Natalia Ceban con alcuni colleghi (copyright Chiara Dazi)

Natalia Ceban con alcuni colleghi (copyright Chiara Dazi)

Mentre in Brasile fervevano i preparativi per i Giochi Olimpici dello scorso agosto, anche in Moldavia c'era chi – negli stadi della capitale e su polverosi campi nei villaggi – si allenava

17/03/2017 -  Francesco Brusa

Prima dell'inizio del campionato, il complesso “Dinamo” di Chişinau vede riunirsi gli arbitri che dovranno dirigere le partite della stagione calcistica della massima serie. Prove di resistenza e scatto, tutte scrupolosamente cronometrate, si susseguono lungo la pista da corsa. A gruppi di 7-8, i futuri giudici di gara sciamano per il prato riscaldandosi per gli esercizi: chi va sopra il tempo prestabilito, non è idoneo ad affrontare la competizione in arrivo. Per molti questo è un incontro di routine che si ripete ogni anno. Ma per qualcuno si tratta invece di un'occasione inedita e significativa: fra gli arbitri che corrono sotto il sole c'è anche Natalia Ceban, che di lì a poco diventerà la prima donna nella storia della Moldavia a fare da assistente di gara in una partita di calcio maschile della massima divisione.

Così nei dintorni di Călăraşi a Pituşca - circa 50 km a nord di Chişinau - in un ambiente decisamente più rurale, Mariana Cherdivara alterna giornaliere sessioni di preparazione fisica alla cura di una numerosa famiglia. Lei a Rio ci andrà: è stata selezionata per gareggiare nella categoria 58 kg della lotta libera femminile e gli allenamenti si fanno via via più intensi, sia con il suo coach personale nella città vicina sia individualmente nel villaggio in cui abita. Nel parchetto adiacente a una scuola primaria, sfrutta i pochi attrezzi pubblici per tonificare i muscoli e aumentare la propria tenuta in vista della competizione olimpica. Abituati alle immagini delle preparazioni di campioni internazionali, fra tute hi-tech ed équipe di assistenti a registrare e migliorare ogni singolo movimento, il contesto in cui si muove Mariana ci sembra provenire da un'altra epoca. La strada sterrata che conduce alla sua abitazione – una piccola casa di campagna con rimessa e orto – si perde per una valle di terreni agricoli e sparute costruzioni.

Natalia Ceban, prima donna assistente di gara

Natalia cresce circondata dallo sport. Originaria di Dubasari, in Transnistria, si trasferisce presto con la famiglia nella 

capitale Chişinau. Qui assieme al fratello Andrei e alla sorella Svetlana si lancia da subito nel calcio giocato, facendo pratica in formazioni scolastiche e poi militando nella squadra femminile del rione di Ciocana. “In Moldavia il calcio femminile, a parte appunto con scuole o gruppi di livello amatoriale, era praticamente inesistente”, ci dice “la nazionale femminile a un certo punto è stata pure dismessa data la mancanza di giocatrici di valore”. È nel 2007 che Natalia intraprende la carriera di arbitra, analogamente a quello che stavano facendo anche la sorella e il fratello (Svetlana, ritiratasi lo scorso anno, è stata un giudice di gara Fifa per il calcio femminile mentre Andrei è ora un suo collega nel campionato maschile). Quattro anni dopo è assistente di gara nella sua prima partita femminile internazionale e da lì compie il “salto” nelle leghe maschili minori, fino all'approdo nella massima divisione ("Divisione nazionale") dello scorso anno.

Natalia Ceban (copyright Chiara Dazi)

“Sei una donna e ne capisci di calcio? Mi è capitato che alcuni fossero scettici quando mi vedevano scendere in campo con la divisa da arbitra. Giocatori, allenatori, tifosi: in molti spesso contestavano le mie decisioni. Questo succedeva maggiormente al sud o al nord, nelle zone più lontane dalla capitale dove comunque non ero conosciuta come invece lo ero a Chişinau”, prosegue Natalia. “A tali reazioni ho sempre opposto la mia professionalità, che il Comitato centrale ha riconosciuto promuovendomi nella prima categoria. Devo dire che sono abbastanza orgogliosa del risultato che ho raggiunto e spero che la mia esperienza possa servire da esempio per altre donne che magari vogliono intraprendere il mio stesso percorso”.

Ma non è solo attraverso la propria carriera individuale che Natalia sta cambiando l'ambiente sportivo moldavo, seppur in piccolo. Dal 2012 ha infatti iniziato a collaborare con la Federazione in qualità di responsabile per il calcio femminile, cercando di implementare anche specifici progetti di sviluppo supportati dalla Fifa. “Le squadre femminili sono praticamente composte solo dalle giocatrici e dagli allenatori, non c'è alcun altro tipo di sostegno, tecnico, finanziario o promozionale... Ciò che mi sembra necessario è allora un contesto in cui possa crescere la competizione e, di conseguenza, la partecipazione. Per questo abbiamo istituito leghe e campionati regionali, per favorire un movimento di base”. All'oggi le donne ufficialmente iscritte alla federazione calcistica sono circa 600, un numero che rimane esiguo. Tuttavia, dopo nove anni di stop, la nazionale ha ripreso a gareggiare a livello nazionale debuttando proprio quest'anno nelle qualificazioni di zona per Euro 2017.

