La Serbia è da mesi in transizione: tra il governo uscente e quello che deve ancora essere formato. Con una finanziaria temporanea, un parlamento che non si riunisce, un governo con mandato limitato. E nel pieno della definizione dello status del Kosovo
La Serbia non ha un governo. Ma questo non fa notizia. Sarebbe una notizia se i partiti riuscissero a mettersi d'accordo e se la Serbia ne ottenesse uno. Se ci sarà o meno un governo non sono in grado di dirlo nemmeno coloro da cui ci si aspetta a diritto una tale risposta, cioè coloro che si sono legittimati con i voti dei cittadini durante le scorse elezioni e in base a tali voti hanno occupato i posti in parlamento. L'opinione pubblica locale è più che abituata al fatto che le trattative sulla formazione del governo durino a lungo e siano faticose. Questa prassi si ripete dal 2001. Solo nel periodo di Milosevic, il governo veniva formato a tempo di record, senza troppi dilemmi e dissensi. Ma questo probabilmente è rimasto un fatto legato a quei tempi autoritari.
Oggi, quando in Serbia la democrazia sta appena sbocciando, i partiti della cosiddetta area democratica devono trattare a lungo e in modo dettagliato sulla formazione del governo. Si capisce che la soluzione dei quadri non è di un'importanza decisiva, ma è però indispensabile stabilire a chi spetta il posto del premier, e chi nel periodo successivo occuperà i ministeri che sono d'importanza strategica. E mentre continua la gara di astuzia, la Serbia "vive" in transizione, nel passaggio dall'uno all'altro governo, o verso nuove elezioni, con una finanziaria temporanea, con un parlamento che non si unisce, con decreti incostituzionali, con un governo che ha un mandato limitato. E con la soluzione dello status del Kosovo. Il tempo certo non manca, ce n'è abbastanza. La formazione del governo o una nuova tornata elettorale può protrarsi fino a giugno. Quindi, non ci resta che munirci di pazienza.
E mentre il Partito democratico (DS) sta cercando accordi con il Partito democratico della Serbia (DSS), e il G17 plus fa da tramite, appoggiando ora l'una ora l'altra parte, i cittadini ancora una volta invitano i politici a riprendere il senno e a formare finalmente un governo.
In un sondaggio d'opinione pubblica da poco concluso e svolto dallo "Strategic marketing" di Belgrado, addirittura il 67 per cento dei cittadini crede che la cosa migliore sarebbe formare subito un nuovo governo, mentre il 21 per cento crede che la cosa migliore sarebbe andare di nuovo a votare.
Oltre il 50 percento degli intervistati crede che l'opzione più realistica sia un governo composto da DS, DSS e G17plus, ma soltanto il 28 per cento crede che questa sarebbe la combinazione migliore. Un quinto degli intervistati vedrebbe volentieri il Partito radicale serbo in coalizione con il DSS, ma soltanto pochi credono che un tale governo potrebbe nascere.
Come premier, gli intervistati vorrebbero vedere Bozidar Djelic, il candidato del DS (32 per cento), Tomislav Nikolic (29) e Vojislav Kostunica (22). Il presidente della Serbia Boris Tadic rimane ancora il politico più popolare, seguito dai radicali Tomislav Nikolic e Aleksandar Vucic. La cosa interessante è che al quarto posto c'è Djelic, che ha superato Kostunica, Ilic e Dinkic. A giudicare quindi dai risultati, i democratici, oltre a Tadic, ottengono un altro politico in cui i cittadini ripongono la fiducia.
Così i cittadini. I politici invece dicono che le consultazioni proseguiranno dopo le feste. Una nuova svolta nel processo di trattativa per la formazione del nuovo governo si è verificata dopo che all'inizio di marzo il DSS e il G17 plus, durante una riunione comune si sono messi d'accordo sul così detto "sesto principio" che indica la divisione delle responsabilità per le cariche più alte del Paese. In altre parole, il sesto principio si basa sull'idea che lo stesso partito non può ottenere il posto del premier e il posto del presidente della repubblica, e con ciò in modo esplicito viene comunicato al DS che Kostunica sarebbe l'unico candidato possibile per la guida del governo.
