Jovo Martinović davanti al Tribunale di Podgorica

Jovo Martinović davanti al Tribunale di Podgorica

Dopo oltre sette anni di odissea giudiziaria e dopo aver trascorso quindici mesi di custodia cautelare con l'accusa di traffico di droga, il giornalista investigativo Jovo Martinović lo scorso 17 gennaio è stato assolto per la seconda volta dalla Corte d'appello. In attesa della sentenza definitiva, lo abbiamo sentito

30/01/2023 -  Paola Rosà

Manca ancora un ultimo passaggio, ma la vicenda processuale di Jovo Martinović, giornalista investigativo processato, condannato, assolto, ricondannato e nuovamente assolto per associazione a delinquere e traffico di droga, sembrerebbe chiusa dopo quasi otto anni di autentico calvario. Sotto i riflettori internazionali dal 2015, per oltre 15 mesi in custodia cautelare, il protagonista è ora semplicemente stanco e desideroso di tornare a fare il suo mestiere, in un paese dove il giornalismo affronta corruzione, minacce, e dove le denunce di violenza cadono nel vuoto e anche casi di omicidio restano spesso impuniti.

Pochi giorni fa è arrivata la seconda assoluzione in un processo che la Corte Suprema ha chiesto di rifare due volte. In tutto ci sono state due condanne e due assoluzioni, con quasi 15 mesi di custodia cautelare. Come vivi questa ultima decisione?

La sentenza non è definitiva, deve essere confermata dalla Corte Suprema. Al contempo riconosco che si tratterà di una formalità, visto che è stata la stessa Corte a rinviare tutto al mittente, stabilendo che nel nuovo processo si dovessero prendere in considerazione altri elementi e colmare alcune lacune. Quindi, è una formalità, ma per festeggiare devo aspettare ancora qualche mese.

In questo ultimo processo è stata considerata la tua attività di giornalista, riconoscendo che quei contatti con il gruppo criminale erano finalizzati a delle inchieste giornalistiche. Quindi, una buona notizia. Ma immagino che sarai ormai esausto di raccontare il tuo caso: un giornalista è più abituato a fare domande che non a riceverne, vero?

Proprio così!

Se dovessi trovare una spiegazione a quanto accaduto, parleresti di vendetta, punizione, ingiustizia, oppure volontà di controllare e zittire il giornalismo?

Si tratta semplicemente dell'eredità del vecchio sistema comunista. A differenza degli altri paesi, i comunisti sono stati al governo in Montenegro fino al 2020. Si è trattato dello stesso partito che aveva preso il potere nel 1945, solo che ha cambiato il nome dopo il crollo della cortina di ferro.

Quindi, niente di personale?

Il nuovo sistema comunista ha fatto di tutto per poter controllare ogni aspetto della vita. E quindi, se per caso lavori per delle testate straniere, sei automaticamente un agente straniero, un sospetto. Mi hanno trattato così per anni. Questa non è la prima volta che sono finito in galera: nel 2004 sono stato arrestato per denigrazione del buon nome della nazione, un'accusa che non veniva usata dal 1974. Eppure nel 2004 sono stato indagato per denigrazione del buon nome del Montenegro perché seguivo come fotografo il reporter inglese che ha raccontato la vicenda della vendita dei bambini rom. La cosa divertente è che quando sono stato arrestato nessuno mi ha chiesto nulla della vicenda. Mi hanno solo chiesto informazioni su chi aiutasse i reporter italiani e tedeschi a seguire la notizia: questo era il focus dei miei interrogatori, non la storia in sé, che era solo un pretesto per fermarmi.

Questo episodio racconta anche molto di quanto sia arduo fare giornalismo in Montenegro, vero?

Certo, il messaggio è chiaro: se non collabori, se non riescono a convincerti a sottometterti, o a fare quello che vogliono i servizi segreti, allora preparati a subirne le conseguenze.

Il tuo caso ha sollevato attenzione internazionale e la solidarietà è subito arrivata dalle organizzazioni che si occupano di libertà di stampa, incluso il consorzio MFRR. Ma come è stata la tua esperienza con i colleghi giornalisti del Montenegro?

Va detto che non sono proprio miei colleghi, nel senso che non ci occupiamo delle stesse cose e io non lavoro per testate del Montenegro; io mi occupo inoltre anche di altri paesi. Quindi, non è che mi conoscessero tanto. Inoltre, all'inizio è stato anche difficile far sapere quello che mi stava accadendo: della mia detenzione preventiva si è saputo solo dopo tre mesi. In ogni caso, devo dire che hanno poi recuperato, diverse associazioni di giornalisti si sono fatte sentire, così come alcune testate indipendenti, e persino colleghi che lavorano nelle emittenti di stato hanno mostrato empatia, qualcuno pubblicamente, altri in privato.

Quindi, c'è speranza per il giornalismo in Montenegro?

Penso di sì. Da quando gli ex comunisti non hanno più il controllo del governo, la gente si sta lentamente liberando di quell'eredità. Non si trattava soltanto di sorveglianza di massa, ma anche di autocensura. Anche adesso i giornalisti sanno di che cosa possono o non possono parlare, e sanno fin dove possono spingersi in alcune questioni.

