Murales a Mitrovica, Kosovo settentrionale

Murales a Mitrovica, Kosovo settentrionale

Mentre a Bruxelles riprendono (con pochi risultati) i negoziati tecnici tra Serbia e Kosovo, la disputa sul controllo del Kosovo del nord, che vede contrapposti da una parte i serbi che abitano quest'area e dall'altra le forze internazionali (KFOR e EULEX) e le autorità di Pristina, resta ad un punto morto. I serbi di Mitrovica, però, si sentono sempre più isolati anche dalla stessa Belgrado

23/11/2011 -  Tatjana Lazarević Mitrovica

Il buio, il freddo e la nebbia di fine autunno avvolgono Mitrovica nord. L’odore di benzina e il rumore dei generatori permeano tutti i sensi. Luci e presenze di vita arrivano soltanto dai negozietti e dalle sedi delle varie istituzioni. Per le strade si levano gli schiamazzi di giovani in coincidenza con il week-end.

Una comitiva di ragazzi si affretta per recarsi al concerto di uno dei gruppi rap più famosi della Serbia, i Beogradski Sindikat. Sono arrivati fin qui da Belgrado, seguendo una strada alternativa. Quando salta l’elettricità cantano “Ammazzati e salva la Serbia, Boris, Boris” (in riferimento al presidente serbo Boris Tadić, n.d.r.) , uno slogan molto in auge ai tempi di Milosević.

Dopo alcuni giorni senza energia elettrica, le donne stanno preparando enormi quantità di cibo grazie al solo ausilio dei forni a legna. È questa la stagione delle “slava”, durante la quale si festeggia il santo patrono, e la gente si raduna attorno a tavole sontuosamente imbandite e si abbuffa di svariate pietanze.

Si possono sentire ogni tipo di conversazioni in queste circostanze: “La KFOR si sta preparando per demolire le barricate a Zupče questa notte”, “Se i russi ci danno la cittadinanza, chiunque altro potrebbe richiederla”, “Quei due che lavorano per l’UE sono stati arrestati dai nostri, vicino a Negotin, per traffico di armi. Pedinati da mesi, e pensare che Stefan Fűle sta facendo pressioni perché vengano rilasciati…”

Una situazione strana e difficile nel Nord. In questa appendice infiammata di Serbia si trovano tante cose quante ce ne sono in una pentola di slava, e tutto scompare nel buio non appena salta l’elettricità. Sono trascorsi quasi sei mesi da quando le unità della ROSU (i reparti speciali della polizia kosovara) hanno tentato di prendere il posto delle frontiere amministrative, ovvero da quando la strada che collega Belgrado a Jarinje non viene più utilizzata. Stesse condizioni sulla strada che porta a Brnjak, al confine con il Montenegro.

Alle frontiere c'è ora la polizia kosovara e gli ufficiali doganali di EULEX circondati dai loro stessi ostacoli, posti immediatamente dopo i mucchi di sabbia collocati dai serbi.

Lotta per le strade

I serbi hanno bloccato per mesi le strade a EULEX e alle unità della KFOR, sebbene ai mezzi militari venga ora consentito di transitare. I soldati delle KFOR hanno tolto diverse volte le barricate, ma i serbi le hanno prontamente rimpiazzate con delle nuove.

Video su Internet mostrano scene grottesche, in cui soldati della missione internazionale usano dei badili per rimuovere da terra le barricate e allontanare i serbi, mentre questi ultimi usano nello stesso momento una draga per installarne di nuove, appena dopo quelle rimosse.

La KFOR sta tentando di chiudere le strade alternative verso la Serbia centrale, ma fino a questo momento senza successo. Quelli che una volta erano monti remoti e villaggi attraversati da miseri sentieri sono così diventati delle “autostrade” trafficate.

I serbi del luogo continuano a costruire nuove strade: “Non potranno mai chiudere tante strade quante ne costruiamo. Arriveremo anche a costruire dei tunnel se serve. Siamo gente abituata a soffrire. Non ci siamo mai abituati a una vita migliore.” Queste le ferme dichiarazioni di un camionista locale mentre scarica merci dal suo mezzo polveroso all’ingresso di Mitrovica nord, e il cui nome non vuole sia riportato.

