Lo scorso 30 novembre in Moldavia si è votato per le parlamentari. Guardiamo a quanto è accaduto attraverso lo sguardo di un funzionario del Parlamento europeo. Reportage
Non amo particolarmente le missioni di osservazione elettorale, quando posso le evito, ma questa volta non avevo scampo. Ero in partenza per Istanbul quando mi ha raggiunto il messaggio di Pietro Ducci, il responsabile del Parlamento europeo che pianifica l’invio delle delegazioni degli eurodeputati laddove è necessario certificare la conformità del processo elettorale con gli standard internazionali. Mi chiedeva di sondare la disponibilità dello sloveno Igor Soltes ad assumere l’incarico di presidente della missione di osservazione per le elezioni in Moldavia. Nonostante faccia parte di un gruppo minore, quello verde e regionalista, l’amministrazione del parlamento riteneva che Igor fosse la persona più indicata a ricoprire questo ruolo per una consultazione che si preannunciava particolarmente incerta e delicata.
In parole povere si voleva evitare che la scelta cadesse ancora una volta su un deputato romeno che avrebbe potuto pregiudicare l’obiettività del verdetto. Nelle due precedenti occasioni, infatti, gli eurodeputati di Bucarest al vertice della delegazione europea avevano suscitato una vespaio di polemiche per la parzialità dei giudizi espressi entrando a gamba tesa nella contesa politica. Corsi e ricorsi storici non si possono certo trascurare quando si parla di Romania e Moldavia. In entrambi i paesi sono ancora forti le voci di coloro che invocano la riunificazione riportando indietro le lancette dell’orologio a prima del Secondo conflitto mondiale; in entrambi i paesi c’è ancora chi vede la frontiera del 1945 come una cicatrice da rimuovere al più presto dalle cartine del vecchio continente.
Il percorso europeo di Chișinău
Da qualche mese il governo di Chișinău ha accelerato il percorso di avvicinamento a Bruxelles. Intendiamoci bene, non si parla ancora di adesione, almeno non nelle istituzioni comunitarie, ma di graduale integrazione sia a livello economico che politico. Dall’aprile 2014 i cittadini moldavi possono circolare liberamente nello spazio Schengen senza bisogno del visto di ingresso. Lo scorso 27 giugno, inoltre, la Moldavia ha firmato con l’Unione un accordo di associazione che di fatto concede ai prodotti moldavi l’accesso senza alcuna restrizione al mercato unico europeo.
Non sono tutte rose e fiori, però, visto che l’arretrata economia del paese si appoggia in buona parte ad una domanda interna drogata dalle rimesse della diaspora che costituiscono all’incirca un quarto del prodotto interno lordo e il settore agricolo rimane ancora di gran lunga quello più forte con più del 34% della forza lavoro occupata. Vino e tabacco sono le risorse principali della campagna moldava che negli ultimi tempi sono state obbligate a trovare nuovi sbocchi commerciali dopo lo stop alle importazioni imposto dalla Russia.
Il messaggio di Mosca
“O noi o l’Europa” è stato il messaggio perentorio e diretto arrivato da Mosca, infastidita dalla presunta intrusione di Bruxelles in quello che ritiene tuttora il proprio giardino di casa, nonostante siano ormai trascorsi venticinque anni dalla caduta del muro di Berlino. E il governo moldavo ha scelto l’Europa, salvo poi dovere fare i conti con una società profondamente spaccata fra chi guarda ad oriente e vorrebbe mantenere i tradizionali legami profondi con l’ingombrante e scomodo vicino e chi guarda ad occidente e vorrebbe, invece, recidere finalmente un inutile e pericoloso cordone ombelicale. Più che una scelta politica, quindi, quella moldava si è trasformata in scelta geopolitica caricando le elezioni di un pesante fardello storico e culturale.
