Traian Basescu, presidente della Romania

Traian Băsescu, presidente della Romania

Secondo l'influente analista Cristian Pârvulescu, lo scenario politico in Romania è controllato sempre di più dal presidente Traian Băsescu. Una situazione problematica, che sembra rafforzare i sintomi della crisi economica e sociale che oggi attanaglia la Romania. Nostra intervista

07/12/2010 -  Nikolai Yotov Bucarest

Signor Pârvulescu, il governo è recentemente sopravvissuto a un voto di sfiducia promosso dai due maggiori partiti di opposizione, il Partito Social-Democratico e il Partito Liberale Nazionale. Dove hanno sbagliato questi partiti? 

L’opposizione, in particolar modo i Socialdemocratici(PSD), non ha avuto la capacità di “penetrare” il partito al potere, vale a dire i Democratici Liberali (PDL) e il loro principale alleato, l’Unione Nazionale Rumena per il Progresso (UNPR). Anche se l’opposizione ha negoziato con alcuni membri dei partiti appartenenti alla coalizione di governo per ottenere un voto a favore, fino a quando non sarà totalmente certo che il governo cadrà i membri dei partiti governativi non si arrischieranno certo a prendere posizione contro il governo stesso. Altri invece hanno cambiato idea all’ultimo momento. 

Il fatto è che il PSD non aveva un’alternativa chiara da offrire. Molti parlamentari sono vincolati da un sistema clientelare, e ora stanno re-orientando le risorse a disposizione, ricambiando i favori ottenuti durante le elezioni. Senza garanzie per il loro futuro in cambio di una trasmissione dei poteri, preferiscono rimanere fedeli all’establishment attuale.

Ma esiste davvero un’alternativa?    

Ci sono alternative, più di una. Innanzitutto, quelle offerte dal sistema stesso di potere: un governo tecnico, potenzialmente appoggiato dalla maggioranza attuale, o un governo capitanato comunque dal PDL, ma con un altro primo ministro.

Recentemente il presidente francese Nicolas Sarkozy si è sbarazzato di diversi ministri “problematici”, mettendo in atto una radicale trasformazione della compagine governativa ma lasciando il primo ministro al suo posto. Anche per il presidente romeno Traian Băsescu questa è una possibile alternativa, nonostante l’immagine di Emil Boc sia decisamente appannata in questo momento. 

Nella situazione politica attuale, il cambiamento può essere attuato non per volontà dell’opposizione, ma soltanto per iniziativa del capo di stato. 

E l’opposizione? 

Il problema dell’opposizione è che non può far cadere il gruppo ministeriale di Boc e formarne uno nuovo senza il sostegno dell’ UDMR (l’Unione Democratica degli ungheresi in Romania, partner della coalizione di governo guidata dal PDL). Ma l’UDMR non cambierà alleati sino a che questi non si saranno a propria volta scambiati il posto. In altre parole, non rischieranno mai di venire accusati di aver causato una frattura, ma si limiteranno a trarre vantaggio da una frattura già in atto. 

Per questa e altre ragioni sembra un miracolo che il governo di Boc sopravviva all’imminente fine dell’anno. Tuttavia, visto l’incredibile vuoto di legittimità, non può mettere in atto praticamente alcuna politica e ogni iniziativa legislativa del governo diventa oggetto di scontri drammatici nella pubblica arena. 

A causa di tutto ciò, la crisi economica si inasprisce sempre di più. C’è una crisi a livello globale e una crisi a livello europeo: ognuna di queste crisi ha i suoi tempi e le sue caratteristiche specifiche, ma vi è anche un’ulteriore variante della crisi, vale a dire la crisi romena, che va facendosi sempre più drammatica di giorno in giorno. 

L’impeachment di Băsescu è un tema discusso molto frequentemente: quanto è realizzabile tale opzione e, a suo parere, l’impeachment potrebbe essere una soluzione all’attuale situazione di stallo politico? 

Dipende se si formerà o meno una nuova maggioranza parlamentare. E nei prossimi tre-quattro mesi vedo questo sviluppo degli eventi come molto improbabile. Un cambiamento sarà possibile soltanto se avverrà qualcosa di eccezionale durante i congressi di partito del PDL e dell’UMDR, che si terranno nella primavera del prossimo anno, o, in alternativa, nel caso in cui l’UNPR (che costituisce comunque un’entità artificiale) si sciolga e i membri tornino ai propri rispettivi partiti. La politica è imprevedibile, specialmente in tempi di crisi. 

Il Presidente Băsescu si è creato un’immagine davvero pessima, la peggiore immagine che un presidente romeno abbia avuto dopo il 1989. Ne consegue che, una volta avviata, la procedura di impeachment potrebbe facilmente sfociare nelle sue dimissioni. Băsescu è ben conscio di tale possibilità, ed è proprio per questo che non desidera che si venga a formare una nuova maggioranza parlamentare. Tuttavia, all’interno del PDL già si parla del periodo post-Băsescu. 

