Caucaso sempre più instabile. Almeno 17 persone sono state uccise e 138 ferite ieri in un attentato suicida all'ingresso del mercato di Vladikavkaz, capitale dell’Ossezia del nord. E' l’attacco più grave da sei mesi a questa parte in Russia. Forte l'eco in tutta la regione
Fuoco sull’ultimo giorno di Ramadan in Caucaso del nord. Non solo quello di ieri al mercato di Vladikavkaz è l’attentato più sanguinoso degli ultimi 6 mesi in Russia, con 17 morti e 138 feriti, e avrebbe dovuto essere ancora maggiore nelle intenzioni, visto che un altro ordigno è stato ritrovato inesploso. Ma viene colpita la capitale dell’Ossezia del nord, ossia di una repubblica relativamente più sviluppata rispetto alle realtà limitrofe, come Daghestan, Inguscezia e Kabardino-Balkaria, investite progressivamente da tensioni dalla confinante Cecenia.
L'Ossezia del nord di nuovo nel mirino
In più l’Ossezia del nord è territorio a maggioranza cristiano-ortodossa, storicamente più legato a Mosca, dove dunque la matrice islamista ha meno possibilità di farsi largo. Un elemento questo che però, per alcuni analisti, la renderebbe un bersaglio, per un terrorismo jihadista che vede in Vladikavkaz lo storico caposaldo della conquista cristiana e russa del Caucaso, fin dalla sua fondazione nel 1784, con un nome che significa appunto ‘capo del Caucaso’. "Purtroppo è tristemente logico per loro colpire qui” ha commentato ieri Andrei Soldatov, analista ed esperto di questioni di sicurezza per il think tank russo "Agentura".
Ieri alle 11.30 la Volga imbottita –secondo le autorità- di circa 40 chili di tritolo, proveniente dall’Inguscezia, all’ingresso del mercato (già colpito nel 1999 da un altro attentato, con oltre 50 vittime) ha centrato passanti, bambini e disoccupati in cerca di reclutamento per una giornata di lavoro.
Alla tv russa sono arrivate immagini di devastazione. Oggi in Ossezia del nord per ragioni di sicurezza restano chiuse le scuole, e nella vicina Inguscezia anche tutti i mercati. Proprio in Ossezia del nord aspri conflitti etnici segnarono i primi anni ’90, nei rapporti con la minoranza inguscia dei suoi distretti orientali. All'indomani poi della strage nella città nord osseta di Beslan del 2004 il clima tornò incendiario, con accuse e sospetti reciproci.
Il leader inguscio Yunus-Bek Yevkurov si è affrettato ad evidenziare che i suoi concittadini sono però anch’essi vittime dell’attacco di ieri, visto che in molti affollavano il mercato di Vladikavkaz per comprarvi cibo per la fine del Ramadan.
Se il presidente russo Dmitrij Medvedev ha stigmatizzato come “mostri” gli artefici dell’attacco di Vladikavkaz, il premier Putin ha ricevuto la notizia a Mosca mentre era a colloquio con il capo muftì di Russia per la ricorrenza dell’Eid-el-Fitr, il giorno di chiusura del Ramadan. E per questo ha fatto un vibrante appello alla comunità islamica russa, unita nella lotta al terrorismo.
Una giornata di tensioni anche a Tbilisi
La giornata ha portata un’ondata di tensioni in tutto il Caucaso, con l'immancabile proliferare di false voci. Perfino in Georgia, nel Caucaso del sud. Ci sono state scene di panico nel pomeriggio al mercato centrale di Tbilisi, dove si erano diffuse notizie della presenza di una bomba. La folla ha travolto i banchi della frutta in fuga dal mercato Lilo, ha riferito l’agenzia Interfax. Ma la polizia ha confermato che la ricerca di un ordigno ha dato esito negativo.
Dal Daghestan notizie di attacco sventato ad una centrale idroelettrica
Anche in Daghestan la chiusura del periodo sacro del Ramadan è coincisa con un'escalation di tensione, ed una notizia in particolare segnerebbe un precedente di tutto rilievo. Le autorità locali hanno annunciato ieri di aver scoperto un laboratorio artigianale di ordigni in un hotel, ma soprattutto di aver sventato un attentato in una centrale idroelettrica. Questo secondo caso desta più attenzione, perché includerebbe, per la prima volta in Daghestan, un'infrastruttura energetica nel mirino dei terroristi. La società RusHydro ha confermato il ritrovamento di un ordigno (pari a circa 3 chili di dinamite, secondo le autorità, nascosti in bottiglie d'acqua, accanto ad un cellulare 'detonatore') nell’impianto di Irganai, nella regione montuosa ad ovest della capitale daghestana, Makhachkala.
L’allarme sarebbe venuto dagli operai, durante lavori di ripulitura all’indomani di un incendio che due giorni fa si era sviluppato accanto ad alcuni macchinari, ufficialmente in seguito alla combustioni di oli lubrificanti.
Se un gruppo islamista non ha mancato di rivendicare il tentato attacco alla centrale idroelettrica daghestana, attraverso un suo sito internet, tuttavia va segnalato anche che un capo ingegnere dell’impianto, da trent’anni al lavoro nella struttura, era stato misteriosamente rapito lo scorso luglio, per essere poi rilasciato solo venerdì scorso. Una vicenda, quella di Vladimir Redkin, confermata anche dalla società RusHydro, senza però aggiungere altri commenti.
Le centrali idroelettriche del Caucaso del nord sono entrate negli ultimi mesi nella lista dei potenziali obiettivi degli integralisti. E la loro sicurezza è diventata una delle maggiori preoccupazioni di Mosca. A luglio 2010 un commando era riuscito ad introdursi in quella Baksan, in Kabardino-Balkaria, uccidendo due guardie e piazzando ordigni che avevano distrutto due dei tre generatori.
Un blitz ai danni di un tale obiettivo sensibile aveva mobilitato l’attenzione diretta del Cremlino, e Medvedev aveva promesso il licenziamento dei responsabili statali delle agenzie di sicurezza e delle compagnie elettriche, se attacchi analoghi a quelli di Baksan si fossero ripetuti.
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