Sono spariti i cartelloni educativi della KFOR: “Tolleranza”, “Siamo qui per garantire la vostra sicurezza”, ecc. Al loro posto, invece, nuovi tabelloni vogliono ricordare che qui siamo in territorio serbo, che la KFOR è sempre più una forza di occupazione e ricordare le sofferenze patite dai serbi.

Graffiti campeggiano a caratteri cubitali su molti edifici: “Non si torna indietro”, “Tadić traditore”, “EULEX via”, “Russia aiutaci” e “Savo Mojsić, eroe serbo”.

Vittime

Savo Mojsić era un giovane serbo, recentemente ucciso nel villaggio multietnico di Brđani a Mitrovica Nord, quando qualcuno con un'arma automatica ha fatto fuoco su un gruppo di giovani serbi, ferendone altri due. Nonostante le condanne ufficiali da parte delle autorità kosovare e degli ufficiali internazionali in Kosovo, e le assicurazioni che EULEX e polizia locale stanno conducendo un’indagine, nessun concreto progresso è stato reso pubblico.

Nel frattempo, in uno dei rari esempi di efficienza nel lavoro della polizia, l’Interpol ha rilasciato mandati di cattura per cinque serbi di Zubin Potok, emessi dopo richiesta dell’UNMIK a fine ottobre, un caso sul quale la stampa albanese ha riportato molti dettagli.

Quattro giovani e un uomo più anziano sono sospettati dell’omicidio del poliziotto kosovaro Enver Zymberi, divenuto nel frattempo un eroe nazionale del Kosovo, durante un’operazione condotta dalla ROSU di luglio che sancì l’inizio della crisi nel nord dell’area.

L’accusato Ratomir Božović, un ufficiale municipale, in un’intervista per il quotidiano di Belgrado Večernje Novosti, non ha negato di aver chiamato i serbi alle barricate e di essersi trovato nella colonna di veicoli che si spostavano da Zubin Potok verso Zupče, luogo dell’omicidio.

Ad ogni modo, ha sostenuto di non avere niente a che fare con l’omicidio del poliziotto: “Non so niente della morte di Zymberi, ma devo comunque andarmene da qui perché ora anche la mia famiglia è minacciata per causa mia. Le mie mani e il mio onore sono puliti. Non ho nulla da nascondere”.

Terzo piano per il Nord

In un clima sempre più teso, dallo scorso novembre Mitrovica nord ha ricevuto spesso la visita di ufficiali europei. Si va da quelli che trascorrono lunghe ore di colloquio con i serbi nel nord, a quelli che si limitano alla possibilità di farsi fotografare “in uno dei punti più caldi dei Balcani”.

“Nel nord del Kosovo ci sono persone che si comportano come criminali, piuttosto che come politici. Sbarrano strade e impediscono la libera circolazione a KFOR ed EULEX, così come ai comuni cittadini. Si tratta di strategie bizantine, che nulla hanno a che fare con la politica”, ha dichiarato Doris Pack, membro del Parlamento Europeo, nota per essere una sostenitrice di lungo corso dell’indipendenza del Kosovo.

Il ministro per gli affari Esteri svedese, Carl Bildt, dopo aver incontrato alcune ONG a Mitrovica nord, si è invece mostrato più cauto: “Molte persone nel Nord sono contrarie all’indipendenza del Kosovo. Non so se potete convincerli a cambiare idea. Ma molti serbi vivono a sud del fiume Ibar. Non sono convinto che essi siano così entusiasti di un Kosovo indipendente, ma comunque accettano l'idea e ci convivono. E'un processo: soltanto pochi anni fa non si poteva nemmeno pensare a una simile evoluzione. Bisogna ricorrere a quella pazienza di lungo termine che è necessaria per superare i grossi problemi presenti oggi nel Nord, così come per altre questioni. Ma ciò che conta innanzitutto è avere fiducia”, ha affermato Bildt a Pristina, soltanto poche ore prima dell'incidente di Brđani.

Più o meno nello stesso momento, il quotidiano Koha Ditore riferiva che il governo del Kosovo sta preparando un nuovo piano “dettagliato” per il nord del Kosovo, che prevede un termine al finanziamento delle strutture parallele serbe. Il giornale di Pristina ha riportato anche le direttive politiche della Commissione Europea alle istituzioni kosovare, di proporre una nuova visione per il nord del Kosovo, nella prospettiva che Pristina possa “ governare il Nord come parte del proprio territorio”.

