale dell'Esercito di Liberazione del Kosovo trasformatosi in uomo politico. Il PDK ha conquistato infatti circa il 34% dei voti espressi dal 43% della popolazione kosovara, cioè dalla minoranza che ha votato. In altre parole, ha ricevuto il consenso di solamente il 15% della popolazione. Guidando il partito di maggioranza relativa Thaci guiderà quindi anche il Governo. Dovrà dimostrare, peraltro, di essere un uomo di stato, rappresentando la volontà di tutti i cittadini del Kosovo, con particolare attenzione a quelli di origine serba.
La troika delle Nazioni Unite (composta da Unione Europea, Russia e Stati Uniti) ha negoziato con Kosovo e Serbia per cercare di raggiungere un accordo che consenta di riconoscere l'indipendenza del Kosovo e di stabilire tutte le intese necessarie a proteggere le minoranze e a far funzionare il rapporto tra i due paesi, così come è già avvenuto, molto pacificamente, tra la Serbia ed il Montenegro. La proposta del rappresentante della Unione Europea, il diplomatico tedesco Wolfgang Ischinger, mirava a regolare i loro rapporti come fecero nel 1972 le due Germanie, stabilendo tutto il necessario per il funzionamento del rapporto bilaterale, senza peraltro definire lo "status", che rimase invariato. Naturalmente, la troika avrebbe dovuto garantire che, se l'accordo fosse stato concluso, non vi sarebbe stata una dichiarazione unilaterale di indipendenza o se essa fosse stata resa (essendo unilaterale), né gli Stati Uniti, né tanto meno gli Stati che fanno parte dell'Unione Europea, la avrebbero riconosciuta. Il Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne della Unione Europea (composto dai 27 ministri degli Esteri) si è già mosso in questa direzione, invitando l'istituendo governo del Kosovo a non dichiarare unilateralmente l'indipendenza del paese.
Se ciò dovesse invece accadere, è quasi certo che una Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza (UDI) sarebbe resa dalla metà serba della città di Mitrovica e probabilmente anche dalla regione serba della Bosnia, la Repubblica Srpska, come già annunciato da entrambe. Si inizierebbe, quindi, una serie di dichiarazioni di indipendenza unilaterale che metterà a rischio la stabilità dei Balcani e che potrebbe anche destabilizzare la Moldavia (con il riconoscimento russo dell'indipendenza della Transnistria) la Georgia, con il riconoscimento russo delle UDI rese, a suo tempo, dalla Abkhazia e dall'Ossetia del sud. Quest'ultima crisi potrebbe vedere a confronto truppe georgiane e truppe russe, già in Abkhazia e nell'Ossetia del sud sotto il cappello CIS, appoggiate quest'ultime da significative manovre di forze russe, anche pesanti, che si possono spostare liberamente sino al confine, avendo perso efficacia il Trattato sulle Forze Convenzionali in Europa (CFE). La tensione regionale diventerebbe, quindi, una crisi internazionale, fortemente aggravata se all'UDI del Kosovo seguisse sollecitamente il riconoscimento degli Stati Uniti ( purtroppo, già impegnati a farlo) e poi, quello dei maggiori Stati europei, che stanno ancora discutendo.
Un cambiamento di "status", cioè una misura di riconoscimento formale per un Kosovo che già è di fatto indipendente e protetto da un forte contingente di truppe della NATO (che dovrebbero diventare solamente europee), verrebbe a innescare "alla balcanica" una forte crisi internazionale, che se fossimo agli inizi del secolo scorso potrebbe creare i presupposti, addirittura, per l'inizio di un conflitto mondiale.
Per nostra fortuna viviamo in questo secolo e, forse, siamo anche più razionali. L'Europa, in particolare, nel corso dell'ultimo Consiglio dei Ministri degli Esteri, come già detto, ha rivolto al Kosovo un forte invito a non procedere unilateralmente, facendo sprofondare i Balcani, e non solo questi, in una profonda crisi. L'aspettativa è che tutti i cittadini del Kosovo riflettano sull'opportunità, o meno, di strillare che sono indipendenti, quando già lo sono da tempo e lo saranno per sempre, se lo vorranno, con la garanzia delle truppe ora della NATO e poi dell'Unione Europea. Rendiamo piuttosto non controverso questo periodo di transizione dalla tutela euro- atlantica a quella strettamente europea, che può avvenire solamente in un quadro giuridico stabile, cioè riconosciuto da tutti come tale.
L'Unione Europea ha già deciso di attivare al massimo i negoziati necessari per l'ingresso del Kosovo e della Serbia nella Unione stessa ed in tale contesto negoziale potranno essere chiariti e definiti tutti gli elementi necessari a soddisfare ragionevolmente ogni esigenza che sarà rappresentata dai serbi, dai kosovari e da ogni minoranza che abbia il desiderio di chiedere qualcosa. Non vi è alcun dubbio che alla fine del percorso negoziale il Kosovo arriverà in Europa con uno Stato organizzato ed efficiente, in grado di gestire il paese che sarà anche formalmente indipendente, avendo regolato i rapporti con la Serbia e con tutte le minoranze, tenendo attentamente conto dei loro interessi politici, economici, sociali e culturali, nonché salvaguardando i siti che ricordano il loro contributo alla storia del paese. L'Europa vuole un Kosovo sviluppato e civile e non un altro "fallimento balcanico"!
Per la stabilizzazione della regione è, infine, auspicabile che la Bosnia Erzegovina, avendo superato le recenti difficoltà, si decida a proseguire attivamente il negoziato per l'adesione all'Unione Europea. In tale contesto, tutto potrà essere discusso e concordato, anche l'evoluzione dell'attuale struttura "quasi federale" della Bosnia Erzegovina, che riconosca maggiori margini di libertà d'azione alla Repubblika Srpska e più capacità operativa al Governo centrale, purché tale evoluzione sia consensuale e perseguita nei tempi necessari.
Alla fine, si dovrà convenire un pacchetto di misure di transizione che includa una revisione del trattato di Dayton, se necessaria, e una dichiarazione di indipendenza del Kosovo, consensualmente concordata e, pertanto, non unilaterale. Per il pacchetto di misure non vi dovrebbe essere l'opposizione della Serbia, né tanto meno quella della Russia. L'integrità del trattato di Dayton, poi, non potrà essere al centro delle valutazioni di sicurezza nazionale degli Stati europei, né tanto meno di quelle degli Stati Uniti, geograficamente lontani. Tutti, quindi, dovrebbero essere in grado di esprimersi in favore dell'adozione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di una risoluzione che riconosca la dichiarazione di indipendenza del Kosovo e, se necessario, la eventuale modifica del trattato di Dayton.
Nell'Unione Europea, infine, verrebbero quindi a trovarsi il Kosovo, quale Stato indipendente, oltre alla Serbia e ad una Bosnia Erzegovina, ancora più federale, che già sono Stati indipendenti, ma ciò che più conta vi si troveranno le popolazioni di questi paesi, meglio amministrate con norme europee, economicamente più agiate e libere, come mai hanno sperimentato in vita loro.
Guardate il percorso svolto da Irlanda, Portogallo e Spagna, da quando sono entrati nell'Unione Europea sino ad oggi, e iniziate a percorrere la stessa strada, gli europei saranno lì ad aiutarvi, nella misura del nostro e del vostro interesse.
* Franco Cotta è uno specialista di politica estera che ha lavorato anche per le Nazioni Unite. Operazioni per il mantenimento della pace, Disarmo e Diritti Umani sono i settori ai quali si è dedicato, per molti anni.
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