In aereo
Sono talmente abituato al regime delle compagnie low-cost che ormai mi meraviglio se mi servono un pasto caldo a bordo. Le linee moldave hanno ancora un volto umano con il personale di crociera che manifesta verso il passeggero l’attenzione dei tempi andati. Niente lussi o comfort superflui, la Moldavia rimane pur sempre il paese più povero del vecchio continente, ma un mix di cortesia e affabilità che compensano la sobrietà degli interni dell’apparecchio.
Oxana, la mia vicina di posto, però si lamenta. Torna a Chișinău per rivedere la figlia che giace in un letto di ospedale affetta da una malattia degenerativa. Ha bisogno di continua assistenza e di cure mediche che le vengono somministrate solo con laute mance in nero. “In Moldavia funziona tutto così”, mi dice rassegnata, “se non allunghi un extra non ottieni nemmeno quello che ti spetta di diritto”. Oxana lavora in una casa di riposo in provincia di Reggio Emilia. Per lei il sistema sanitario italiano rimane un modello. E ad una mia precisa domanda risponde di non essere interessata alla imminenti elezioni. Pensavo di incontrare sull’aereo gli emigranti che rientrano per il voto ma mi accorgo che i passeggeri sono soprattutto italiani con volti che riconoscerò più tardi nello stesso hotel dove alloggio. Anche da queste parti si parla di inverno mite ma la percezione moldava della mitezza è decisamente diversa dalla mia visto che nevica all’arrivo e la temperatura è abbondantemente sotto zero.
Sguardi internazionali
Raramente mi è capitato di incontrare ambasciatori così apertamente critici ed insoddisfatti del governo del paese ospitante. Nel tradizionale incontro di inizio missione i diplomatici europei, contrariamente alle usanze, non usano mezzi termini nel descrivere con tratti negativi il comportamento delle autorità di Chișinău. “La diffusa apatia dei cittadini nei confronti della politica deriva dalla cattiva reputazione di questo governo che appanna la credibilità dell’UE” esordisce il rappresentante dell’Unione mentre ci dà il benvenuto.
Le forze ascese al potere dopo le consultazioni del 2010 ostentano la fede europea ma si presentano a queste elezioni divise al loro interno con uno strascico di polemiche e scandali di varia natura alle spalle. “Per convincere gli elettori a recarsi alle urne agitano lo spettro della guerra in Ucraina cercando di creare un’atmosfera di paura che metta in secondo piano i fallimenti di chi ha malgestito il potere e ha spesso abusato della propria posizione per interessi personali”, sottolineano altri colleghi.
“C’è un grande bisogno di riforme ma la legittimità di questo governo è dubbia così come la sua capacità di agire” aggiunge l’ambasciatore svedese mentre quello polacco sottolinea come alle promesse non abbiano fatto seguito i fatti. “Con il pretesto di essere filo-europee le autorità di Chișinău reclamano da noi il sostegno incondizionato”, commenta il rappresentante britannico esprimendo seri dubbi sullo stato reale della democrazia nel paese. Il disagio dei diplomatici non può essere più esplicito. Non si capisce, però, come il messaggio non sia giunto a Bruxelles che insiste nel considerare la Moldavia come il paese di punta del Partenariato Orientale rischiando di perdere la faccia. Adesso è tempo di elezioni ed i cittadini, al bivio, devono scegliere da che parte svoltare.
Chișinău
Il grande boulevard dedicato a “Stefano il Grande”, uno dei troppi condottieri trasformati in santo, taglia la capitale passando davanti ai più importanti edifici governativi. E’ il centro nevralgico di Chișinău, il cuore che pompa la linfa del traffico in tutte le strade collaterali. Da qui, però, ci si fa un’idea sbagliata della città che appare come uno dei tanti gradevoli capoluoghi di provincia dei paesi orientali dove i grandi magazzini non hanno ancora assunto l’aspetto sfavillante e invadente che caratterizza i nostri centri e le vetrine delle boutique non abbagliano di sfarzo i passanti.
