Giovedì 6 ottobre Bucarest ha promosso la sua "Marcia delle puttane", declinazione rumena di un'iniziativa femminista lanciata la scorsa primavera a Toronto, Canada. Un reportage di Le Courrier des Balkans
Tratto da Le Courrier des Balkans (tit. originale "Roumanie : les «salopes» se rebiffent", pubblicato il 7 ottobre 2011)
E' tardo pomeriggio e le organizzatrici della “Marcia delle puttane” di Bucarest sono inquiete. I partecipanti tardano ad arrivare al punto di ritrovo, davanti al tribunale. E' da mesi ormai che questa ventina di giovani donne, appartenenti ad associazioni femministe, lavorano a testa bassa a quest'iniziativa.
Hanno pensato a tutto: le autorizzazioni dal comune, informare la stampa, cartelloni e striscioni dipinti il fine settimana precedente. Ma servono delle braccia per portarli e delle voci per gridare gli slogan: “Poco importa come mi vesto, la mia gonna non è un tuo problema”.
Alla fine sono in 250 ad essere arrivati, al posto dei 700 che avevano confermato la loro presenza via Facebook. Molte donne più o meno giovani, una folla di giornalisti, qualche uomo tra i quali due con la gonna. Uno dei due, con una parrucca, prende in mano il megafono e racconta cosa gli è successo mentre veniva alla manifestazione. “Ero in macchina e mi stavo cambiando ed ho veramente provato cosa si prova ad essere donna: mi hanno suonato il clacson quattro volte e in molti mi hanno volgarmente invitato a bere un caffè”.
Poi parlano alcune donne. Con fervore ed emozione raccontano la difficoltà di essere donna, la paura nel rientrare a casa la sera, le brutte esperienze, la colpa sentita anche se sono vittime, gli insulti sessisti e l'impossibilità di “avere gli stessi diritti degli uomini in un Paese dove il sistema patriarcale è dominante se non opprimente”.
Alcune dimostranti poi mettono dei garofani rossi sulle labbra per rendere omaggio alle donne silenziose che non hanno osato denunciare le violenze subite ed i loro aggressori.
Mona, 29 anni, sta terminando la sua tesi di laurea su studi di genere a Bucarest. E' vestita in modo sobrio – come tutte le manifestanti – e confida con emozione che è la sua prima azione di genere. Per lei “questa manifestazione è assolutamente necessaria per attirare l'attenzione sulle violenze subite dalle donne e soprattutto sul fatto che finiscono loro sul banco d'accusa per questo”.
“Media, non trattate lo stupro come una leggerezza”
Alcuni manifesti denunciano anche la responsabilità dei media nel banalizzare gli atteggiamenti sessisti e misogini. “Ad alcune donne piace essere picchiate, perché se i loro mariti non le picchiano non si sentono abbastanza amate...”. E' una farse purtroppo comune che si sente spesso sui media rumeni, come dimostra un'inchiesta condotta sull'immagine della donna in Romania. Lo studio è stato pubblicato quest'anno dall'Ong Altfem e mostra come la donna è rappresentata nei media “attraverso stereotipi tradizionalisti, sessisti e in maniera volgare”.
Alice Iancu, 29 anni, è vice-presidente di Filia, Centro di ricerca sugli studi di genere. Alice s'indigna: “In Romania non si da ascolto alle donne. Ecco perché questo tipo di riflessioni misogine esistono, non vengono sanzionate o questo avviene solo in maniera simbolica”.
L'ultima sanzione in merito è stata comminata dal Consiglio nazionale per la lotta contro le discriminazioni (CNCD) nei confronti di Tudore Butoie. Quest'ultimo, professore universitario esperto in criminologia, durante una trasmissione televisiva aveva dichiarato che “le donne violentate sono responsabili di quanto avvenuto a causa dei loro comportamenti provocanti”. Frasi che ricordano drammaticamente quelle di Toronto, all'origine dell'iniziativa “La marcia delle puttane” promossa poi nel mondo intero. Lo scorso mese di aprile un poliziotto canadese, aveva affermato davanti a studenti di legge che “se le donne si fanno violentare è a causa del loro modo di vestire”. In Romania una trentina di Ong hanno interpellato il CNCD a seguito delle affermazioni di Tudore Butoje ed hanno vinto la causa.
