A partire da metà 2016 niente più visti Ue per i cittadini di Georgia e Ucraina. Per i kosovari invece l'epoca delle lunghe code ai consolati non è ancora finita
L'Unione europea ha deciso di liberalizzare i visti Schengen per i cittadini di Georgia e Ucraina, che dovrebbero così poter evitare le code ai consolati a partire da metà 2016. Rimandato invece il Kosovo.
"Il Consiglio [UE] sottolinea l'importanza di soddisfare tutte le condizioni per la liberalizzazione dei visti, e incoraggia il Kosovo a proseguire gli sforzi", è stato ribadito dalle istituzioni Ue. Ma i politici kosovari non ci stanno, e lamentano di essere discriminati. Secondo il premier Isa Mustafa "abbiamo raggiunto tutti i requisiti, e considero che non ci sia ragione perché l'UE non dia una raccomandazione [positiva] rispetto ai visti. Abbiamo completato tutte le questioni tecniche, [ma] la decisione è politica, questa è la volontà politica dell'UE".
Il ministro degli esteri Thaçi ha accusato duramente l'UE, considerando il rinvio "una seria provocazione e il risultato dell'incompetenza e della mancanza di volontà politica della leadership di Bruxelles. E' assurdo che l'UE mantenga isolati i cittadini del Kosovo. Questi ritardi assurdi e intenzionali non solo incoraggiano l'estremismo nel paese, ma aumentano anche la frustrazione dei cittadini". Thaçi ha affermato che tale mancanza mette a rischio lo stesso processo di dialogo per la normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado. Il ministro degli Esteri ha aggiunto che i cittadini kosovari godevano di maggiori diritti di movimento al tempo della Jugoslavia di Tito - pur affermando di non provare nostalgia per quel periodo.
Ma vari analisti politici a Pristina puntano il dito piuttosto verso le responsabilità del governo Mustafa-Thaçi. "Dobbiamo accettare il fatto di aver fallito nel rispettare i criteri stabiliti dalle linee guida per la liberalizzazione del regime dei visti", ha dichiarato a IBNA Avni Mazreku, professore di diritto europeo all'ISPE College. "I criteri relativi a questioni quali immigrazione, rimpatrio, corruzione e altre questioni tecniche non sono stati rispettati, come indicato anche dal Rapporto 2015 sul Kosovo, che la Commissione europea ha inviato al Consiglio UE. Dobbiamo ammettere che abbiamo fallito su questi aspetti".
Ugualmente l'esperto di diritto europeo Shenoll Muharremi ha sottolineato come, in base alle conclusioni del Consiglio UE, il Kosovo non potesse essere raccomandato per la liberalizzazione del regime dei visti. "Se si leggono le conclusioni odierne, è chiaro che le condizioni per un regime visa-free restano da soddisfare". Secondo Emrush Ujkani, analista di Pristina sentito da BIRN, è stato poco saggio per il Kosovo attendersi un tale regalo da Bruxelles: "Non abbiamo lavorato abbastanza per soddisfare le richieste dell'UE, e non abbiamo meritato più di quanto abbiamo ricevuto". D'altra parte, secondo l'esperto kosovaro di affari europei Afrim Hoti, "le istituzioni europee non hanno assistito a sufficienza il Kosovo nell'ottenere la liberalizzazione dei visti".
Il Kosovo ha firmato il proprio Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l'UE lo scorso ottobre, ultimo paese dei Balcani a farlo. Il governo di Pristina si era dato come obiettivi per i mesi seguenti l'adesione all'UNESCO e la liberalizzazione dei visti Schengen - entrambi tuttavia falliti. Tutti gli altri paesi della regione balcanica hanno ottenuto la liberalizzazione dei visti tra il 2009 e il 2010. Il Kosovo, dichiaratosi indipendente nel 2008, aveva ricevuto dalle istituzioni europee una roadmap per la liberalizzazione dei visti nel 2012, che includeva la lista di criteri da rispettare su questioni quali la riammissione dei cittadini, la sicurezza dei documenti, la gestione delle frontiere, il sistema d'asilo, la lotta al crimine organizzato e alla corruzione, e i diritti fondamentali relativi alla libertà di movimento. Le prime due valutazioni della Commissione europea, nel 2013 e 2014, erano state negative. Il Rapporto 2015 della Commissione europea sui paesi dell'allargamento, pubblicato a metà novembre, citava positivamente il dialogo tra Pristina e Belgrado, ma notava il fallimento delle istituzioni kosovare nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata e nel rafforzamento dello stato di diritto, criteri considerati prerequisiti per la liberalizzazione dei visti. Non è escluso che sulle valutazioni abbia pesato anche l'esodo di cittadini kosovari in cerca di un improbabile asilo politico in Germania, che ha avuto un picco tra 2014 e 2015.
Il Kosovo affronta in questo periodo la peggior crisi politica dalla dichiarazione d'indipendenza. I partiti d'opposizione hanno ripetutamente bloccato le sessioni del parlamento tramite lanci di gas lacrimogeno negli scorsi due mesi, per protesta contro l'attuazione degli accordi di normalizzazione delle relazioni con la Serbia che prevedono la creazione di una associazione/comunità delle municipalità a maggioranza serba (ZSO). In tutta risposta, le autorità hanno provveduto ad arrestare almeno 13 parlamentari dell'opposizione; benché la Costituzione preveda la loro immunità, la Corte Costituzionale ha infatti invalidato tale garanzia.
I politici del Kosovo hanno lamentato il "doppio standard" e i requisiti più stringenti richiesti dall'UE al Kosovo rispetto agli altri paesi del Balcani. Il Kosovo ha d'altronde avviato il processo con vari anni di ritardo rispetto agli altri paesi della regione, a seguito della decisione di avviarsi all'indipendenza. Nel frattempo, anche i requisiti della zona Schengen sono evoluti in parallelo. Non ha quindi senso il paragone con il processo seguito dai paesi vicini. La domanda che i cittadini kosovari farebbero bene a porsi, piuttosto, è perché il loro governo non riesca ad ottenere gli stessi risultati che governi di paesi con ben più problemi di governance - dalla Bosnia Erzegovina in passato, ad Ucraina e Colombia oggi - sono invece riusciti a raggiungere.
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