13 giorni del 1897. È questo il lasso temporale in cui si svolge la vicenda narrata nel libro "La vita comincia venerdì" di Ioana Pârvulescu che ci fornisce uno straordinario spaccato sulla Bucarest del tempo. Una recensione
Ricordate la tetralogia dell’affascinante “Quartetto di Alessandria” di Lawrence Durrell, dove, con l’ambizione di far valere anche in letteratura la teoria della relatività, lo scrittore inglese aveva raccontato le stesse vicende, accadute in un’Alessandria d’Egitto a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta, da prospettive e personaggi diversi? Bene, un’operazione simile è tentata, seppur in un romanzo unico, dal titolo “La vita comincia venerdì” dalla scrittrice romena Ioana Pârvulescu, in Italia edito da Voland per la traduzione dell’ottimo Mauro Barindi.
In questo caso, ovviamente siamo su altri lidi, la Bucarest di fine Ottocento, precisamente a 13 giorni dalla fine del 1897, giorni raccontati ciascuno in un capitolo in cui diversi personaggi si alternano, ora in prima persona (è il caso della giovane Iulia Margulis, figlia del dottor Leon Margulis, “medico primario con un proprio ambulatorio in via San Ionicâ 8, dietro il Teatro Nazionale”), ora in terza, con lo sguardo rivolto alle vicende e ai caratteri di altri personaggi. Ma, diciamo, è soprattutto Iulia che tira le fila della narrazione, anche se intorno a lei si muovono, appunto, il padre, la madre, un fattorino, un commissario di polizia che ambisce a chiederle la mano, mentre il resto della storia che dallo sfondo sfumato, un po’ alla volta, passa in superficie, si dipana intorno a un delitto.
Tutto comincia con il ritrovamento di un uomo apparentemente smemorato, confuso, che afferma di chiamarsi Dan Kretzu e di essere un giornalista (divertente: “Sono un giornalista ma non sono un criminale”) mentre vagava per il bosco di Bâneasa. Intorno alla sua persona si sono diffuse, anche via stampa, tante chiacchiere, oggi si direbbero fakenews, che l’uomo fosse fuggito dal manicomio o quella che si trattasse addirittura di Jack Lo Squartatore. Il lettore però avrà occasione di seguirne le mosse da vicino, anche perché il dottor Margulis (che vedremo stizzito quando sulla cronaca del giornale “Universul” che, all’epoca, andava per la maggiore, gli aveva storpiato il nome in Margulius), mentre il commissario Costache, il corteggiatore di Iulia, indaga sulla figura dello smemorato, che ben presto, comunque, sarà collegato a un duello in cui l’altro contendente è morto dopo essere stato per alcuni giorni in bilico tra la vita e la morte.
Il giallo, ovviamente, si fa leggere, per essere un po’ il filo rosso della narrazione, che però ha altre ambizioni rispetto alla semplice crime story: quella della scrittrice, Ioana Pârvulescu, nostra contemporanea, docente alla facoltà di lettere di Bucarest, autorevole autrice di saggi sulla vita quotidiana romena del XIX e XX secolo, di offrire uno spaccato della capitale romena di quel tempo, il cui stile di vita (la stessa Iulia legge e commenta Vanity Fair) avrebbe portato la città ad essere considerata la Petit Paris del primo novecento prima che i totalitarismi del secolo a venire la riducessero al terrore delle persecuzioni, della miseria e delle dittature. A riguardo vale citare il grande Mircea Cărtărescu, che firma la postfazione al libro della collega: “Il libro di Ioana Pârvulescu è insolito anche nel contesto della letteratura romena attuale. Non ha nulla a che vedere con le problematiche del regime comunista, dell’epoca di Ceausescu e della Securitate, né con la furia chiassosa dell’anarchismo punk, traboccante di violenza e sesso, né con la rivisitazione postmoderna degli stili artistici storicizzati, né con il minimalismo della vita quotidiana. Non è un testo ideologico, non erige barricate, né ha la pretesa di avere in mano verità inconfutabili”.
È in realtà un sogno vestito da romanzo storico, o viceversa, in cui a giocare ad altissimo livello letterario è la sfida romantica dell’autrice di calarsi in un mondo da lei percorso in lungo e largo nei suoi saggi. Un mondo qui fatto rivivere non attraverso il linguaggio della ricerca, bensì aprendosi a quello dell’invenzione di storie, ma anche della reinterpretazione, di personaggi e luoghi realmente esistiti. Sino a spingere l’autrice alla scrittura di un elegante romanzo in cui l’epilogo consiste in una geografia dei luoghi e nomi, compresi quelli delle strade, per un confronto tra ieri e oggi. Per cui leggiamo: “Oggi via della Fontana si chiama via Berthelot e porta alla sede della Radiotelevisione romena” oppure “via dei Tigli oggi si chiama via Vasile Lascăr” oppure, ancora “Via San Ionică dietro il Teatro Nazionale non c’è più, così come la Galleria Romana e il Teatro stesso”, per dire che la scrittrice ha viaggiato con la sua storia con gli occhi della mente ben fissi, e non senza nostalgia, a quel tempo, a quei tredici giorni, ovvero dal 19 al 31 dicembre del 1897.
Suppongo, anche, per l'empatia che noi stessi lettori proviamo per Iulia Margulis, immedesimandosi la scrittrice in questa figurina che amava tanto leggere, da ricevere i rimproveri dei genitori, tipo quello di quando avrà dei figli, che nasceranno di conseguenza tutti miopi. Oppure, ancora più significativo, quando, al ritrovamento dello smemorato, diventato per qualcuno tale perché “di sicuro impazzito per il tanto studio”, la madre coglie l’occasione per rivolgere un rimbrotto a Iulia per la sua insana passione: “È quello che succederà anche a te se leggi tutto il santo giorno!” per poi chiudere il discorso esortandola, piuttosto, a maritarsi quanto prima con un “uomo dabbene”.
Ma perché la Pârvulescu ha scelto proprio quell’anno? La risposta l’abbiamo nelle primissime righe del prologo: “Pochi anni prima del 1900 le giornate erano capienti. La gente vibrava come i fili del telegrafo, era ottimista e credeva, mai come prima e mai come dopo, nella forza della scienza, nel progresso e nel futuro. Capodanno, perciò, era diventato il momento più importante: l’inizio, continuamente rinnovato, del futuro. La testura del mondo autorizzava ad avere i pensieri più folli e, spesso, i pensieri folli si trasformavano in realtà”.
Un mondo, per certi versi, irripetibile, che solo la fantasia di una grande scrittrice è in grado di ricreare cercando nella speranza e fiducia di ieri quella che vorremmo per oggi. O, al massimo, per domani.
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