La lotta femminista, dalla teoria all'attivismo
All'inizio il centro di ricerca Filia – creato nel 2000 – analizzava in modo teorico il femminismo ma negli ultimi anni Alice Iancu e le sue colleghe hanno deciso di collegare “gli studi di caso all'attivismo”.
“Abbiamo bisogno di questi studi, altrimenti nessuno li farebbe, ma allo stesso tempo occorre promuovere petizioni e scendere per strada”, spiega Alice. E quest'atteggiamento porta i suoi frutti: l'anno scorso hanno condotto una battaglia contro un progetto di legge che abbassava da due anni a uno la maternità. Una battaglia che hanno parzialmente vinto, dato che ora spetta ai genitori scegliere la lunghezza del congedo parentale.
Ma le Ong femministe non sono riuscite ad impedire, in pieni tagli di budget statale, la chiusura dell'Agenzia nazionale per le pari opportunità, che aveva solo dieci dipendenti. Sette di loro sono stati trasferiti al ministero del Lavoro, ma sono andati perduti 7 milioni di finanziamenti europei. Tudorina Mihai, membro del consiglio direttivo di Filia, sottolinea i problemi finanziari a cui debbono far fronte le associazioni in parte a causa dell'avvenuto ingresso nell'Unione europea e in parte dall'assenza del governo in questo campo.
“Tra il 2002 e il 2007 l'Ue ha richiesto alla Romania parecchi sforzi nel campo delle pari opportunità. E questi sono stati fatti, perlomeno in superficie ma non nella sostanza. Quando siamo entrati nell'Ue il governo ha ritirato i suoi finanziamenti, sostenendo che ora che si è in Europa non erano più necessari! In realtà l'accesso ai fondi europei è molto difficile a piccole organizzazioni come le nostre, che vivono di volontariato e che devono compartecipare del 10 o 20% ai finanziamenti richiesti”. Fortunatamente Filia, come molte altre strutture, è riuscita a trovare fondi grazie all'United Nations Development Programme o alle ambasciate di altri Paesi membri dell'Ue.
Il femminismo, una lotta più che centenaria in Romania
E' a Bucarest, presso il Centro nazionale di studi politici e amministrativi che batte il cuore del femminismo rumeno. Creato nel 1998, il Cnspa forma numerosi giovani al femminismo e agli studi di genere e delle minoranze. “E' negli anni '90 che il movimento femminista è stato riscoperto in Romania mettendo in discussione il modo in cui le donne erano percepite durante il periodo comunista” spiega Mihai Lucaciu, dottorando in studi di genere presso il centro di studi europei di Budapest.
Benché l'ideologia comunista promuovesse l'uguaglianza uomo-donna, si trattava dell'uguaglianza tra lavoratori. Oltre al lavoro in fabbrica, la donna ne aveva un secondo a casa. Nella pratica il comunismo non ha modificato in niente la struttura patriarcale che dominava la società rumena. In più la politica sulla natalità avviata fin dal 1966 da Nicolae Ceauşescu ha causato la morte di 11.000 donne, vittime degli aborti clandestini effettuati in condizioni sanitarie drammatiche.
Ciononostante la storia del femminismo rumeno conta grandi personalità. Si può ad esempio citare, tra le tante, Sofia Nadejda, giornalista della Rivista delle donne rumene e militante socialista per l'emancipazione delle donne che è divenuta, nel 1897, la presidente del quarto congresso del Partito socialista democratico dei lavoratori rumeni. O Ana Pauker, che ha presieduto l'Unione delle donne rumene antifasciste prima di diventare, nel 1947, la prima donna al mondo a ricoprire la carica di ministro degli Esteri.
Per Mihai Lucaciu, “è importante riscoprire questo passato col fine di farne emergere una propositività politica”. Una volontà che è chiara in questa “Marcia delle puttane” a Bucarest. Resta da convincere la società rumena dell'importanza di questa battaglia.
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