Al DS hanno subito rifiutato il sesto principio, e al riguardo Tadic ha dichiarato a B92 che la discussione "non ha senso", e che questo principio sarebbe logico "soltanto nel caso in cui il presidente non venisse votato dai cittadini, ma dai partiti del parlamento".
Una settimana dopo la pubblicazione del "sesto principio", in Serbia è venuto fuori "il principio nullo", il cui creatore è il Partito democratico. Non volendo rimanere in debito rispetto ai sofisti del DSS e del G 17 plus, il DS ha chiesto lo scioglimento della coalizione a livello locale con i radicali e socialisti. Secondo le valutazioni del Centro per le libere elezioni e per la democrazia, "il principio nullo" avrebbe come conseguenza la caduta del governo di 52 comuni del Paese, inclusi Novi Sad, Kragujevac e Nis.
Dopo "la boxe dei principi", il DS e il DSS hanno tenuto un'altra riunione bilaterale dove si sono accordati per continuare a mettersi d'accordo. Il DS continua a considerare il "sesto principio" come un sasso in cui s'inciampa, mentre il DSS dice che il "principio nullo" è superfluo perché entro la fine dell'anno sono attese le elezioni locali e l'adozione della modifica della Legge sulle elezioni locali, dopo di che avrà senso pensare a nuove coalizioni.
Ospite a "Kaziprst" trasmissione di B92, Slobodan Vucetic, ex presidente della Corte suprema della Serbia ha dichiarato che il Paese si trova in una crisi istituzionale. Vladimir Goati di Transparentnost Srbija crede che i leader dei partiti abbiano fatto della Serbia uno stato imprigionato e bloccato. Nella dichiarazione per B92 Goati dice che si sta spendendo il tempo delle future generazioni e che i politici hanno mostrato "un'eccezionale impreparazione nel dar vita ad una coalizione di governo in una situazione sufficientemente chiara". Per fare un esempio, già ora è in attesa al nuovo parlamento la votazione di circa 70 nuove leggi che sono di un'importanza cruciale per il proseguimento delle riforme.
Il problema successivo riguarda il finanziamento del budget. La finanziaria temporanea era prevista entro la fine di marzo, e dal momento che questo termine si stava avvicinando il Governo ha fatto il Decreto sul finanziamento temporaneo del budget. Contro questa decisione si sono espressi il DS e il G17 plus considerandola incostituzionale. I rappresentanti dei radicali hanno persino dichiarato che con il decreto sul finanziamento "è stata fatta una sorta di colpo di stato".
Il DS aveva chiesto che il parlamento si unisse urgentemente al fine di adottare alcune modifiche alla Legge sul finanziamento del budget per evitare la violazione della Costituzione, ma questa iniziativa è stata rifiutata. Il ministro dimissionario Milan Paridovic, appartenente al DSS, ha chiesto ai giornalisti e ai cittadini: "Se anche la decisione fosse illegittima cosa avrebbe potuto fare il governo", aggiungendo che la legge prevede "un basilare comportamento di principio nel caso di bisogno estremo".
A ciò il gabinetto di Tadic ha reagito comunicando che è indispensabile un'immediata riunione del parlamento, l'adozione delle modifiche di legge, e solo dopo si potranno emanare i decreti, e con ciò il processo sarebbe riportato sotto la garanzia della Costituzione e della legge.
Alla prossima seduta del parlamento, il DS esporrà anche l'iniziativa sull'elezione urgente del presidente temporaneo del parlamento, e per questa funzione hanno candidato Milena Milosevic, la presidentessa del comune belgradese di Vracar. Il DSS crede che sia assurdo scegliere una presidentessa temporanea, ma che bisogna aspettare la fine delle trattative e la decisione su tutte le cariche più importanti.
Per finire, come una bomba è tuonata la dichiarazione di Milos Aligrudic del DSS sul fatto che questo partito non può del tutto e fino in fondo rifiutare la formazione di una coalizione con i radicali. Anche se questa uscita in seguito è stata un po' ridimensionata, è chiaro che il DSS ha lanciato il segnale più forte che c'è stato fino ad ora su come questo partito tiri i fili e detti il tempo della creazione del governo. Una posizione comoda, non c'è che dire. Manca solo che qualcuno si ricordi dei cittadini.
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