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Joe Dykes - flickr

La lunga crisi istituzionale in Macedonia: figlia di politici corrotti e autoritari, o del sistema politico attualmente al potere nel paese? Un commento del nostro corrispondente

16/08/2016 -  Ilcho Cvetanoski

Un nuovo capito della saga negoziale in Macedonia è stato chiuso. Come in quelli precedenti, l' “accordo sull'accordo” - come in tono ironico i media nazionali hanno ribattezzato l'ultima intesa tra i quattro principali partiti politici - è stato raggiunto sotto forte pressione internazionale. Oltre al vice-segretario di stato USA Victoria Nuland, stavolta un ruolo centrale è stato svolto anche da un diplomatico tedesco, Johannes Haindl.

L'obiettivo ultimo degli accordi “Pržino 1” e “Pržino 2” è mettere fine alla crisi politica esplosa l'anno scorso, quando il partito socialdemocratico (SDSM) accusò il governo di gravi abusi, tra cui lo spionaggio illegale a cui sarebbero stati sottoposti per quattro anni ben 20mila cittadini macedoni. La strada per uscire dall'impasse è vista nella creazione di condizioni e procedure condivise che dovrebbero sfociare in nuove elezioni libere e democratiche. Ad oggi le consultazioni anticipate sono state già rinviate due volte, a causa della mancata implementazione dei punti previsti nel primo accordo di Pržino.

L'ultima versione dell'intesa riguarda nello specifico proprio i due nodi principali ancora da sciogliere: la revisione delle liste elettorali e la riforma dei media. Una procedura per valutare i passi avanti in questi settori è quindi parte centrale del nuovo accordo. “Entro il 31 di agosto i leader dei quattro principali partiti si confronteranno sul raggiungimento delle riforme previste”, si legge nelle pagine dell'intesa.

La crisi: vittime del sistema o di politici corrotti?

Dall'inizio del muro contro muro alcune domande turbano il sonno di molti. L'accordo e le elezioni anticipate metteranno fine alla crisi? C'è chi però si interroga su una questione ancora più sostanziale: la fonte dell'impasse è da cercare nei singoli politici corrotti o nel sistema stesso? Per dirla in altro modo: è stato Nikola Gruevski, ex-premier ed attuale leader del partito di governo (VMRO) ha produrre questo sistema, o ne è lui stesso una creatura?

Nel primo caso, la sua rimozione dovrebbe rendere più facile la ricerca di una soluzione duratura, nel secondo, invece, tutto sarebbe molto più difficile da risolvere. Il secondo scenario presenta un quadro ancora più complesso visto che presuppone che una parte sostanziale dell'élite politica abbia benefici diretti dalla natura corrotta dell'attuale sistema politico.

Secondo molti esperti e cittadini, è arrivato il momento di sfidare l'attuale sistema, caratterizzato da partiti etnici che usano politiche nepotiste per svilire lo stato di diritto e dividere i cittadini su base etnica per poter meglio controllarli.

Una delle voci critiche arriva dal noto scrittore regista Milcho Manchevski, vincitore del Leone d'oro alla 51sima edizione del festival di cinema di Venezia. In una recente intervista a Deutsche Welle, Manchevski ha dichiarato che le proteste a Skopje sono “una chance per girare pagina, un chance da non perdere”. Questa nuova pagina, secondo il regista, significa “dire no ad una democrazia falsa e criminale e alle divisioni tribali”.

In un'altra intervista, sempre a Deutsche Welle, l'analista politico Arsim Zekolli ha chiesto a gran voce lotta senza quartiere a corruzione e criminalità. “Lo scontento dei cittadini non è più diretto esclusivamente contro l'esecutivo, ma anche contro il sistema politico e l'establishment che rendono possibile tale governo”.

Una linea sviluppata dall'analista bulgaro Dimitar Bechev, profondo conoscitore della Macedonia, e oggi visiting scholar al Center for European Studies dell'Università di Harvard. In un'intervista a Radio Free Europe, Bechev ha sottolineato che i giovani macedoni sono alla ricerca di una strategia che superi le divisioni etniche, soprattutto nella sfera politica, attraverso forme di attivismo e cittadinanza attiva.

