Monti Retezat, Carpazi meridionali, Romania (foto di R. M. Burbulea)

Monti Retezat, Carpazi meridionali, Romania (foto di R.M. Burbulea)

Il tradizionale passaggio dei pastori e degli ovini calpesta il terreno ma non distrugge la biodiversità – crea anzi spazi e occasioni per rendere più resilienti animali, piante e anche persone. Una ricercatrice lo ha studiato in laboratorio e sui monti romeni dove è cresciuta

19/03/2025 -  Marta Abbà

“È difficile trovare in Romania qualcuno che non ha un parente pastore, qui la transumanza appartiene alla vita di tutti”. Roxana Mihaela Burbulea non ha alcun dubbio sull’importanza di questa attività nel proprio пaese: è rimasta sorpresa quando non ha trovato la Transilvania romena nel primo elenco delle aree di transumanza da custodire stilato dall'Unesco.

Lei è nata e cresciuta lì e parla la lingua dei pastori, grazie ai suoi genitori che hanno insistito perché la imparasse, ma è anche una ricercatrice di Scienze del paesaggio all’Università di Padova. La fermezza delle sue parole non è insomma legata solo alle sue origini; ha prove scientifiche.

Con le sue oltre dieci milioni di pecore da riproduzione la Romania ospita la terza popolazione di ovini più grande dell'UE. Il 70% di questi animali è custodito da piccoli allevatori locali: niente metodi intensivi, quindi, e c’è perfino una legge nazionale (Legea nr. 197/2018 to muntelui) che dal 2018 riconosce ufficialmente la rilevanza sia ambientale che storica della transumanza.

“Le salite e le discese dalle montagne scandiscono il tempo delle stagioni, anche nelle città, e il 14 ottobre, nel giorno di Santa Parascheva, si fa una festa incredibile per salutare la fine dell'estate” racconta Burbulea.

Consapevole che i ricordi non bastano, per fare emergere insindacabilmente il valore di queste pratiche la ricercatrice ha dedicato alle “sue” zone di transumanza un intero studio scientifico , che ne descrive i benefici per chi la pratica ma anche per la biodiversità europea.

Burbulea ha “scarpinato” per tre mesi per le sue montagne, incontrando oltre cinquanta pastori e migliaia di pecore e cani, e ne ha documentato abitudini e tradizioni. Ha realizzato anche un video documentario, che trasforma la transumanza romena nella portavoce di quella europea.

Più corridoi verdi, più resilienza

“Questa attività è fondamentale per la creazione e il mantenimento dei corridoi ecologici, per le aree naturalistiche e per gli animali che ci vivono. Oltre a essere una tradizione storica, contribuisce alla protezione della biodiversità europea” spiega Burbulea. Favorisce il ripristino degli ambienti naturali – quello che l’omonima legge europea obbliga tutti i Paesi membri dell'UE ad avviare entro il 2030.

Pensando a enormi greggi che calpestano aree verdi, questo è controintuitivo. La ricercatrice però assicura che “il suolo, essendo molto fertile, ha una resistenza elevata, e i pastori sanno quello che fanno. Con questo ambiente ci convivono da sempre e non l’hanno finora mai distrutto”.

Ciò che minaccia l’ambiente montano nelle aree interessate dalla pastorizia è ben infatti ben altro, perlomeno nella Romania raccontata da Burbulea. Per esempio, le nuove infrastrutture stradali che collegano il territorio: tagliano letteralmente la strada a pastori e pecore, ma in modo meno visibile disturbano tante altre forme di biodiversità vegetale e animale.

“Servirebbe preservare delle strisce di passaggio per mitigarne l’impatto, ma le politiche europee sembrano più attente agli allevamenti intensivi, più produttivi, e badano poco alle necessità dei più piccoli – afferma Burbulea – nonostante i loro vantaggi siano scientificamente provati”.

Collegando tra loro diverse aree montane e mettendole in comunicazione con quelle urbane, i corridoi ecologici tracciati dalle transumanze renderebbero l’ambiente e chi lo abita più resistenti, “mescolando” specie di diverse provenienze e caratteristiche.

