Trattati dal regime rumeno alla stregua di pericolosi criminali, i disertori sono stati a lungo perseguiti e criminalizzati. Ora uno di loro cerca giustizia per tutti quelli che tentarono la fuga
(Originariamente pubblicato in rumeno da miscareaderezistenta.ro il 4 maggio 2016. Questo articolo fa parte di una serie investigativa sviluppata all'interno del programma "Reporters in the field”, finanziato dalla Robert Bosch Stiftung, in collaborazione con Berliner Journalisten Schule. Una selezione degli articoli realizzati nell'ambito di questa serie è ora proposto anche ai lettori di OBC Transeuropa)
La storia di Mihai Stăuceanu potrebbe diventare facilmente la sceneggiatura di un film. La sua vicenda presenta così tante sfaccettature che è difficile affrontarla per intero in un unico articolo. Stăuceanu è un emblema delle peripezie affrontate da chi cercava di fuggire dalla Romania di Ceaușescu. Le sue tribolazioni – prima al confine con la Romania, poi in Jugoslavia, quindi in un campo profughi in Italia e infine in Canada, sua destinazione finale – basterebbero da sole a fornire materiale per una serie articolata in diversi episodi. Ma anche le sue decisioni più recenti meritano attenzione.
Una persona da sorvegliare
Quando Stăuceanu ha richiesto al Consiglio Nazionale per lo Studio degli Archivi della Securitate (CNSAS ) di avere accesso al proprio dossier personale, si è trovato di fronte a una sorpresa non da poco: all’interno del dossier ha ritrovato i nomi, molti nomi, di persone da lui ritenute amici fidati, sia in Romania che in Canada dove aveva infine trovato rifugio, ma che invece ha scoperto essere stati informatori sul libro paga della Securitate.
Dopo essere riuscito a fuggire dal regime romeno, Stăuceanu si è trasformato da semplice elettricista a persona da tenere sotto sorveglianza, per controllare la quale furono investite non poche risorse pubbliche.
Stăuceanu oggi ritiene che questo spiccato interesse nei suoi confronti da parte del regime sia una buona ragione per citare in giudizio lo Stato romeno, così da creare un precedente giuridico. Se la corte riconoscesse tramite una sentenza l’illegittimità del trattamento al quale è stato sottoposto, tale riconoscimento potrebbe andare a beneficio di tutti gli ex-disertori. Se invece le corti nazionali rumene non dovessero riconoscere una violazione dei suoi diritti, Stăuceanu è comunque determinato a portare il suo caso alla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU).
Il primo tentativo di fuga
Alcuni cittadini rumeni realizzarono già in giovane età che il regime esercitava un’azione avvelenatrice sulle loro vite, sviluppando di conseguenza il desiderio di vivere in una società libera.
Stăuceanu fece il primo tentativo di “saltare il confine” all’età di 18 anni, accompagnato da un amico e collaboratore della città di Reşiţa. Per tentare la sorte scelsero una giornata nebbiosa e piovosa. Era il 4 maggio del 1975, e il punto di attraversamento individuato si trovava nella zona del villaggio di Vărădia, nella regione di Caraş -Severin.
In preda al panico e all’emozione, sfiorarono accidentalmente un filo che attivava il sistema di allarme. L’incidente li spaventò ulteriormente, spingendoli a correre a rotta di collo fino a scontrarsi con una barriera di filo spinato. Solo il mattino successivo si sarebbero resi conto che i loro vestiti erano laceri e i loro corpi imbrattati di sangue a causa dello scontro imprevisto con la recinzione. Per eliminare le tracce più visibili della loro condizione di fuggiaschi, si spogliarono e lavarono i vestiti nel vicino fiume Nera.
Vagarono per tre giorni, fino a raggiungere la stazione ferroviaria di Belgrado. Ma una volta saliti sul treno per Vienna, furono scoperti dalla polizia jugoslava e processati per aver attraversato illegalmente la frontiera. Dopo aver trascorso alcuni giorni nel carcere di Padinska Skela, furono riconsegnati alle autorità rumene.
