Un bar turco a Comrat (foto F. Brusa)

Un bar turco a Comrat (foto F. Brusa)

Regione autonoma della Moldavia, la Gagauzia è al centro di un'intricata rete di rapporti e influenze internazionali, che vanno da Mosca ad Ankara passando per Bruxelles. Una situazione che rappresenta potenzialità, ma anche rischi

23/08/2019 -  Francesco Brusa Comrat

Dal bar turco nella piazza centrale di Comrat, sembra di stare a osservare le maree. È un’unica strada – via della Vittoria - che collega l’autostazione della capitale gagauza alla sua principale chiesa ortodossa, col giallo della facciata che richiama il tetto in oro: nel corso della settimana, e in particolare nelle giornate pre-elettorali di fine giugno, una folla affaccendata fra gazebo, mercati e agenzie scorre in quest’unica via come fosse un’onda, per poi ritrarsi verso sera. Dopo le sei di pomeriggio, solo porte chiuse e serrande abbassate. "La politica qua è tutta una farsa - M. vende shawarma assieme alla moglie e il suo negozietto è uno degli ultimi a “staccare” - non andrò a votare, non mi interessa. Fosse per me la Gagauzia dovrebbe andare d’accordo con tutti paesi. Invece, c’è sempre questo “blablabla” su Russia, Europa e Turchia e su chi sia meglio".

Un amore incondizionato

Fin dal 1994, la Gagauzia gode dello status di regione autonoma all'interno del territorio moldavo: ha il proprio Presidente (detto "Baskhan"), un parlamento locale e una serie di materie, dall'educazione alla gestione del budget per lo sviluppo, in cui può legiferare in modo relativamente indipendente. Oltre al sostegno finanziario che arriva dal governo centrale, gode anche di progetti e aiuti diretti da parte di entità straniere.

Se guardiamo alle statistiche, la Russia è la potenza che meno investe in Gagauzia. Poco sostegno finanziario, scarsi progetti di collaborazione e sviluppo. "Eppure, qua tutti adorano la Russia", afferma il consigliere comunale della città di Congaz e membro del centro gagauzo per le iniziative regionali Mihail Salvir. "Il nostro è un vero e proprio amore incondizionato. Siamo stati sotto l’Unione sovietica, abbiamo subito anche noi le deportazioni e non era facile parlare la nostra lingua (il gagauzo è un idioma appartenente al ceppo turco, NdR), ma alla popolazione non interessa. Tutto ciò che fa la Russia va bene".

Nel 2014 un referendum indetto dalla regione autonoma ha visto il 98% dei partecipanti (circa il 70% dei cittadini gaugauzi) esprimersi per aderire all’Unione Commerciale Eurasiatica, nel caso la Moldavia avesse perso la propria sovranità. Nonostante si trattasse di una consultazione condannata da vari politici e dichiarata poi illegale dalla Corte costituzionale, è un indizio della “sintonia” degli abitanti della zona con la vicina Federazione. "Penso che la nostra fiducia verso la Russia risalga al periodo in cui la nostra comunità si è stabilita in questa regione", prosegue Mihail Salvir. "All’epoca, l’impero russo ha protetto i gagauzi dall’Impero ottomano, che ci considerava dei “traditori” perché eravamo di fede cristiano ortodossa. Inoltre, quando è scoppiata la guerra con la Transnistria negli anni ’90, la presenza di truppe della Federazione nel nostro territorio, fra le altre cose, ha impedito che anche qui le spinte separatiste portassero a un conflitto armato. Perciò, si è formato un senso di gratitudine nella popolazione".

In generale, l’influenza russa è molto forte nel contesto dell’informazione: canali e media provenienti da est sono fra i più seguiti, anche per via del fattore linguistico (la quasi totalità degli abitanti della Gaguzia non parla moldavo). Le autorità della regione autonoma si sono tra l’altro fermamente opposte agli emendamenti al Codice degli Audiovisivi approvati lo scorso anno dal Parlamento moldavo, che dovrebbero vietare la ri-trasmissione di quei canali che non hanno ratificato la Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera (è il caso della maggior parte delle reti russe).