Personalmente, ritiene che Băsescu dovrebbe lasciare la carica?

Come ho detto in precedenza, in Romania abbiamo la nostra crisi personale. Tra le cause più profonde di questa crisi vi è l’ambizione personale di Băsescu di cambiare le regole del gioco politico e spingere il regime politico attuale verso una deriva autoritaria. Personalmente, ritengo che  Băsescu non abbia nessun interesse ad affrontare le  difficoltà economiche del paese. 

La crisi economica sembra, tra l’altro, aver risvegliato i mostri del passato. Anche nel periodo tra le due guerre il movimento dei legionari e lo spirito anti-democratico dilagante furono il risultato di un periodo di crisi. Il piano di Băsescu è ispirato a quello del re Carol II. Nel 1938 infatti, analogamente a quanto sta avvenendo oggi, re Carol II, presentandosi come il salvatore della nazione e mettendo in discussione il ruolo del parlamento e dei partiti politici, prese il controllo dello stato e si impadronì del potere assoluto. 

Quindi, se Băsescu non verrà sostituito, continuerà a rappresentare un “fattore di turbolenza” che tenta di dividere i partiti. Ovviamente, i partiti tentano di vendicarsi, e così va a finire che invece di concentrare le energie e le risorse nella lotta alla crisi economica, si dedica sempre più attenzione agli intrighi politici.  

A tale proposito, in cosa può sfociare il prossimo congresso del  PDL? 

Il congresso può avere due risultati: rafforzare le posizioni dei sostenitori di Băsescu all’interno del partito o dividere il partito in due fazioni contrapposte, con i detrattori del presidente che raccolgono sempre più consensi tra gli elettori già fortemente delusi da Băsescu.  

C’è poi una terza opzione dovuta all’ambizione dei leader dei partiti locali, che può scompaginare i piani di entrambe le parti.  In breve, ci sono diverse variabili da considerare, che potrebbero assumere un ruolo predominante nel futuro prossimo.

Gli scontri tra i partiti politici romeni sono duri a livello locale quanto a livello centrale? 

Esiste di fatto una certa sintonia tra il PDL e il PSD a livello locale. Entrambi i partiti sono a favore della proposta di eleggere sindaci e presidenti dei consigli regionali in un’unica tornata. Un tale emendamento alla legislazione elettorale rafforzerebbe le posizioni dei partiti politici locali, conosciuti come “baroni”. E ciò è molto problematico perché se la vita politica sposta il suo baricentro dal livello centrale a quello locale, pagheremo tutti un prezzo molto caro; le politiche nazionali non sarebbero più una priorità all’interno del programma politico.  

Questi “baroni locali” hanno già una forte influenza e questa è una delle ragioni della crisi economica in Romania: l’incapacità del governo, e non solamente di Boc, di imporre una politica su scala realmente nazionale mentre la classe politica è fortemente incentrata sulle realtà locali.

A proposito della crisi economica: la Romania sembra avere una relazione stabile con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), il quale continua a versare denaro nelle casse dello stato, ma la situazione pare solo peggiorare. Di chi è la responsabilità? 

E’ la mancanza di visioni a lungo termine e di prospettiva, specialmente del governo, nonché un problema di leadership dei partiti politici in generale, ad aver portato la Romania nello stato di povertà in cui si trova oggi. La fiducia cieca e incondizionata nelle politiche neo-liberali e l’assenza di dibattito sulle politiche economiche alternative ci ha portato al punto in cui siamo. 

E’ ora palese che le misure di austerità imposte da Angela Merkel in Germania hanno avuto effetti negativi e che la crescita nell’euro-zona ha subito un crollo. E chi si aspettava che gli Stati Uniti o la Cina non avrebbero reagito alla crisi ricorrendo al protezionismo si sbagliava di grosso.  

La Romania può ancora essere considerata una democrazia? E quanto è reale il rischio di una radicalizzazione e una transizione a un regime autoritario e non democratico? 

Io non credo che la Romania sia mai stata una democrazia, né nel periodo tra le due guerre né dopo il 1990. La democratizzazione è un processo che necessita dell'impegno di almeno tre generazioni. 

La società romena era divenuta relativamente democratica all’inizio del ventesimo secolo, ma la Prima Guerra Mondiale ha cambiato tutto. In seguito, all’inizio degli anni 20, ebbe inizio un nuovo processo di democratizzazione che fu però bloccato dal re Carol II. Prima che l'attuale crisi avesse inizio, la Romania dette il via a un processo di democratizzazione, ma senza che la società divenisse autenticamente democratica.  

Ne consegue che, in condizioni normali, la Romania avrà bisogno di altri quarant'anni per divenire autenticamente democratica. 


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