Burbulea spiega infatti che “quando animali provenienti da vari ambienti entrano a contatto, diventano più resistenti e la biodiversità si amplia. Anche la sola lana delle pecore ci arricchisce, trasportando pollini da una zona all’altra”.

Durante i suoi tre mesi di transumanza lungo i corridoi interrotti Burbulea ha visto che tanti animali erbivori “stanno iniziando a risentire della carenza della biodiversità. Se diminuiscono, i loro predatori cercheranno nutrimento per vie traverse, ad esempio andando nelle città”. Orsi compresi.

Reinventare la transumanza assieme

Documentata l’importanza ambientale della transumanza e il suo valore sociale e culturale, Burbulea è tornata dal suo viaggio più che mai convinta che la sfida sia appena iniziata, e che vada affrontata assieme – pastori, legislatori e scienziati.

“Con le nuove dinamiche e i nuovi rischi che ciascun territorio ha sviluppato, infrastrutture comprese, è sicuramente necessario ripensare questa tradizione – afferma Burbulea – ma non cancellarla, e non lasciare l’onere di renderla più sostenibile ai soli pastori”.

Ricorda alcuni di quelli incontrati: chi commosso, chi cinico, chi amareggiato, ma “tutti con un amore estremo per la propria terra, nonostante le grandi difficoltà che stanno affrontando” spiega, descrivendo una diffusa sensazione di abbandono. "Nessuno ci spiega come possiamo gestirci meglio”, le hanno detto in molti.

Altri, invece, hanno fatto come il giovane “garzone” (una sorta di apprendista pastore) Andrei: dopo la scuola, durante il periodo estivo, il giovane saliva in montagna con un gregge altrui e ora, a 17 anni, ha comprato le sue prime duecento pecore. Non è un caso isolato: di tutti i pastori incrociati in cammino da Burbulea, almeno un terzo aveva meno di 45 anni, e quasi tutti avevano un discreto livello di istruzione.

Burbulea ha incontrato anche tre donne, tra cui Maria, una “figlia della transumanza, dall'area del Danubio fino alle Alpi Transilvaniche” – una dei tanti a cui una superstrada ha tagliato la strada tradizionale. Non potendo opporsi, questa donna ha trovato il modo di avvantaggiarsene, avviando un'attività di pastorizia turistica.

“Ha iniziato per caso quando, mentre cucinava per sé, i turisti hanno cominciato ad affacciarsi alla sua malga attirati dal profumo autentico dei suoi piatti di pecora, agnello e capra – racconta Burbulea – Ora vende anche i prodotti del suo gregge di quasi quattromila capi: la capacità di reazione di questa signora di 65 anni mostra la chiave per la riscoperta di questa attività”.

Nuovi progetti europei

La parola chiave è “convertire”, quindi, trasformando la pastorizia tradizionale e trovandole delle nuove strade sia montane che strategiche. È ciò che provano a esplorare anche due progetti interregionali europei dedicati alla transumanza, come CAMBIO VIA (CAMmini e BIOdiversità: Valorizzazione Itinerari e Accessibilità per la Transumanza) e CAMBIO VIA pro , entrambi sostenuti dai fondi di coesione.

Il primo, terminato nel 2020, ha reso più appetibile e fruibile il valore sia materiale che immateriale delle aree di transumanza di Toscana, Liguria, Sardegna e Corsica, collegandole tramite una rete di percorsi turistici che permettono di intrecciare patrimonio ambientale, economico e storico-culturale “con dosi a piacere”.

La fase “pro” del progetto, tuttora in corso, prosegue lungo la stessa strada puntando soprattutto a tutelare la biodiversità che le pratiche agricole e di allevamento tradizionali abilitano, rendendo le comunità rurali più resilienti al cambiamento climatico.

L'obiettivo è quello di sviluppare entro il 2027 un Piano d’azione transfrontaliero Italia-Francia per introdurre nei territori pratiche realmente a basso impatto ambientale e per condividere buone pratiche tra le varie aree di transumanza di tutta Europa, Romania compresa.

 

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Cohesion4Climate" cofinanziato dall’Unione europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.


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