Partito con grandi aspettative, il processo di dialogo tra Kosovo e Serbia mediato dall’UE è oggi al palo, dopo l’introduzione di tariffe doganali sui prodotti serbi da parte di Pristina e (finora) sterili proposte di scambi di territori
Mentre l'UE sta lottando per raggiungere un accordo sulla Brexit con il Regno Unito, gli alti funzionari di Bruxelles sono alle prese con un altro problema periferico, ma con potenziali conseguenze più ampie: lo stallo nel dialogo sulla "normalizzazione" tra Kosovo e Serbia, che è iniziato 9 anni fa, ma è riuscito a soddisfare solo una piccola parte delle grandi aspettative che aveva inizialmente alimentato.
Lo scorso novembre, il governo del Kosovo ha inferto il colpo di grazia al processo introducendo dazi del 100% sui beni importati dalla Serbia, giustificando la mossa come reazione alla campagna di de-riconoscimento della Serbia e al blocco dell'adesione del Kosovo all'Interpol. Belgrado ha reagito immediatamente, interrompendo il dialogo mediato dall'UE.
"L'UE ha perso il controllo del processo", afferma Florian Bieber, politologo e professore all'Università di Graz, in Austria, che lavora sulle relazioni interetniche con focus sui Balcani. "Gli ultimi sviluppi fanno parte della lotta in corso per un accordo finale, e le cose si sono complicate a causa dei passi precedenti", afferma Bieber. "Il modo in cui è stato gestito il processo negoziale non era quello giusto per raggiungere un accordo tra le parti, che presumeva una sorta di riconoscimento".
Eppure, secondo Plamen Pantev, professore di Teoria delle relazioni internazionali all'Università di Sofia, Bulgaria, l'UE non ha fallito nei suoi lunghi, persistenti e ampi sforzi per pacificare l'Europa sudorientale. "Il progresso dipende non solo dall'attività top-down, ma principalmente dall'evoluzione dal basso", afferma, sottolineando l'importanza dell'impegno dell'UE nella regione.
"Dal punto di vista della tradizionale diplomazia transazionale, il dialogo non ha portato molti cambiamenti significativi, ma ha avuto notevole successo nello stabilire nuove relazioni tra Kosovo e Serbia", afferma l'ex diplomatico USA ed esperto di Balcani James Hooper. Secondo Hooper, l'accordo di Bruxelles ha stabilito sufficiente fiducia tra i leader politici a Belgrado e Pristina per consentire a entrambe le parti di prendere in considerazione ciò che potrebbe essere realizzato.
I dazi minacciano la relazione del Kosovo con i suoi alleati più importanti?
Quando ha deciso di introdurre dazi sulle importazioni serbe, il governo del Kosovo ha agito senza previa consultazione con i suoi principali alleati internazionali: una mossa inusuale che ha portato ad alcune tensioni con Stati Uniti ed Unione Europea. Secondo Florian Bieber, “questi rapporti non saranno danneggiati se Pristina mostra un certo grado di indipendenza, soprattutto tenendo presente che il Kosovo è spesso pronto ad adeguarsi alle posizioni dell'UE e degli Stati Uniti”, ma l'esperto aggiunge che “il Kosovo deve essere attento e accorto nella gestione di tali situazioni". "Il problema in Kosovo è l'enorme divario tra primo ministro e presidente: anche il governo sembra essere diviso e questo indebolisce seriamente la credibilità del Kosovo sulla scena internazionale", argomenta Bieber.
L'ex diplomatico americano James Hooper, d'altra parte, sembra molto più preoccupato dell'attuale situazione politica in Kosovo. Hooper vede il comportamento di alcuni leader politici del Kosovo come segno di provincialismo piuttosto che di testardaggine. Ricorda che dalle elezioni del 2016 gli Stati Uniti hanno mostrato meno attenzione alla situazione in Kosovo. "In questo nuovo contesto, il Kosovo deve lavorare ancora più duramente per mantenere una forte relazione con gli Stati Uniti. Ma a causa del modo miope, a mio avviso provinciale, con cui alcuni politici guardano agli interessi del Kosovo, questi non sono in grado di percepire la posizione pericolosa in cui stanno mettendo il proprio paese”, dice Hooper, che ha seguito da Washington l'accordo di pace di Rambouillet del 1999. Secondo Hooper, le relazioni USA-Kosovo sono al livello più basso dalla guerra a guida NATO contro la Jugoslavia di 20 anni fa, e questo è il diretto risultato dell'introduzione dei dazi.
“I dazi al 100% non fanno parte della filosofia economica di Pristina, ma vengono utilizzati come strumento per fare pressione su Belgrado”, dice il professor Plamen Pantev, aggiungendo che si tratta di un chiaro segnale “che le relazioni bilaterali necessitano di un riavvio”.
La partizione è la soluzione?
I leader sia della Serbia che del Kosovo si sono resi conto di essere sulla soglia di una nuova fase del dialogo bilaterale quando hanno iniziato a discutere apertamente della possibilità di partizioni e scambio di territori, una discussione che non è stata avviata dall'UE, ma che Bruxelles ha dovuto alla fine riconoscere come opzione sul tavolo. Tuttavia, le voci contro qualsiasi cambiamento di confine rimangono forti.
“Il problema più grande, nasce dal fatto che l'annessione della Crimea da parte della Federazione Russa nel 2014 ha rafforzato la percezione negativa di ogni cambiamento del territorio”, dice il professor Pantev, aggiungendo che il problema è legato anche alla politica di Mosca nei confronti della Serbia, che impedisce a Belgrado di trovare una soluzione costruttiva alla questione del Kosovo. "La Russia non vuole questo", dice.
La Serbia ha bisogno di un accordo con il Kosovo per promuovere la propria candidatura all'UE, e il Kosovo ha bisogno che la Serbia entri nell'UE, dove sarà soggetta ai vincoli comunitari sulle forze armate, la sicurezza e le azioni di politica estera, dice Hooper. "Considero la demarcazione del confine tra Kosovo e Serbia come un fattore non solo stabilizzante, ma essenziale per una maggiore solidità della regione balcanica. Per i kosovari è importante capire che il territorio è un mezzo per raggiungere il fine di una maggiore sicurezza per un Kosovo indipendente, non un obiettivo in sé".
Quando il dialogo raggiungerà la sua fase finale, la soluzione dovrà essere legale e in linea con il diritto internazionale. L'accordo finale dovrà garantire di non compromettere la stabilità regionale e non influenzare negativamente le comunità coinvolte, afferma Florian Bieber. "Questi sono i paletti chiave da mettere. Tuttavia i cambiamenti di confine, per definizione, non sono in grado di fornire risultati in tal senso, perché non possono garantire stabilità e sicurezza a livello regionale". Esiste una zona grigia in cui è possibile negoziare, ma nel complesso "le modifiche di confine così, come suggerite dai presidenti di Serbia e Kosovo, sono piuttosto problematiche", afferma Bieber.
L'attuale Alto rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini è alla fine del mandato, quindi i nuovi negoziati dovranno fare affidamento sulla nuova Commissione europea che emergerà dopo le elezioni europee, previste per il prossimo maggio. Probabilmente, il processo non riprenderà prima della fine del 2019.
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