Per realizzare il piano, il governo del Kosovo dovrebbe stabilire contatti diretti con i serbi nel nord, “per avvicinarsi gradualmente ai leader locali e promuovere una nuova classe politica”. Il tribunale dovrebbe divenire pienamente operativo, con l’apertura di un commissariato regionale nel Nord. Questo documento afferma che il governo del Kosovo dovrebbe “creare un’atmosfera tesa a favorire le elezioni”, con il supporto dell’OSCE, “una volta che la Serbia avrà cessato di finanziare strutture parallele”.

Questo piano non si discosta di molto dal piano Ahtisaari e dalla precedente strategia per il Nord. I sindaci delle municipalità serbe nel nord del Kosovo hanno affermato che l’ultimo accordo raggiunto a Bruxelles tra il capo delle negoziazioni serbe Borko Stefanović e Edita Tahiri, riguardante la “gestione integrata delle dogane”, non è niente di più che una copia della soluzione proposta dal piano Ahtisaari, che è già stato più volte respinto dalla Serbia.

Serbi kosovari e Belgrado, sempre più distanti

Ufficialmente circola già, seguendo il modello degli anni '90 e la vicenda dei serbi-bosniaci, la voce che parla di un crescente conflitto tra i serbi del Nord e il governo di Belgrado. I sindaci delle municipalità del Nord e tutti i membri del parlamento serbo provenienti dal nord del Kosovo, senza alcuna distinzione tra chi appartiene a partiti di maggioranza o di opposizione, sono uniti nel rifiutare ogni accordo relativo alle dogane.

Alla ripresa, questa settimana, dei colloqui a Bruxelles, dopo un’interruzione di due mesi, Borko Stefanović si è recato nella capitale belga senza una politica unanime all’interno dello stesso governo serbo sul Kosovo, e senza il supporto di parte della maggioranza del parlamento di Belgrado, nonostante smentite ufficiali. Recentemente la coalizione al potere non è stata in grado di adottare una nuova dichiarazione sul Kosovo in parlamento, la cui bozza è sparita dall'ordine del giorno dell'aula quando è divenuto chiaro che lo stesso governo non disponeva più della necessaria maggioranza per farla approvare.

I colloqui con Bruxelles si sono diradati dopo gli scontri di settembre tra i serbi e le forze della KFOR. Vuk Drašković, leader del Movimento di rinascita serbo, poco più tardi ha diffuso informazioni riservate dalla commissione parlamentare per la sicurezza, secondo i quali gli incidenti sono stati provocati da “criminali provenienti dal nord”. Subito dopo è salita agli onori della cronaca la storia del controverso uomo d’affari del Nord, Zvonko Veslinović, definito “il nuovo Arkan”, secondo i mezzi d’informazione serbi. Per diversi giorni la storia dei presunti criminali provenienti da Nord e del loro leader Zvonko Veslinović è stata la notizia principale per i mass-media di Belgrado.

Questo è stato l'incipit della creazione del movimento Preokret (Punto di svolta), i cui leader sono due politici serbi che fino a ieri erano incompatibili non solo per questioni anagrafiche, ma soprattutto per le loro ideologie politiche: il monarchico ed “epico” Drašković e il liberale Čedomir Jovanović. Entrambi sono adesso uniti dall’idea che i serbi debbano entrare al più presto nell’UE, e dall’urgente ricerca di una coerente politica serba per il Kosovo.

La pressione internazionale esercitata sul governo di Belgrado affinché abbandoni il Nord si ricollega all’appoggio mostrato verso Pristina, nel suo tentativo di prendere il controllo di quest'area, abitata compattamente da serbi.

L’immagine dei serbi del Nord visti come criminali, l’insinuazione che essi rappresentino l’ultimo ostacolo per la Serbia nel lungo percorso per diventare membro dell’UE, è difficile da accettare per molti serbi nel nord del Kosovo.

“Mesi sulle barricate, e temperature che la notte scendevano sotto lo zero, non sono state difficili da sopportare quanto il dover accettare di essere ritenuto un criminale all’interno del mio stesso Paese”, dice Rade, 44 anni, mentre siede su una delle barricate tenendo tra le mani una tazza di tè fumante. “Ti sembro un criminale? Sembro qualcuno che ti impone di fare qualcosa che tu non vorresti fare? Semplicemente, non voglio vivere nella Repubblica del Kosovo!”


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