Una città all’apparenza normale con i chioschi di tabacchi e giornali agli incroci ed i piccoli caffè schiacciati fra i supermercati. Spostandosi pochi metri a lato, però, le facciate dei palazzi si scrostano, i colori si fanno tetri e nelle abitazioni le tettoie in materiale di plastica e cartongesso prendono il posto dei tetti. Il vero volto di un paese non lo si conosce mai dalla capitale e tanto meno del centro di questa. Quando, poi, cala la notte emerge in tutta la sua evidenza il contrasto tra le luci del corso principale ed il buio delle strade parallele.
Dopo una frugale cena consumata in uno dei pochi ristoranti aperti sulla via del ritorno all’hotel mi intrufolo tra la folla che assiste allo spettacolo che chiude la campagna elettorale del Partito Democratico, che fa parte della coalizione di governo. Sul palco si esibisce Filipp Kirkorov, un noto e discusso artista russo che, accompagnato da un balletto, sfoggia in stile kitsch brani degli anni settanta, come “Pour un flirt” di Michel Delpech, che mi riportano all’infanzia. La sera precedente era stato Toto Cutugno a rallegrare la platea della capitale che ancora ama ed apprezza, come in quasi tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica, le vecchie glorie della melodia italiana.
Non appena Marian Lupu, l’ex presidente del parlamento, termina il breve appello al voto partono raffiche di fuochi artificiali che illuminano le tenebre e ricadono sotto forma di cenere sulla folla nella speranza che le scintille rischiarino le menti degli ultimi elettori ancora indecisi. Saranno oggetto di di discussioni e polemiche questi show nei giorni successivi per l’ingente dispiegamento di mezzi utilizzati e l’opacità dei finanziatori.
Numeri e finanziamenti
C’è un continuo andirivieni di persone nell’hotel Leogrand trasformato in quartier generale della missione internazionale di osservazione elettorale. Sono più di 260 gli osservatori accreditati in rappresentanza di molti parlamenti e organizzazioni sovranazionali. Fra questi scorgo anche alcuni senatori italiani che mi avevano accompagnato, a mia insaputa, sul volo da Verona, arrivati nell’ambito della delegazione del Consiglio d’Europa.
Sono 43 i partiti e i candidati indipendenti che si sono registrati per le elezioni ma di questi solo 25 partecipano al voto e pochissimi hanno la possibilità di superare lo sbarramento del 6% previsto dalla legge. L’argomento del giorno, comunque, è l’esclusione di Patria, il partito fondato da Renato Usatii, un giovane uomo d’affari moldavo domiciliato in Russia, indicato dai sondaggi con percentuali oscillanti dal 10 al 18%.
Con lo slogan “Moldavia senza corruzione” era dato in costante crescita da tutti gli opinionisti attirando come un magnete il vasto voto di protesta. Suscita scalpore il provvedimento della Commissione Elettorale Centrale, più tardi confermato dalla Corte Suprema, che cade a sole 48 ore dall’inizio del voto. Finanziamenti illeciti di provenienza estera sono le ragioni dell’esclusione che non convincono gli analisti sia nel merito, le fonti di finanziamento sono incerte anche per altri contendenti, che per i tempi, non si capisce, infatti, perché intervenire solo adesso.
Grigore Petrenco, l’esponente di Patria che si alterna con quelli degli altri partiti invitati a presentare i rispettivi programmi elettorali agli osservatori internazionali, respinge sconsolato tutte le accuse. “Siamo venuti a conoscenza dell’apertura di un’inchiesta a nostro carico solo ieri”, sottolinea “e la Commissione elettorale centrale non ci ha nemmeno concesso l’opportunità di difenderci prima di assumere la decisione della nostra esclusione”.