I due disertori vennero rimessi nella mani della polizia di confine romena il 7 maggio 1975, in corrispondenza del punto di attraversamento di Stamora-Moraviţa. Le guardie di confine legarono loro le mani dietro la schiena con del filo di ferro, li bendarono e li condussero alla caserma di Oraviţa. Lungo il percorso, i due fuggiaschi furono ripetutamente colpiti alla testa e sul torace: un trattamento che sanciva senza mezzi termini il loro status attuale di “traditori".
"Non ho idea di quanto tempo sia effettivamente durato il tragitto da Stamora Moraviţa a Oraviţa, ma mi sembrava fossero passati dei secoli e iniziai a rimpiangere che le guardie di confine non ci avessero infilato una pallottola in testa mentre tentavamo di passare dall'altra parte", ricorda ora Stăuceanu.
"Può darsi che si accanissero così aspramente contro di noi per via delle numerose tracce che ci eravamo lasciati alle spalle – brandelli di indumenti, impronte – tutte prove del nostro tentativo di fuga. Il pensiero di non essere riusciti a fermarci li spaventava, perché avrebbe implicato ripercussioni dirette su di loro", aggiunge Stăuceanu. "Abbiamo trascorso 24 ore in cella a Oraviţa, con le mani sempre legate dietro alla schiena, gli occhi bendati, e senza il permesso di usare il bagno, sedersi o almeno rimanere in ginocchio", ricorda.
Processo pubblico, avvertimento per la collettività
L’incaricato dell’inchiesta ufficiale sul loro tentativo di fuga fu il maggiore Gheorghe Crăciun. Lui stesso richiese che il processo si tenesse a Vărădia - il villaggio più vicino alla zona nella quale i due avevano tentato di attraversare il confine - al fine di costituire un esempio per la popolazione locale.
Il processo pubblico si tenne il 23 maggio 1975 nella Casa della Cultura del villaggio di Vărădia, dove gli abitanti del luogo vennero radunati per seguirne lo svolgimento. I due “traditori” vennero condannati a 22 mesi di carcere, e subito dopo condotti al penitenziario di Caransebeş.
Il fratello di Stăuceanu, Nicolae Stăuceanu, già condannato in passato per aver tentato la fuga nel 1972, impugnò la sentenza presso il Tribunale Reşiţa. La corte d'appello decise di ridurre la pena a 12 mesi di detenzione, tenendo conto del fatto che Mihai Stăuceanu, all’epoca, aveva appena compiuto i 18 anni. Il detenuto venne quindi trasferito al carcere di Gherla per scontare la pena.
Come pericolosi criminali
"La prigione di Gherla era destinata a chi tentava di attraversare il confine. Oltre ai fuggiaschi, vi si trovavano persone condannate a oltre 20 anni di detenzione. All’epoca, vi erano rinchiusi circa 200-250 fuggiaschi come me. I trasgressori fermati al loro primo tentativo venivano tenuti completamente separati dagli altri, e lavoravano presso l'impianto di gestione delle acque nella città di Dej", ricorda Stăuceanu.
"Il regime di detenzione a Gherla era probabilmente molto simile al sistema applicato nei campi di sterminio nazisti: ogni giorno ci toccavano dalle 10 alle 12 ore di lavoro fisico in un cantiere edile, transennato con doppie recinzioni di filo spinato e con torri di guardia, uguali a quelle che si trovano al confine. In quell’occasione, ebbi modo di realizzare che il paese in cui vivevo non era altro che una grande prigione. Sistemi analoghi venivano applicati tanto per chi si trovava in carcere quanto per chi era fuori, e il trattamento riservato ai detenuti all'interno delle carceri non differiva poi molto a quello che toccava in sorte ai cittadini normali “rinchiusi” all'interno del paese. Inoltre, il fatto che chi tentava la fuga venisse rinchiuso assieme a criminali incalliti, benché il loro unico crimine fosse quello di aver desiderato e tentato di lasciare il paese, dimostra quale sorta di pericolo rappresentassimo per il regime comunista: per quel sistema di governo del paese, il nostro tentativo era tanto pericoloso come la minaccia che i criminali reali costituivano per la società nel suo insieme", conclude Stăuceanu.
