In Moldavia è in atto una radicale riforma del sistema di cure per malati psichiatrici. Il paese si trova in una fase di transizione dal vecchio modello di assistenza psichiatrica a un nuovo sistema, basato in particolar modo sull’istituzione di cosiddetti “centri medici comunitari”. Un reportage
F. sembra raccontare il suo passato con leggerezza. Ricorda le fasi della sua vita che ha trascorso nell’ospedale psichiatrico di Codru quasi come tappe di un percorso. Mostra delle foto, che ha digitalizzato e archiviato sul cellulare, e le associa a momenti precisi, memorie. A queste memorie associa poi volti e nomi. "Questo, con la chitarra, è il medico che si occupava del nostro reparto", dice scorrendo il dito sullo schermo, "qua stavamo invece facendo una specie di festa, mascherati…".
Dalla capitale Chișinău, bisogna percorrere una lunga discesa per arrivare alla località di Codru. Un’icona religiosa in legno segna l’ingresso della cittadina, che si sviluppa attorno a poche vie costeggiate da villette e condomini. Al termine delle case, inoltrandosi appena per uno stradone sterrato, sorge lo Spitalul Clinic de Psihatrie che è fra i maggiori del paese. Si tratta di un’ampia area verdeggiante, dove i reparti della struttura ospedaliera psichiatrica si alternano a costruzioni ottocentesche spesso diroccate, giardini e camminamenti interni.
Il passato sovietico
"Mi ricordo i tempi dell’Urss: medicinali, assistenza sanitaria e permanenza nelle strutture ospedaliere erano tutte spese coperte dallo stato", dice il vice-direttore dello Spitalul Clinici de Psihatrie di Codru Iurie Pavlov. "Semplicemente, c’erano più soldi e tutto funzionava meglio. Ora, invece, dobbiamo confrontarci con vari problemi, dal poco personale alla scarsità di risorse e rifornimenti".
L’area dell’ospedale venne edificata in epoca zarista, a partire dal 1895, e funzionava in tutto e per tutto come una colonia psichiatrica: le persone affette da disagio mentale venivano “internate” nelle ampie strutture d’accoglienza e veniva assegnato loro un appezzamento di terra da coltivare, oppure entravano a lavorare in alcune fabbriche costruite appositamente all’interno della colonia. Oltre ai luoghi di lavoro e alle abitazioni, erano presenti anche una scuola, una chiesa e altre strutture funzionali.
Successivamente, in epoca sovietica, si passò al modello di assistenza psichiatrica denominato “Shemasko ” che prevedeva una copertura totale dei costi operativi da parte dello stato e una forte centralizzazione delle procedure organizzative e dei metodi di cura. "Anche durante quel periodo, ai pazienti veniva data la possibilità di svolgere dei lavori", prosegue il vice-direttore. "Si trattava di attività di artigianato, realizzazione di imballaggi per il sistema postale, fino a occupazioni nelle serre e nelle vetrerie che erano presenti in loco, per le quali era previsto uno stipendio".
Oggi l’ospedale offre assistenza a un numero annuale di 7000-8000 pazienti, a fronte di un organico di circa 30 persone fra psichiatri e psicologi. "È un problema generale, che ha a che fare con la condizione economica della Moldavia. Tanti dottori emigrano in cerca di uno stipendio migliore, verso paesi dell’Europa occidentale o anche verso la vicina Romania (dove gli stipendi possono essere anche di quattro volte superiori che in Moldavia e dove da un paio d’anni la procedura di riconoscimento dei titoli di studio in medicina rilasciati da paesi stranieri è stata notevolmente agevolata , ndr). In più, il sistema è cambiato molto. Non c’è più una internalizzazione dei pazienti. Se rimangono a loro disposizione delle piccole attività, dal disegno alla visione dei film oppure impieghi di giardinaggio all’interno dell’area, come ospedale nazionale ci occupiamo solo della somministrazione di farmaci e di trattamenti d’urgenza. Tutto ciò che riguarda il processo di riabilitazione vera e propria viene ora preso in carico dai nuovi centri comunitari".
Il progetto Mensana e i centri medici comunitari
F. - che è affetto da una forma di schizofrenia - sa che la guarigione è un percorso continuo e costante, che non avviene da un momento all’altro. "Sono delle fasi, l’importante è imparare a controllare il problema. Lì a Codru, oltre ai momenti più tranquilli e a volte anche divertenti, l’ambiente era comunque pesante e non c’era la possibilità di fare molto. Alcuni dei farmaci che ci somministravano li odiavo proprio. Poi, poteva capitare di essere legato con la camicia di forza se avevi delle crisi o degli attacchi di panico". Il fatto è che, per F. e i suoi familiari, il trattamento d’urgenza presso una struttura ospedaliera statale come quella di Codru rappresentava praticamente l’unica strada a disposizione. "Era quasi un pensiero automatico: se una persona presentava disturbi mentali, la si portava a Codru. Dopo, col tempo, ho visto che sono nate metodologie e centri alternativi ma sono pratiche ancora poco conosciute e spesso manca l’informazione. Non so se mi sarei rivolto lì sin dall’inizio, è difficile da dire col senno di poi".
