Un'immagine tratta da Babaj di Visar Morina

Un'immagine tratta da Babaj di Visar Morina

Abbiamo intervistato il regista kosovaro Visar Morina, autore di "Babai", una storia su una relazione tra padre e figlio

09/05/2016 -  Manjola Stehu

Il 2015 appena dietro le spalle si è rivelato un anno ricco di soddisfazioni per il regista kosovaro Visar Morina e per la sua opera prima "Babai". Dopo aver debuttato al Karlovy Vary International Film Festival dove ha vinto il premio per il miglior regista, il film ha portato a casa diversi premi in altri eventi - tra i quali il Filmfest di Monaco di Baviera - ed è stato presentato dal Kosovo agli Oscar. In Italia ha esordito invece proprio quest'anno, al Trieste Film Festival.

Visar Morina nasce in Kosovo e migra con la sua famiglia in Germania a 15 anni. Studia presso la Academy of Media Arts di Colonia ed è la televisione tedesco-francese ARTE' a dare spazio ai suoi primi cortometraggi. Il suo intento di realizzare un lungometraggio sul tema migrazioni comincia nel 2007, quando ha solo 25 anni, e parte dalla sua esperienza personale. Poi con il passare degli anni le vite che si incrociano con la sua portano pezzi di storia che, come un puzzle, contribuiscono a quello che poi diventerà il film “Babai”.

Qual è stata la ragione principale che ti ha spinto a cominciare gli studi per diventare regista?

Mentre frequentavo le scuole medie con la classe siamo andati a teatro. Per me era la prima volta, sono rimasto stregato e ci sono tornato più e più volte. Con il passare degli anni ho conosciuto l'opera di Bertold Brecht che ha esercitato in me una grande influenza. Dopo aver finito i miei studi ho cominciato a lavorare proprio a teatro prima come praticante e poi come assistente alla regia.

Quali sono i personaggi a livello internazionale che ti hanno inspirato e guidato nella tua ricerca come regista?

Ci sono tanti, tantissimi registi, richiederebbe tempo e spazio elencarli tutti. Se mi concentro solo sull'ambito europeo e su quelli che lavorano ancora nominerei Carlos Reygadas, Nuri Bilge Ceylan, Paul Thomas Anderson e Lucrecia Martel.

Come il tuo personaggio del film Babai, anche tu hai lasciato la tua terra per migrare in Germania. Cosa ti sei portato dietro dalla tua infanzia trascorsa in Kosovo ?

Dalla mia patria ho preso tantissimo, è lì che ho trascorso i primi anni di vita. Nel mio film è stato interessante portare il tema della violenza, quella violenza che è stata per me parte del quotidiano e che tu come bambino percepisci come qualcosa di normale, come qualcosa che fa parte della vita e che solo così può essere, senza mai metterlo in discussione.

Nel film Babai manca la figura materna. Quale la ragione di questa scelta?

La mancanza della figura della madre è stata voluta, desideravo così mettere più a fuoco il rapporto padre-figlio. Era possibile inserire una seconda relazione madre-figlia o madre-figlio ma non avrebbe rispecchiato fedelmente la tendenza patriarcale della società kosovara. Il tema del padre racchiude un sistema di valori molto antico e diffuso. Il mio scopo era raccontare la conoscenza della vita e del mondo attraverso gli occhi di un bambino.

Vuole condividere con i nostri lettori il suo prossimo progetto?

Sto lavorando su un film dove il personaggio principale è un uomo di 45 anni che affronta difficoltà relazionali con i suoi colleghi al lavoro, questo lo porta in una profonda crisi di identità. E' un progetto che sto realizzando completamente in Germania, tutto è ambientato in una piccola cittadina.


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