A completare il quadro, il panorama politico dell’area vede lo strapotere di un'unica candidata, sostenuta massicciamente dal “filo-russo” Partito socialista di Igor Dodon: sebbene in tanti siano magari non troppo partecipi delle dinamiche locali (l’affluenza si è attestata attorno al 50%), le elezioni del 30 giugno in Gagauzia sono state un plebiscito (91%) per la presidentessa uscente Irina Vlah.

La chiesa principale di Comrat (foto F. Brusa)

La chiesa principale di Comrat (foto F. Brusa)

Fitte relazioni

A un primo sguardo, comunque, la Gagauzia sembra effettivamente “andare d’accordo con tutti”. Poco dopo le votazioni, anche la premier moldava “filo-europea” Maia Sandu si è congratulata con la leader della regione autonoma: "I miei complimenti a Irina Vlah per la sua vittoria! Ribadiamo il nostro impegno a collaborare con le autorità della regione, per il bene dei cittadini e per un pieno funzionamento dell’autonomia dell’area". La campagna elettorale della candidata vicina a Dodon ha visto un susseguirsi di strette di mano con esponenti politici “di peso”: Vladimir Putin, innanzitutto, ma anche il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che nell’autunno dello scorso anno ha intrapreso una visita di due giorni nella piccola repubblica est-europea. La strategia di Irina Vlah è molto chiara ed esplicita: promuovere incontri, stringere relazioni, concordare il più possibile aiuti e investimenti. La dote che, anche durante i comizi elettorali, viene esaltata dai suoi sostenitori come una delle maggiori della presidentessa è proprio quella di saper “creare amicizie” con gli altri paesi, affinché il popolo gagauzo ne possa trarre benefici in termini di economia e sviluppo.

"Il nostro “Baskhan” punta tutto sull’immagine", afferma il responsabile della ONG Pilgrim-Demo Mihail Sirkeli mentre mostra una patinata brochure di propaganda di Irina Vlah. "A differenza degli altri candidati, sa come funziona la politica. Non perde occasione per mettersi in mostra, farsi vedere assieme a personalità importanti e, praticamente ogni giorno, organizza qualche incontro o evento nei villaggi del territorio. È vero, sempre più soldi stanno arrivando in Gagauzia, ma in molti sospettano che Irina Vlah stia traendo anche un forte guadagno personale da questo giro d’affari".

Di sicuro, fra canali d’informazione, imprese private e sostegni allo sviluppo, la presenza di attori internazionali nella zona si sta sempre più intensificando. Oltre al soft power della Russia, anche l’Unione europea ha avviato nell’area una serie di progetti di cooperazione. "Il referendum del 2014 è stato una sorta di avvertimento", spiega sempre Mihail Sirkeli. "La “minaccia” che questa regione potesse entrare completamente nell’orbita di influenza russa ha spinto l’Europa a erogare una maggiore quantità di finanziamenti".

Ma è probabilmente la Turchia l’attore che più sta crescendo in termini di visibilità, presenza economica e profondità di relazioni. Non troppo distante dal parco centrale di Comrat, attorniata da bassi alberi e panchine la strada sale verso l’Università statale turca. L’ultima parte del viale, che conduce direttamente all’entrata dell’edificio, si compone ai lati di statue dedicate a personalità della storia sovietica mentre il primo busto dal basso rappresenta l’ex-Primo Ministro della Repubblica Turca Suleyman Demirel. Proprio lui è considerato, a detta di alcuni fra cui l’attuale direttore dell’Università, uno dei “fondatori” dell’autonomia gagauza. Fin dai primi momenti successivi all’indipendenza moldava, Demirel ha infatti sostenuto le spinte separatiste del popolo gagauzo trattando con le autorità nazionali per arrivare all’attuale assetto istituzionale della regione.

Da qui, un rapporto che è andato appunto intensificandosi: oltre alla sede d’istruzione superiore, sul territorio si trovano anche centri di lingua e cultura turca (per facilitare tra l’altro trasferimenti lavorativi di cittadini gagauzi in Turchia), asili nido, canali radio e televisivi (Gagauzya Radio Televizionu), ospedali (Medpark). La TIKA (Agenzia turca per la cooperazione internazionale) è presente con un suo ufficio a Comrat e parallelamente, fin dai primi anni ’90, l’ex-alleato di Erdoğan Fetullah Gülen ha aperto nella zona (e, in seguito, pure nel resto del paese) alcuni dei “suoi” licei d’eccellenza Horizont, per i quali ora la Turchia sta chiedendo a gran voce il definitivo smantellamento.