Uno fra i più subdoli stratagemmi ideati dal regime comunista fu la decisione, nel 1969, di eliminare dall’ordinamento giuridico qualsiasi riferimento a reati politici contro lo stato, trasformando questi "crimini" in violazioni ordinarie sanzionate tramite il codice penale del paese. In questo modo il regime riuscì a camuffare la propria immagine all’estero, rivendendosi come più tollerante e democratico ma continuando a punire duramente chi tentava la fuga.
Una volta uscito dal carcere di Gherla, Stăuceanu è diventato un osservato speciale da parte della Securitate. Dopo essere stato rilasciato, i suoi genitori, a Liteni, gli riferirono che alcuni funzionari della Securitate si erano già presentati da quelle parti per indagare su di lui. Secondo una nota inviata dal penitenziario all'ufficio della Securitate nel distretto di Suceava, dove la sua famiglia risiedeva, Stăuceanu e i suoi parenti dovevano essere seguiti da vicino. Lo stesso Stăuceanu ha rinvenuto questa nota nel suo fascicolo personale custodito negli archivi della Securitate.
Nel periodo successivo, l’acciaieria di Reşiţa si rifiutò di assumerlo, anche se lui aveva già lavorato lì in passato. Gli fu detto che non avevano posto per i "traditori". Dopo molti tentativi di trovare lavoro, riuscì a ottenere un incarico da una piccola impresa di manutenzione di ascensori per la municipalità di Reşiţa.
Un nuovo tentativo di attraversamento
Un anno dopo essere uscito di prigione, Stăuceanu riprese a considerare il proposito di fuggire dal paese.
"Mi stavo avvicinando al confine quando fui catturato dalle guardie che fecero pressione su di me perché confessassi che la mia intenzione era quella di attraversare illegalmente. Fortunatamente non riuscirono a trovarmi addosso alcun documento e non ebbero quindi alcun appiglio per dimostrare le mie intenzioni e per costringermi a confessare. Il pestaggio che mi fu riservato quella volta, all’interno della torre di confine nei pressi di Naidăş, fu di gran lunga peggiore rispetto al primo. Sapendo cosa mi avrebbe aspettato se avessi parlato, resistetti dicendo a me stesso che avrei preferito morire piuttosto che ammettere che volevo attraversare il confine.”
Cinque anni dopo il suo primo tentativo di attraversare il confine, Stăuceanu decise di darsi un’altra chance. Anche questa volta lo accompagnava l’amico con il quale aveva effettuato il primo tentativo, e oltre a lui si unì un'altra persona che non conosceva.
Nell'autunno del 1981, il tentativo ebbe successo. Scelsero la zona di confine nei pressi Naidăş-Biserica Alba. Le guardie di confine jugoslave li catturarono prima che riuscissero a raggiungere Biserica Albă, forse perché i fuggiaschi avevano involontariamente sfiorato un sistema di allarme. Condannati a 30 giorni di carcere per il tentativo illegale, Stăuceanu questa volta fu spedito nel carcere di Vrsec, dove si trovavano già altri 40 disertori romeni.
Da lì furono in seguito trasferiti in un altro penitenziario, a Padinska Skela, nei pressi di Belgrado. Ma la gestione in quel luogo si dimostrò ben presto differente: i fuggiaschi provenienti dalla DDR, dall’Ungheria, dalla Romania e dalla Russia, in buona sostanza da tutto il blocco Orientale, attendevano ogni settimana il venerdì sera per poter trovare i loro nomi su una lista di 45 persone che le autorità jugoslave avrebbero trasportato fuori dalla prigione per condurle verso le frontiere degli altri paesi confinanti, presumibilmente Austria o Italia.
Stăuceanu trascorse 15 giorni nel penitenziario di Padinska Skela, in condizioni spaventose: i detenuti dormivano su materassi sul pavimento, in mezzo alla sporcizia. Fu solo tramite uno sciopero della fame che ottenne l'accesso alle docce.