Polarizzazione etnica e sistema corrotto

Contro il movimento unificante dell'attivismo politico, della partecipazione e delle proteste, delle iniziative civiche e dei movimenti sociali, l'élite utilizza forze disgreganti, con l'obiettivo di consolidare sfiducia e polarizzazione lungo linee etniche, strategia utile al mantenimento dello status-quo. Secondo il think-tank sloveno IFIMES, anche le crisi minori nella società macedone sono spesso riportate e contestualizzate attraverso lenti etniche, e concorrono a perpetuare tensioni.

Anche i media vengono utilizzati con la stessa logica. Le notizie riportate rinforzano la percezione di ingiustizia, cementando i sentimenti di chi si sente vittima a causa della propria appartenenza etnica: uno schema significativo soprattutto nei rapporti tra la comunità macedone e quella albanese. Molti esempi possono essere riportati a favore di questa ipotesi.

La “politica del terzo figlio”, ad esempio, viene ancora riportata dai media come un piano volto esclusivamente ad aumentare il tasso di natalità dei macedoni etnici, a prescindere dal fatto che, come riportato dai dati ufficiali, le famiglie albanesi ad averne beneficiato sono 9.995, contro le 6.758 macedoni. Nei media è poi diffuso lo stereotipo che vuole gli albanesi più proni ad evadere il fisco.

Un recente incidente ha visto un bambino albanese di quattro anni investito e ucciso dall'auto guidata da un macedone dopo un violento litigio con la famiglia del bimbo. Nonostante il fatto che i familiari della piccola vittima hanno dichiarato che la questione etnica non aveva nulla a che fare con l'accaduto, i media in lingua albanese hanno espresso fortissime critiche, denunciando il fatto che l'omicidio non sarebbe stato riportato con altrettanta solerzia dai media in lingua macedone. Una questione che andava discussa all'interno delle organizzazioni di categoria, ma che non doveva essere utilizzata per approfondire ancora di più il clima di polarizzazione.

Lura Pollozhani e Dane Taleski, rispettivamente dottoranda e visiting fellow all'università di Graz ritengono che la maggior parte dei partiti e dei media utilizzino narrative etno-nazionaliste per mobilitare e legittimare determinate posizioni. Gli studiosi invitano a superare l'attuale stallo e a perseguire l'obiettivo della creazione di un'identità civile.

“Se gli albanesi decidono di ignorare la lotta per la democratizzazione, allora scelgono di dare priorità alla propria identità etnica rispetto a quella civile, diminuendo le possibilità di crescita personale e consapevolezza politica. D'altra parte, i macedoni etnici, vale a dire la maggioranza, dovrebbero porre maggiore attenzione alla posizione degli albanesi nel paese”, scrivono Pollozhani e Taleski in un articolo pubblicato su BIRN.

“La democrazia non funziona se ci demonizziamo continuamente l'un l'altro”

Questa espressione è stata recentemente utilizzata dal presidente USA Barack Obama alla convention del Partito democratico. Descrive una situazione che riflette perfettamente l'attuale situazione in Macedonia.

“Un'opposizione inter-etnica unita in grado di contrastare i partiti al potere è più che necessaria, ma in due decenni e mezzo di politica multipartitica in Macedonia, nessuna coalizione macedone-albanese si è mai presentata agli elettori. Questo è dovuto al fatto che le loro piattaforme sono in gran parte basate su logiche etniche, che dividono profondamente queste forze politiche”, ha dichiarato l'analista ed ex deputato Naser Ziberi in un'intervista a BIRN.

Crea ottimismo il fatto che molti giovani di background etnico diverso protestino insieme chiedendo responsabilità ai leader politici. Si tratta però di una sezione minoritaria della popolazione, costituita soprattutto da persone che vivono in città e con un alto grado di istruzione.

Tenendo presente che l'affluenza media alle urne in Macedonia è sotto il 60%, c'è probabilmente spazio per promuovere oggi una nuova forza politica di natura civica e non etnica. Una discussione aperta sul futuro del paese è necessaria e, come argomentano alcuni studiosi, è il momento giusto per riscrivere il contratto sociale tra istituzioni, governo e cittadini. Ma perché questo sia possibile, i sogni nazionalisti devono essere messi da parte.


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