L' autobiografia di un dittatore, un triangolo amoroso alla Soldini e una mente omicida: sono questi i temi affrontati in tre film rumeni presentati quest'anno a Cannes. Nessun premio e critica divisa
Niente premi stavolta a Cannes per il cinema romeno, che è stato però al centro dell’attenzione con la presenza di ben tre film nella selezione ufficiale. L’accoglienza ai film è stata molto varia. “Autobiografia di Nicolae Ceausescu” di Andrei Ujică, documentario di tre ore sul “conducator”, ha raccolto quasi unanimi consensi (ed è stato acquistato dall'Istituto Luce per l’Italia). “Aurora” di Cristi Puiu ha diviso parecchio, mentre “Marti, Dupa Craciun - Martedì, dopo Natale” di Radu Muntean è stato accolto senza entusiasmi.
Il primo è stato presentato fuori concorso, i secondi due nella sezione “Un certain regard” senza ottenere riconoscimenti. Il film di Muntean, già autore dei notevoli “The Paper Will Be Blue” e “Boogie”, ricorda molto quello recente di Silvio Soldini “Cosavogliodipiù” ma è meno riuscito e compatto.
Se il primo film di Muntean era sulla notte del 21 dicembre 1989 e la contrapposizione tra esercito e milizia e il secondo sulla crisi di maturità di un trentenne sposato che ritrova i vecchi amici per una notte di baldoria, stavolta è di scena il triangolo d’amore.
Al centro Paul (Mimi Brănescu) che ama due donne, Adriana (Mirela Oprisor), sua moglie, e Raluca (Maria Popistasu), dentista della figlia. Sposato da 10 anni, una bambina, una casa, un’automobile, un buon lavoro in campo informatico, Paul sembra avere tutto quello che chiede dalla vita, un po’ come il Bogdan detto “Boogie” del lungometraggio precedente. Da qualche mese frequenta la giovane dentista proveniente dalla provincia con la quale ha una grande intesa. Anche il rapporto con la moglie non sembra arrugginito nonostante le scuse che a volte inventa per poter vedere l’amante.
Il gioco di incastri si ingarbuglia pochi giorni prima di Natale, quando Adriana esce prima dal lavoro e accompagna la piccola Mara e Paul dalla dentista. L’incontro causale tra le due donne fa nascere nell’uomo il desiderio di uscire dalla doppia vita e di fare una scelta, portando il film verso un epilogo che non si può svelare.
Muntean porta all’estremo lo stile che caratterizza il nuovo cinema romeno di pianisequenza molto lunghi a riprodurre la realtà della vita. L’effetto è in questo caso di un forte squilibrio, perché alcune scene madri (su tutte la più bella e realistica dello svelamento della verità ad Adriana e il litigio successivo tra lei e Paul) prendono il sopravvento su tutto il resto. In più Muntean si concentra sui tre personaggi non rendendo il contesto sociale in cui agiscono (come invece Soldini fa).
Più complesso e difficile da valutare è “Aurora”, seconda parte di un ciclo di sei film su Bucarest. Puiu ne è anche protagonista, nel ruolo di Viorel, un quarantacinquenne di poche parole, che una mattina si alza molto presto, quando fa ancora buio. Con lui una donna, con cui scherza su Cappuccetto Rosso facendo colazione. Poi Viorel esce e in macchina si aggira per la periferia. Arriva in un cantiere - e a questo punto si capisce che è ingegnere – litiga con alcune persone, appare sempre più scosso.
Per circa un’ora di film non si capisce praticamente nulla, l’uomo va in un appartamento vuoto, discute coi vicini. Solamente quando il protagonista prepara delle munizioni e acquista un fucile il pubblico comincia a farsi un’idea di ciò che sta per accadere. Viorel testa l’arma nel salotto di casa per poi riprendere la sua routine. Il giorno seguente si apposta nel parcheggio sotterraneo di un grande hotel e uccide l’avvocato dell’ex moglie e un’altra persona. Ma non è finita. Viorel si reca dai suoceri e uccide anche a loro, come se tutto fosse normale.
“Non ci sono assassini, solo persone che uccidono” spiega il regista. In questo caso forse è così: Viorel elimina le persone che secondo la sua mente malata, deduzione concessaci da alcuni dettagli (le pastiglie, ecc.) ostacolano la possibilità di ritornare con l’ex moglie. La sicurezza stilistica del regista però sfiora l’autocompiacimento. Il film dura tre ore, ha la struttura “a pedinamento” del suo precedente “La morte del signor Lazarescu” senza però che ci sia lo stesso coinvolgimento da parte di chi guarda. Solo negli ultimi dieci minuti, con l’ingegnere alla stazione di polizia, si rimettono insieme i pezzi e la ripresa del dialogo ironico riempie i vuoti lasciati dagli scarsi scambi di parole delle ore precedenti.
“Aurora” è un film ambizioso, sulla quotidianità del male. Puiu, spingendosi all’estremo di uno stile, affascina aprendo molte ipotesi, ma forse manca nel fornire qualche chiave d’interpretazione. Nell’insieme un’opera interessante e importante ma non un passo avanti rispetto al film precedente.
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