Mariana Cherdivara, da Bahu a Rio de Janeiro

Anche Mariana Cherdivara proviene da una famiglia a stretto contatto con lo sport: tutti i suoi fratelli e sorelle praticano discipline di lotta. Cresciuta nel piccolo villaggio di Bahu, zona di Călăraşi, inizia con il judo all'età di 12 anni mentre aiuta i genitori col lavoro nei campi. “Per me andare a 'sfidare' gli altri ragazzi era un modo di rilassarmi. Non è mai stato un problema essere circondata da soli maschi, anzi avevano tutti paura di prenderle”, racconta divertita. È però andando alle scuole superiori che capisce di essere maggiormente portata per la lotta libera. Inizia una serie di risultati significativi: tre primi posti ai campionati europei juniores e due medaglie d'argento a quelli mondiali, fino appunto alle qualificazioni per le Olimpiadi dello scorso anno. “Per un periodo mi sono trasferita nella capitale per allenarmi, ma non ho percepito chissà quali miglioramenti. Così sono ritornata nella zona di Călăraşi e ho continuato a prepararmi qui. In Moldavia non c'è un sistema che riesce a offrire molto supporto agli atleti - prosegue Mariana - nonostante stia per andare a una manifestazione olimpica, nessuno delle istituzioni mi ha contattata né mi sono state offerte possibilità diverse da quelle che mi ero già trovata autonomamente”.

Mariana Cherdivara (copyright Chiara Dazi)

A Pituşca Mariana vive con il marito, la sorella minore e due figli giovani. In una rimessa della sua abitazione di campagna sono conservati tutti i trofei vinti nel corso della carriera, mentre parte del terreno circostante è dedicato ad attività agricole. Per i suoi allenamenti si sposta quasi quotidianamente nella città di Călăraşi. “Non guadagno molto dalla mia professione di atleta. Pensa che fino a poco tempo fa non avevo neanche un mezzo per arrivare alla palestra. Io e mio marito abbiamo lanciato una piccola raccolta fondi su internet e sono riuscita a finanziarmi una macchina. In generale devo molto, se non tutto, al supporto che mi hanno dato e continuano a darmi i miei familiari: qualche anno fa, dopo aver vinto una medaglia mi sono accorta di aver giocato le fase finali del torneo essendo incinta da un mese. Anche in quel caso non potevo contare su nessun aiuto se non, appunto, quello della mia famiglia. Non ho agenti o manager: mio marito si prende carico di questo aspetto”.

Pure per Mariana, dunque, un possibile miglioramento del contesto in cui opera sembra passare attraverso un doppio movimento. Se da una parte manca effettivamente un pubblico ampio che segue la lotta femminile, pur esistendo in nuce come dimostra la raccolta fondi per la macchina, dall'altra le stesse organizzazioni ufficiali stentano a dare il giusto riconoscimento ai traguardi sportivi dei singoli atleti, ostacolando così l'interesse di ipotetici sponsor. “È chiaro che le Olimpiadi rappresentano un'occasione unica: ci sono molti più riflettori puntati su di noi. Riuscire ad andare a medaglia forse potrebbe smuovere qualcosa presso chi si occupa di sport nelle istituzioni”, conclude Mariana.

Mariana Cherdivara (copyright Chiara Dazi)

Purtroppo, la sua avventura in Brasile è poi terminata negli scontri eliminatori. Ma, certo, la partecipazione ai giochi olimpici costituisce un'importante tappa del suo percorso ed è già qualcosa da far valere nella ricerca di nuovi orizzonti professionali, per lei e per il settore tutto.

Segnali di cambiamento

La luce di taglio del tramonto proietta lunghe ombre sulla pista dello stadio Dinamo, mentre Natalia fa ritorno negli spogliatoi assieme ai suoi colleghi. Da Pituşca nel frattempo partono gli ultimi autobus per la capitale, lasciando il villaggio ai suoi ritmi ancora legati alla terra e al sole.

Lo sport è in qualche modo uno “specchio opaco” della società, una sorta di teatro ai lati del quale, calato il sipario, tutto sembra riprendere a scorrere immutato. In esso rivediamo conflitti e divisioni di una comunità, a volte addirittura esacerbati, eppure sempre sublimati in quella particolare dimensione del gioco che replica le regole della vita quotidiana, sovvertendole. Nel suo libro Dal rituale al record Allen Guttmann diceva che negli sport “non vi è contraddizione, ma paradosso. Sono simultaneamente un'alternativa e un riflesso dell'età moderna”. Alternativa, in quanto diretti discendenti di pratiche e riti atavici che rimandano appunto a concezioni dello “stare insieme” ormai perdute. Riflesso, perché impensabili senza una tecnologia evoluta che permetta di decretare in modo oggettivo primati e vincitori.

Per questo nella storia delle relazioni fra i generi hanno di solito rappresentato un terreno ambivalente: il loro essere legati all'uso del corpo amplifica a un livello superficiale le differenze fra i sessi, rendendoli spesso un ambiente dove si esprimono le più nette resistenze all'inclusione delle donne, ma allo stesso tempo la loro natura “meritocratica” e obiettiva esalta chiunque sia capace di raggiungere risultati significativi, reclamando come evidente la legittimità di ogni tipo di partecipazione.

Ecco che in Moldavia le traiettorie di Natalia e Mariana, e di altre atlete, si muovono sul filo di tale paradosso, in un contesto sportivo che è certamente ancora poco sviluppato. Le carriere delle due atlete non hanno il carattere di rivendicazioni generali, ma restano comunque “segni” - per chi li vorrà leggere – di cambiamenti che si fanno sempre più pressanti e necessari. Con la speranza dunque che a ogni vittoria sul campo possano corrispondere nuove vittorie sociali, piccole ma incisive.


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