La Moldavia si trova in una fase di “transizione” dal vecchio modello di assistenza psichiatrica a un nuovo sistema, basato in particolar modo sull’istituzione di cosiddetti “centri medici comunitari” che vengono mutuati soprattutto dal contesto olandese. Oltre alle difficoltà strutturali, la realtà degli ospedali statali è stata anche attraversata da alcuni scandali e messa sotto accusa dalla stampa e dall’opinione pubblica per la durezza e il livello di coercizione utilizzati nei trattamenti. Nel 2012, per esempio, un breve documentario della giornalista Natalia Ghilascu denunciava abusi e segregazioni forzate da parte del personale medico operante nella struttura statale di Balti. Oppure, proprio a Codru, si sono sollevate anche recentemente accuse relative a pestaggi e violenze ai danni di una paziente. Ma, in generale, è il concetto di “concentrazione sistematica” delle persone affette da disturbi psichici in poche, grandi strutture (in Moldavia ne esistono solo tre: Codru, Balti, Tiraspol) a essersi rivelato inefficiente e poco attento a ricercare pratiche di trattamento rispettose della dignità dei pazienti.
"Come è successo in varie parti del mondo, anche in Moldavia le pratiche di assistenza psichiatrica sono state fonte di abusi e violazioni dei diritti umani", afferma la portavoce del progetto Mensana Costanta Popa. "A partire dal 2010 il ministero della Salute moldavo ha preso la decisione di riformare il sistema esistente. Perciò, grazie anche a dei fondi svizzeri e con la collaborazione dell’Istituto per la Salute Mentale e le Dipendenze olandese Trimbos, è stato avviato il progetto Mensana, che si occupa di superare l’attuale modello in vista di un’organizzazione dell’assistenza psichiatrica maggiormente decentrata e più attente alle esigenze del paziente. Era chiaro come ci fossero delle difficoltà e delle problematiche strutturali ormai insormontabili. In particolare, nell’epoca sovietica, le cure psichiatriche sono state utilizzate anche per fini di punizione del dissenso e di coercizione di soggetti ritenuti pericolosi o “sospetti”. Dopodiché, dagli anni ‘90 fino a oggi, il nostro sistema (così come, in generale, quelli delle nazioni post-sovietiche) non è stato in grado di raggiungere gli standard qualitativi indicati dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità o comunque di rispettare in maniera compiuta i diritti umani. In più, le strutture costruite sul territorio moldavo rispondevano a una logica di segregazione dei pazienti dal resto della comunità: si trovavano fuori dai centri abitati, spesso in prossimità di boschi o aree isolate".
A partire dal 2014, dunque, attraverso il progetto Mensana sono stati istituiti quattro “centri comunitari” pilota (nei distretti di Soroca, Orehi, Cimislia e Cahul) che coprono una popolazione di 412mila persone, dove l’assistenza psichiatrica viene offerta grazie al lavoro di gruppi di professionisti composti da psichiatri, psicologi, infermieri e assistenti sociali comprendendo anche visite a domicilio. Nel periodo 2014-2018, che costituisce la prima fase del progetto, si è registrata una riduzione del 23% di persone ricoverate negli ospedali psichiatrici limitrofi ai centri pilota, il che ha dunque spinto all’apertura di altri 40 centri in tutto il territorio dello stato moldavo e l’avvio di una seconda fase di sviluppo del nuovo sistema, che si protrarrà fino al 2022.
Stigma e cambiamento
Il maggiore ostacolo a un definitivo cambiamento nel sistema dell’assistenza psichiatrica in Moldavia sembra essere in particolare dato dalla mentalità diffusa nella società. Uscire dal “paradigma” concentrazionario e di segregazione dei pazienti significa innanzitutto provare ad abbattere lo stigma che colpisce questi ultimi. "Quando abbiamo iniziato a sviluppare il progetto di riforma del modello di assistenza psichiatrica, quello della salute mentale era quasi un argomento tabù, un ambito ultra-stigmatizzato", conclude Costanta Popa.
"Non solo da parte delle persone comuni, per le quali in molti casi è un problema anche solo abitare vicino a qualcuno affetto da disturbo psicologico, ma pure da parte degli stessi professionisti del settore, per cui è difficile concepire modifiche al proprio modo di operare. Un esempio: spesso è stato complesso convincere psichiatri e psicologi a prestare assistenza a domicilio. Non capivano per quale motivo si dovessero recare loro dal paziente e non viceversa. Ma, una volta effettuato questo cambio, è stato chiaro quanto invece si trattasse di una misura a beneficio di tutt’e due le parti, che favoriva il processo di guarigione nella sua interezza. Perciò, è fondamentale aumentare la consapevolezza sul tema, a partire innanzitutto da chi lavora nel settore e, a volte, è restio a modificare la propria prospettiva".
Il fattore religioso
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