“Tutti i nostri siti web sono bloccati e i nostri telefoni disattivati mentre i principali media ci descrivono come estremisti collegati perfino a gruppi terroristi”, aggiunge desolato. Anche i rappresentanti della società civile moldava che prendono subito dopo il posto degli esponenti di partito manifestano dubbi sull’operazione in corso.
“Non capisco perché sanzioni di questo tipo siano state adottate solo nei confronti di Patria quando la provenienza incerta dei finanziamenti elettorali è un fenomeno generalizzato che tocca quasi tutte le forze politiche”, afferma Pavel Postica dell’organizzazione Promo-Lex.
“La legge sul finanziamento ai partiti fa acqua da tutte le parti”, rincara la dose Igor Botan dell’Associazione per la Democrazia Partecipativa , “tutti fanno uso di fondi non dichiarati”.
Petru Macovei che rappresenta l’Associazione della Stampa Indipendente punta il dito, invece, sulla mancanza di trasparenza della proprietà dei media concentrata nelle mani di poche società registrate off-shore. “Le multe previste dalla legge per le eventuali violazioni del codice elettorale sono irrisorie”, afferma, “e gli organismi di controllo non funzionano”.
Il sistema radio-televisivo, comunque, risulta sbilanciato anche per la presenza dei media russi che da mesi bombardano l’etere moldavo a sostegno dei partiti che invocano legami più stretti con Mosca come quello comunista e quello socialista che nei poster elettorali mostra i propri leader seduti al tavolo con Putin con lo slogan “Impreuna cu Russia” (insieme alla Russia).
L'incontro col primo ministro
Dal 30 maggio Iurie Leanca è il primo ministro della Moldova sostenuto dalla “Coalizione per un Governo Pro-Europeo” che ha sostituito la precedente affossata da accuse di corruzione. E proprio dalla questione della corruzione parte Leanca nel riceverci nel suo studio.
“Dobbiamo combattere il fenomeno in modo più efficace perché anche da noi potrebbe succedere quello che è avvenuto a Kiev in piazza Majdan ”, attacca, “e occorrono ulteriori sforzi per procedere con le riforme in campo economico, sociale, politico e nel settore della giustizia”. “Mi auguro che le forze che mi sostengono vincano le elezioni per potermi concentrare sulle priorità del paese”, continua, “anche se, purtroppo, il conflitto in Transnistria ci mantiene in uno stato di perenne incertezza”.
Il giovane primo ministro ammette di condividere in parte la frustrazione diffusa dell’elettorato sottolineando come 23 anni di transizione verso una meta ancora incerta abbiano indebolito le speranze della popolazione. “Mi piacerebbe che l’Unione europea inviasse a Chișinău una missione analoga a quella dispiegata in Kosovo”, aggiunge, non rendendosi forse conto che in pratica il paese verrebbe commissariato.
Si sofferma, poi, sul dilemma geopolitico che caratterizza la campagna elettorale con l’opposizione che chiede una svolta a U in politica estera. “Mi auguro che Mosca riconosca il risultato elettorale anche nel caso vincano le forze filo-europee”, commenta, “anche se la resistenza al cambiamento è più forte proprio nelle zone dove maggiore è l’influenza russa”.
Leanca, quindi, snocciola gli ultimi dati secondo i quali dopo il blocco di Mosca nei confronti dei prodotti agricoli moldavi l’export verso l’Unione europea è quasi quintuplicato. “Siamo al centro di una guerra economico-commerciale”, enfatizza, “con la Moldavia chiamata a scegliere fra la storia e il futuro”. “Il mio paese merita lo status di candidato”, conclude, “perché senza la Moldavia il processo di allargamento dell’Unione europea sarebbe monco”.
Le riunioni non finiscono mai e si susseguono in un’interminabile vortice di fascicoli, incartamenti e documenti. Quelle ristrette per i presidenti delle delegazioni dell’Assemblea Parlamentare dell’OSCE, dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa e del Parlamento Europeo proseguono ad oltranza incuranti delle elementari esigenze alimentari. Solo acqua e caffè non mancano per gli sherpa che continuano il lavoro, io fra questi, riformulando e smussando parole e frasi dopo l’uscita di scena dei capo-delegazione.
