Una rete internazionale di movimenti civici si è riunita a Belgrado la scorsa settimana. Obiettivo dei gruppi della società civile è riappropriarsi degli spazi politici e urbani attraverso iniziative dal basso
Dal 7 al 9 giugno Belgrado ha ospitato il summit delle “Città senza paura” (Fearless cities), una rete internazionale di piattaforme civiche, movimenti dal basso e organizzazioni locali diffusa in tutto il mondo che mira a trasformare lo spazio politico a partire dal governo locale. Durante la tre giorni a Belgrado si sono incontrati attivisti provenienti da 20 paesi e 60 città diverse per parlare di partecipazione politica, beni comuni, privatizzazione di risorse e servizi pubblici, municipalismo, femminismo.
La rete è nata nel 2017 su iniziativa di “Barcelona en Comù” (Barcellona in comune), piattaforma civica che ha vinto le elezioni comunali nella città spagnola nel maggio del 2015, facendo eleggere sindaca della città Ada Colau, attivista con un passato nel movimento di lotta per la casa (la PAH, Plataforma de afectados por la Hipoteca, in italiano Piattaforma delle vittime dei mutui).
Proprio Barcellona ospitò nel 2017 il primo summit che diede il via a quello che in seguito è stato nominato il movimento municipalista globale, un movimento che promuove il cambiamento sociale ed economico partendo dall’ambito più vicino ai cittadini, quello del governo locale.
Alla rete appartengono piattaforme civiche di città italiane come Napoli e Messina, ma anche dei Balcani occidentali, come l’iniziativa “Ne da(vi)mo Beograd” (Non diamo/affoghiamo Belgrado) e “Zagreb je naš” (Zagabria è nostra). Quest’ultima si è presentata alle elezioni locali della capitale croata nel 2017 raccogliendo il 7,6% dei voti e ottenendo più di 50 rappresentanti eletti tra comune e consigli di quartiere.
L’idea di “Fearless cities” è quella di mettere in connessione le varie iniziative locali che, dal basso, tentano di riprendere il controllo della politica, “scavalcando” i governi nazionali e trasformando le istituzioni dal loro interno, approfondendo la democrazia in un contesto in cui l’avanzata della destra e il risorgere dei movimenti populisti sembra portarla verso il collasso. Riprendere il controllo della politica partendo dal livello più vicino ai cittadini e basandosi sui principi di prossimità e solidarietà: lo slogan di “Fearless cities” è infatti “il cambiamento arriva dal basso”.
Piattaforme civiche e città ribelli: il cambiamento parte da Sava Mala
Dopo i summit a Varsavia, New York, Brussels, Valparaiso e Napoli, quest’anno è stata Belgrado ad ospitare il meeting delle “Città senza paura”. Oltre a “Ne da(vi)mo Beograd”, che ha organizzato l’evento, erano presenti diversi attori della regione, dalla Croazia alla Bosnia Erzegovina, passando per Macedonia del Nord, Romania, Montenegro, Albania, Kosovo e Bulgaria. I gruppi presenti sono impegnati nella lotta contro la privatizzazione e lo sfruttamento di spazi pubblici e risorse naturali, sono coinvolti nella difesa dei beni comuni, ma anche in movimenti di lotta per la casa, giustizia ambientale e reti solidali.
In un contesto in cui la tensione politica tra i leader dei vari paesi sale, diventa particolarmente importante, spiega uno degli organizzatori, “che in questa occasione si incontrino attivisti di Pristina e di Belgrado per parlare dei problemi delle loro città, e non della questione dell’indipendenza del Kosovo”.
All’interno della tre giorni è stato dedicato ampio spazio ai cambiamenti urbani che le città dei Balcani occidentali stanno attraversando, con particolare attenzione a Belgrado, esplorata attraverso tour in bicicletta, visite ai quartieri e anche ai cantieri di “Belgrado sull’acqua”.
Il multi-miliardario progetto urbanistico “Belgrado sull’acqua”, firmato nel 2015 dal governo serbo con Eagle Hills, investitore immobiliare di Abu Dhabi, sta cambiando radicalmente l’aspetto della capitale serba. I vecchi magazzini portuali del quartiere di Sava Mala sono stati demoliti e rimpiazzati da appartamenti di lusso e da quello che sarà il più grande centro commerciale d’Europa, mentre la stazione dei treni di Belgrado che vi era collocata è stata chiusa definitamente e quella dei bus sta per essere spostata.
L’impatto ambientale e paesaggistico è devastante, non solo perché i nuovi appartamenti sono attualmente sprovvisti di rete fognaria, ma anche perché saranno destinati ad una clientela ricca e privilegiata, non certo resi accessibili agli abitanti locali.