"Venivamo trattati peggio degli animali. Dopo averci catturati, la polizia serba non aveva idea di cosa farsene di noi", ricorda Stăuceanu. La situazione si protrasse fino al giorno in cui arrivò il suo turno di essere liberato al confine occidentale. Sulla strada per Maribor l'autobus si fermò e due o tre persone vennero liberate. Sull’autobus erano rimaste solo 5 persone, quando venne il suo turno. Li liberarono al confine italiano, nei pressi di Nova Gorica-Monfalcone.
La polizia italiana li registrò a Monfalcone, fornì loro dei biglietti del treno che sarebbero serviti loro per arrivare al campo profughi di Latina, vicino a Roma.
"Dopo un’intervista condotta da un comitato di quattro o cinque persone, ottenni lo status di rifugiato politico sulla base dei documenti che dimostravano la mia detenzione nella prigione di Gherla," racconta oggi l’allora fuggiasco.
Infine, arrivò l'assenso perché si trasferisse in Canada, dove emigrò con la qualifica di "esiliato volontario". Una nuova vita lo attendeva.
Un’avventura per tutta la famiglia
Tra il 1984 e il 1989 Stăuceanu è tornato in Romania quattro volte. Tutti questi viaggi erano menzionati nel suo fascicolo Securitate e ora conservati presso il CNSAS insieme ad altri documenti che dimostrano come egli fosse sottoposto a stretta sorveglianza sia a Montreal, dove si stabilì una volta giunto in Canada, che in Romania. I suoi ripetuti viaggi in Romania avevano lo scopo di ottenere che il fratello – che viveva a Lugoj, nel distretto di Timiş - riuscisse a uscire a propria volta dal paese, accompagnato dalla sua famiglia.
Dopo cinque anni di tentativi falliti, Stăuceanu intraprese uno sciopero della fame davanti all'ambasciata romena a Ottawa. Il suo digiuno iniziato il 25 agosto del 1989 si concluse dieci giorni dopo, quando al fratello venne concesso di lasciare la Romania insieme alla sua famiglia. Il 5 dicembre del 1989 arrivarono tutti in Canada.
In cerca di un precedente legale
Stăuceanu ha citato in giudizio lo stato romeno. Ha presentato due esposti al Tribunale di Suceava. Il primo, al Tribunale Civile, fa riferimento alla legge 221/2009 che riguarda le condanne politiche inflitte tra il 1945 e il 1989; i dettagli del procedimento sono contenuti nel fascicolo 3675/86/2014 . Il secondo esposto è stato depositato presso il Tribunale amministrativo e chiama in causa la responsabilità dell'istituzione pubblica incaricata di erogare i risarcimenti alle vittime di processi politici durante il comunismo; i dettagli di questo caso si trovano nel fascicolo 4811/86/2014 . La sentenza per questo secondo caso è stata sospesa in attesa che la Corte Suprema di Giustizia si pronunci sul ricorso alla prima azione civile, che è ora sotto esame da parte della Corte (gli atti sono consultabili nel procedimento 254/39/2015 ).
Stăuceanu spera che la sentenza sul suo caso possa costituire un precedente legale per gli altri ex-disertori che tentarono la fuga dalla Romania di Ceaușescu. Il giudice di primo grado ha riconosciuto che la condanna nei suoi confronti, ai sensi della legge 158, resa pubblica il 23 maggio 1975 dal Tribunale Oraviţa, era stata in realtà motivata politicamente. Perché questo riconoscimento si trasformi in una compensazione finanziaria, è ora necessario attendere il pronunciamento della Corte Suprema.
"Sentivo che dovevo andarmene a qualsiasi costo da quel paese. Non potevo accettare in alcun modo il modello di esistenza imposto dal regime. La falsità e il tradimento, uniti al culto della personalità per il dittatore Nicolae Ceaușescu, dominavano tutti gli aspetti della vita. Ho capito abbastanza presto che tutti noi stavamo spendendo le nostre vite come prigionieri di un grande carcere chiamato Repubblica socialista di Romania", dice Stăuceanu.
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