La bozza del comunicato finale è quasi ultimata ma dovrà ovviamente attendere il fatidico giorno del voto per la conferma definitiva della valutazione dell’intero processo elettorale. I funzionari dell’ODIHR, l’Ufficio per la Democrazia e i Diritti Umani, che coordinano i lavori soppesano anche le virgole mentre solleviamo a ruota libera rilievi e obiezioni che vorremmo vedere inclusi nel testo da presentare alla stampa.
Il giorno x
Le cucine dell’hotel sono costrette ad una apertura anticipata per gli ospiti in partenza per i sopralluoghi nei seggi. Le varie squadre si incrociano mentre ai tavoli, fra uno yogurt e una brioche, si verificano sulla cartina le rispettive zone di osservazione. Occorre arrivare per tempo e, comunque, prima dell’inizio delle operazioni di voto.
A me e a Soltes sono state assegnate quindici stazioni elettorali in un’area che va dai sobborghi di Chișinău fino al fiume Dniestr, a ridosso dell’auto-proclamata Repubblica di Transnistria. Fa molto freddo e l’oscurità non aiuta ad individuare il primo seggio, collocato in una scuola per l’infanzia priva di indicazioni, incastrata tra un gruppo di condomini che mostrano un urgente bisogno di manutenzione. Con una apposita fascia distintiva al braccio e la valigetta dei documenti mi sento come un piazzista di cianfrusaglie che passa di porta in porta ad offrire la propria merce.
Chiediamo del presidente a cui rivolgiamo le classiche domande sul numero di schede, i registri, i verbali, i controlli e l’allestimento delle cabine. Ci intratteniamo, quindi, con i rappresentanti di lista e gli osservatori non governativi accreditati che, a loro volta, produrranno a fine giornata una valutazione alternativa sullo svolgimento delle elezioni. Tutto sembra in ordine. Per la prima volta, inoltre, è previsto in ogni seggio anche un computer portatile direttamente collegato al ministero degli Interni che dovrebbe fornire in tempo reale il tasso di partecipazione.
Dopo un altro paio di stazioni di voto nella periferia della capitale decidiamo di spingerci verso la linea di contatto dove i separatisti filo-russi hanno eretto le postazioni di controllo della frontiera di uno stato che nessuno riconosce a livello internazionale. Sono due i seggi allestiti nell’ultimo villaggio interamente dedicati ai cittadini moldavi residenti in Transnistria. Oltre il fiume, infatti, le sedicenti autorità hanno vietato qualsiasi consultazione elettorale di un paese cui rifiutano di appartenere.
C’è un’atmosfera rilassata, quasi di festa in sala mentre all’esterno le automobili intasano le vie di accesso. Grazie ad Alina, la nostra interprete, ci intratteniamo con alcune delle persone che attendono pazientemente in coda. Con una di queste intavolo direttamente un dialogo in spagnolo. E’ un professore di lingue che insegna in una scuola di Bender, la città della Transnistria di cui si intravedono in distanza, dalle finestre, i primi grattacieli. Gli chiedo perché non abbia mai pensato di trasferirsi nella zona “legale” della Moldavia. “Là sono nato e là rimango nonostante tutto”, mi risponde sorridente.
Va sottolineato, comunque, che, contrariamente a quanto avvenuto nelle occasioni precedenti, le guardie di frontiera della Transnistria non ostacolano in alcun modo il flusso dei cittadini in uscita verso i villaggi vicini dove è possibile votare.