Dal 2014 l’iniziativa “Ne da(vi)mo Beograd” si oppone al mega-progetto nel quartiere di Sava Mala, approvato senza consultazione cittadina e in assenza delle dovute autorizzazioni. Oltre ad organizzare proteste che nel corso degli anni hanno portato migliaia di cittadini a scendere in strada, “Ne da(vi)mo Beograd” ha tentato anche la via istituzionale, candidandosi alle elezioni locali del 2018, senza però riuscire a superare la soglia di sbarramento del 5%. A marzo del 2019 “Ne da(vi)mo Beograd” ha lanciato il Fronte Civico, un progetto politico che coinvolge sei organizzazioni della Serbia e che punta a candidarsi alle elezioni politiche del 2020.
Belgrado, le trasformazioni urbane e la questione abitativa
Negli ultimi anni Belgrado sta andando incontro ad una serie di cambiamenti urbani ed economici che hanno un forte impatto sulla sua popolazione. I progetti di cosiddetta rigenerazione urbana stanno cambiando l’aspetto della città, spingendo ai margini le fasce più povere della popolazione che si trovano costrette a spostarsi in quartieri periferici a causa dei costi proibitivi delle abitazioni delle zone “rinnovate”.
Altri problemi legati al diritto all’abitare si sono affacciati all’orizzonte negli ultimi anni, come ha spiegato un giovane attivista del collettivo “Un tetto sopra la testa” (Krov nad glavom). Il collettivo è nato qualche anno fa per far fronte alle crescenti problematiche legate al diritto alla casa e per rispondere all’aumento del numero di sfratti nel paese. Con lo slogan “Bez doma niko” (Nessuno senza casa), il collettivo ha dato vita ad una rete di solidarietà che si oppone agli sfratti, sempre più numerosi, di cittadini che si trovano impossibilitati a far fronte alle spese relative alle proprie case.
Negli ultimi mesi gli attivisti di “Un tetto sopra la testa” hanno organizzato picchetti anti-sfratto e sit-in di protesta per denunciare gli effetti prodotti dalla nuova legge che regola il settore immobiliare in Serbia, in vigore dal 2016, chiedendone a gran voce il cambiamento. La nuova legge ha reso gli sfratti il mezzo primario per risolvere le dispute immobiliari, affidandone l’esecuzione ad agenti di polizia privata, di fatto senza controllo alcuno da parte delle autorità competenti.
La legge, che ha avuto il beneplacito delle istituzioni europee, fa parte del più ampio processo di transizione del paese verso l’economia di mercato, ed è molto simile alle leggi imposte dalla Troika ad altri paesi fortemente indebitati come Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. In pratica la privatizzazione del fondo per gli alloggi sociali della Serbia e l’utilizzo degli sfratti come mezzo per risolvere i problemi legali sta lasciando letteralmente senza un tetto sopra la testa i cittadini che si sono indebitati, impoverendo ancora di più i settori già marginalizzati della popolazione.
E proprio alla Spagna guardano gli attivisti di “Un tetto sopra la testa”, visto che dalle mobilitazioni per il diritto all’abitare nel paese iberico è emerso un nuovo soggetto politico che, dal basso, ha catalizzato il discontento dei cittadini colpiti dalla crisi, entrando nelle istituzioni (per quanto il futuro delle esperienze municipaliste in Spagna sia al momento in dubbio, considerata la recente sconfitta elettorale).
In una società con un crescente tasso disoccupazione e progressivo impoverimento, lo smantellamento dello stato sociale e la deindustrializzazione colpiscono ulteriormente le fasce più deboli della popolazione. Il numero di persone sfrattate dalle proprie case è in aumento, e questa misura, fa notare Ana Vilenica , colpisce in particolare le donne, spesso madri single in famiglie monoreddito, che si indebitano non riuscendo a pagare l’affitto e le bollette.
Mentre il progetto “Belgrado sull’acqua” sta mostrando quanto lo spazio urbano sia terreno di profitto per pochi, l’edilizia sociale del periodo socialista lentamente scompare e i servizi pubblici vengono progressivamente privatizzati, c’è chi in Serbia e in altre città dei Balcani occidentali cerca di costruire un’alternativa che dal livello locale sia in grado di provocare un cambiamento democratico e sociale, mettendo al centro la cittadinanza e i suoi bisogni.
I limiti delle piattaforme civiche in Serbia sono molti, a partire dalle difficoltà nel coinvolgimento della cittadinanza, che fatica a partecipare attivamente, l’ostilità dei partiti esistenti e il disinteresse dei media, nonché il numero crescente di giovani che continuano a lasciare il paese in cerca di un futuro migliore altrove. Il processo per provocare il cambiamento entrando nelle istituzioni, però, è appena cominciato.
* Chiara Milan è borsista Marie Sklodowska-Curie presso il Centro di studi sull’Europa sud-orientale dell’Università di Graz. Questo articolo è parte del suo progetto di ricerca “Reclaiming the Cities in the Post-Yugoslav space ” (ReCitYu), finanziato dal programma europeo per la ricerca e l’innovazione “Horizon 2020”, Marie Sklodowska-Curie grant agreement N. 792782.
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