La situazione in Montenegro è favorita anche al fatto che si tratta di un paese piccolo?

Quello che la rende unica è che lo stesso partito ha governato per 75 anni senza interruzione, dal 1945 al 2020. Si tratta di un bacino di sole 600mila persone, quindi facile da controllare, e soprattutto strategicamente irrilevante per le grandi potenze, che non si sono mai occupate seriamente delle riforme interne, volevano solo la stabilità e zero problemi, un po' come in Bosnia e in Kosovo.

Quale è il bilancio della tua vicenda, che cosa hai perso, che cosa hai imparato?

Le conseguenze sono state pesanti, mi hanno marchiato. Ma d'altra parte, se hai la coscienza pulita e sai di aver fatto il tuo lavoro senza nulla di illegale, la cosa ti dà la forza di continuare. Per questo continuo a fare il mio lavoro come prima, più di prima. Allo stesso tempo, non cedo a compromessi. In fondo, non è la prima volta che mi sono imbattuto in avvertimenti e minacce, anzi, questa vicenda è forse il risultato del mio ignorare quegli avvertimenti e quelle minacce. Ma alla fine, è positivo per la libertà di parola e di stampa, perché cedere e arrendersi è qualcosa che ti si ritorce contro.

Sembra che non ci fosse altra scelta.

Semplicemente non mi sono mai fermato. Vado avanti anche se non è piacevole, ma è la realtà che mi trovo intorno. Quando ti trovi con quelle accuse, e poi ti trovi in prigione, sembra fantascienza, e hai la sensazione che stia capitando a qualcun altro, stai solo a guardare: è surreale ma è reale allo stesso tempo.

Che tipo di messaggio ha dato la tua vicenda al resto del paese?

Il Montenegro è noto per l'alto numero di casi irrisolti che coinvolgono giornalisti, ci sono molti casi di aggressioni impunite, minacce senza colpevoli, e c'è anche stato un omicidio tuttora impunito, quello di Duško Jovanović nel 2004. Tutte le relazioni della UE citano il nodo della libertà di stampa, siamo in fondo alla classifica di RSF, non è nulla di nuovo, solo che il governo precedente non ha fatto nulla, se non promesse, a parole.

Se arriverà la conferma della Corte Suprema della tua assoluzione, ti aspetti una forma di risarcimento?

Certo, quando la sentenza è definitiva, si può chiedere un risarcimento, ma il risarcimento più grande sarà l'eliminazione della colpevolezza. Non credo che i soldi possano compensare quello che ho passato. La cosa principale è invece ripulire il mio nome. Gettare fango su qualcuno, farlo accusare e incriminare, nonostante si tratti di qualcuno che lotta da una vita contro l'ingiustizia, la criminalità e la corruzione, è qualcosa di davvero pesante. Per me è stato davvero un peso. Questa sarà la mia maggiore soddisfazione, tutto il resto verrà dopo.

Sarà possibile dare un nome ai colpevoli nella tua vicenda?

Dipende. Di recente, il vice capo dell'ufficio della procura speciale, che mi ha incriminato, è stato arrestato per abuso d'ufficio, e sono cambiate altre cose in quell'ufficio. Quindi potrà arrivare il giorno in cui il procuratore non sarà coinvolto solo in abuso d'ufficio o collaborazione con un'organizzazione criminale, ma emergeranno altre prove su come abbia insabbiato le indagini sugli attacchi ai giornalisti. In effetti, poco tempo fa un ex funzionario di polizia ha accusato l'ex procuratore generale di essere complice nell'aver occultato alcune indagini sull'omicidio di Duško Jovanović nel 2004. È ragionevole concludere che emergeranno nuovi elementi su come lavorava, o meglio su come non lavorava, in dispregio della legge e della Costituzione. Ma non spetta a me farlo, spetta ai suoi successori.

Deve essere difficile continuare ad avere fiducia nella giustizia, no?

Grazie all’UE ci sono alcuni cambiamenti in corso. Sfortunatamente tutto succede solo grazie a forti pressioni esterne, ma almeno accade. Ovviamente ci vorrà del tempo, anzi, molto tempo, per arrivare ad avere un sistema giudiziario in linea con l'Unione Europea. Si tratta di un processo, e sappiamo tutti che ci vorrà del tempo.

Progetti per il futuro?

Per il momento vado avanti con il mio lavoro. Dopo tutti questi anni, dopo essere stato in galera per quasi 15 mesi, ho imparato quanto sia importante sapere come adattarsi. Devi andare avanti con la tua vita nonostante tutte le difficoltà, e penso che sia questo l'atteggiamento giusto. Se ti crogioli nel risentimento, nei cattivi pensieri, tutto ti si ritorce contro. Il mio approccio è stato quello di restare aperto, di prenderla per come arrivava e di andare avanti. Questo mi ha dato ancora più forza che non consumarmi nel risentimento e nell'amarezza, cercando magari di dare un nome ai colpevoli e inveire contro di loro. Ho sempre cercato invece di non farlo.


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