Settanta centimetri di democrazia, a tanto ammonta la lunghezza della scheda che dovrà determinare il futuro geopolitico della Moldavia. Decidiamo di concludere la giornata in un piccolo seggio appena fuori città dove scrutatori e rappresentanti di lista siedono imbacuccati al freddo tra il vapore del fiato e le incrostazioni di ghiaccio sui vetri delle finestre. Sono davvero poche le irregolarità annotate in precedenza sugli appositi moduli dei rapporti da consegnare al nostro centro di raccolta dati.
Cabine elettorali troppo vicine, in alcuni casi, che non permettono la privacy, presenza di personale non autorizzato nei seggi, qualche elettore accompagnato senza autorizzazione e nulla più. Lo scrutinio procede rapido e senza intoppi. Nessuna contestazione sollevata. Tutti hanno fretta di trovare un riparo caldo. Facciamo ritorno all’hotel dove stanno affluendo i primi dati che smentiscono le previsioni di una bassa partecipazione.
Europa batte Russia 55 a 46
Europa batte Russia 55 a 46, questo è il verdetto delle urne che nella tarda mattinata del giorno dopo sancisce la vittoria per quanto riguarda i seggi nel nuovo parlamento del Partito Liberale Democratico, del Partito Democratico e del Partito Liberale, le tre forze politiche che ambiscono a legami più stretti con l’UE. Socialisti e comunisti siederanno ancora all’opposizione accantonando, per il momento, ogni ipotesi di riavvicinamento con Mosca.
Di fatto il paese resta profondamente diviso in due con le zone rurali ancorate alla tradizione sovietica e la piccola borghesia cittadina che guarda ad ovest. Senza contare la popolazione della Transnistria che se avesse partecipato in massa alla consultazione avrebbe potuto ribaltare i risultati del voto.
Bruxelles può ritenersi soddisfatta della scelta moldava ma farebbe meglio a mostrare un po’ più di cautela prendendo le distanze in maniera netta ed inequivocabile da atti e pratiche che sfiorano il malaffare. Non basta dichiararsi europei per ottenere il sostegno dell’Unione.
Tra i sei paesi del Partenariato Orientale la Moldavia è il maggior beneficiario di fondi comunitari pro capite ma le riforme languono e cittadini continuano ad emigrare. Ormai quasi un terzo della forza lavoro risiede all’estero sparsa fra Russia e vecchio continente. Gli opinionisti parlano di ultima chance per l’Europa. Se i partiti filo-occidentali fallissero anche stavolta difficilmente ci sarebbe un’ulteriore prova di appello. Intanto si volta pagina ma quella successiva è ancora tutta da scrivere.
Le cantine
C’è un buco di qualche ora nel programma e visto che la missione è ormai terminata ci si può dedicare all’unica vera attrattiva turistica della Moldavia, il settore viti-vinicolo e, in particolare, l’incredibile sistema di cantine che perfora il sottosuolo.
Milestii Mici si trova ad una ventina di chilometri da Chișinău sulle colline che circondano la capitale. Qui per due secoli si è scavato in lunghi cunicoli per estrarre pietra calcarea. Alla fine degli anni sessanta le autorità hanno avuto l’intuizione di trasformare i tunnel in cantine dove stoccare e conservare il vino sfruttandone la temperatura fra i 10 e i 12 gradi costante tutto l’anno. E’ davvero qualcosa di spettacolare muoversi in queste gallerie in auto o a piedi fra botti e bottiglie di merlot, cabernet e vitigni autoctoni di assoluto pregio con celle sotto chiave di investitori privati da tutto il mondo che scommettono sul vino moldavo.
Dei 200 chilometri di miniera più di 50 sono stati recuperati a questo scopo attirando visitatori da ogni continente a dimostrazione che anche un’economia povera sa offrire aspetti che la rendono unica e originale. A Milestii Mici si produce anche vino spumante da stappare e bere all’atto di costituzione del nuovo governo che ha davvero bisogno di buoni auspici. Purché non si esageri visto che con l’alcol è facile perdere la direzione.
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