Competenza di nessuno

"Sembrava di essere in un film d’azione. La polizia è venuta a casa nostra alla mattina presto e ha prelevato mio marito". Come tanti altri professori e funzionari che lavorano nelle scuole Horizont, Memhet Feridon Tufekci (arrestato assieme ad altri 6 colleghi a settembre 2018 in un’operazione congiunta fra servizi segreti turchi e servizi segreti moldavi) si era trasferito dalla Turchia alla Gagauzia poco dopo aver terminato il liceo, 26 anni fa. Studente all’Università Statale di Comrat, poi dottore in economia all'Accademia delle Scienze a Chișinău, di nuovo insegnante a Comrat e infine direttore del liceo gulenista a Ceadir-Lunga (seconda città della regione), ha conosciuto la moglie Galina durante il suo periodo di formazione nella capitale gagauza. "Dopo che è successo, i nostri amici più stretti non ci volevano credere. Ma come? Davvero, tu e tuo marito siete dei terroristi? A parte questo, però, le persone non si interessano, non c’è solidarietà. Questa terra è ancora influenzata dalla mentalità sovietica: tutti pensano a se stessi e alla propria sicurezza, senza aver cura degli altri".

Si tratta di un evento che non è avvenuto solo in Moldavia. Com'è noto, dopo il tentativo di golpe del 2016 in Turchia l'associazione presieduta dall'imam Fetullah Gülen è stata messa fuori legge e accusata di terrorismo. Così anche all'estero, dove sono presenti istituti associati a FETO, il regime di Erdoğan ha fatto pressioni attraverso le ambasciate e gli apparati diplomatici affinché le scuole venissero chiuse e il personale arrestato. Alcuni stati si sono opposti, altri - a quanto pare - hanno lasciato fare, senza che però ci fossero i presupposti per un'azione di questo tipo. Oltre alla Turchia, infatti, nessun paese riconosce FETO come organizzazione terroristica e, nello specifico in Moldavia, tutti gli arrestati avevano fatto richiesta di asilo politico, cosa che avrebbe dovuto teoricamente impedire qualsiasi estradizione e che ha tra l'altro spinto la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a condannare la repubblica est-europea per violazioni dei diritti umani.

Viene da chiedersi allora se e quanto, soprattutto in contesti piccoli come quello moldavo (e gagauzo) , l'intensificarsi degli aiuti e delle relazioni commerciali, la presenza di potenze straniere anche in termini di cooperazione implichino delle cessioni di sovranità. Che conseguenze ha sullo stato di diritto l'espansione strategica della Turchia nell'area dei Balcani e del Caucaso (per la quale si arriva a parlare di neo-ottomanesimo)? Che atteggiamento può (e dovrebbe) assumere la classe politica dei paesi interessati? "Credo che passerà molto tempo prima che qui in Gagauzia vengano rispettati i diritti umani", conclude Galina. "Il potere è in mano a persone che si fanno pochi scrupoli. Sai cosa ha risposto il Presidente Irina Vlah quando le è stato chiesto di esprimersi sulla vicenda che coinvolge mio marito? Ha detto che "non ne sa nulla"".

Se ci si rivolge all'Università Statale di Comrat, andando su per il viale attorniato dal busto di Demirel e degli eroi sovietici, si riceve una risposta simile: anche se Mehmet Feridon Tufekci vi ha studiato e lavorato, non è di loro competenza. Provando all'Agenzia Gagauza dell'Istruzione, anche in quel caso non è di loro competenza. Al bar turco sulla piazza principale si incrociano varie persone, fra una chiacchiera amichevole col gestore e partite di backgammon, ma della vicenda che coinvolge il loro connazionale hanno sentito sì, ma poco sanno, poco dicono, non lo conoscevano e non si ricordano il suo nome.

Sono le sei, la luce di taglio si abbatte sulla chiesa ortodossa nel parco facendo brillare ancora di più il tetto in oro che richiama il giallo della facciata. È passata un'altra marea, le onde si ritirano.


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