© Gal_Rotem/Shutterstock

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Un'indagine di BIRN e Haaretz ha identificato sei voli militari israeliani da Belgrado a Be’er Sheva quest'anno, con esportazioni di armi serbe verso Israele per 15,7 milioni di euro. Armi che rischiano di essere utilizzate per violare il diritto umanitario internazionale a Gaza

18/06/2024 -  Saša DragojloAvi Scharf

(Originariamente pubblicato da BIRN , il 10 giugno 2024)

Poco dopo le 14.00 dello scorso 5 febbraio, osservando il cielo nei pressi dell’aeroporto di Belgrado, un appassionato di velivoli ha notato un aereo “raro” che si stava preparando ad atterrare.

“Oggi all’aeroporto di Belgrado ho avuto il piacere di filmare questo magnifico uccello classico!”, ha scritto l’uomo in fondo al video pubblicato sul suo canale YouTube, spiegando che si trattava di un Boeing 707-300.

Poche ore dopo, precisamente alle 18.04, l’aereo, numero di serie 272, appartenente all’esercito israeliano, è decollato dall’aeroporto di Belgrado. Dall’analisi di alcuni siti per il tracciamento dei voli è emerso che l’aereo era diretto alla base militare di Nevatim, nelle immediate vicinanze della città di Be’er Sheva, nel sud est di Israele.

Stando ai dati doganali a cui i giornalisti di BIRN hanno avuto accesso, nel febbraio di quest’anno Yugoimport-SDPR – la principale azienda serba, di proprietà dello stato, che si occupa di importazione ed esportazione di armamenti – ha esportato in Israele armi per un valore complessivo di 510mila euro.

Mentre il velivolo israeliano era fermo in pista all’aeroporto di Belgrado, Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi in Medio Oriente (UNRWA), ha scritto su X che, in quattro mesi di guerra, il bilancio delle vittime a Gaza ha sfiorato quota centomila (tra morti, feriti e dispersi), aggiungendo che oltre l’80% degli abitanti di Gaza è stato costretto ad abbandonare la propria casa.

Un’inchiesta condotta da BIRN e Haaretz dimostra che quello del 5 febbraio è uno dei sei voli che hanno coinciso con l’invio di armi serbe a Israele dall’ottobre 2023 quando – stando alle stime del quotidiano israeliano – il movimento militante Hamas, in un attacco senza precedenti contro Israele, ha ucciso 1.175 persone, prendendo 252 ostaggi. Stando ai dati diffusi dall’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari, almeno 36mila palestinesi sono stati uccisi dall’inizio della rappresaglia israeliana nella Striscia di Gaza.

Se il volo di febbraio ha fruttato alla Serbia un profitto di mezzo milione di euro, i due voli successivi hanno coinciso con un accordo sull’esportazione di armi in Israele per un valore complessivo di oltre 14 milioni di euro . È chiaro quindi che Belgrado ha ignorato diversi appelli – a partire da quello lanciato lo scorso 23 febbraio da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite – ad evitare il trasferimento di armi e munizioni a Israele tenendo conto del loro possibile utilizzo in spregio del diritto internazionale umanitario.

Lo scorso 26 maggio, nonostante l’esplicito invito del Consiglio per i diritti umani dell’Onu a sospendere la vendita di armamenti a Israele, tre aerei militari israeliani sono atterrati all’aeroporto di Belgrado. I velivoli sono rimasti fermi in pista per qualche ora, per poi ripartire verso la base militare di Nevatim. Questi voli hanno coinciso con il trasferimento di armi serbe a Israele per un valore complessivo di 1,17 milioni di euro.

In totale, dall’ottobre 2023 BIRN e Haaretz hanno identificato sette aerei militari israeliani partiti da Belgrado verso Israele, a cui si aggiunge un volo operato da una compagnia aerea privata che trasporta merci di vario tipo, armi comprese. Di questi voli, sei sono direttamente correlati all’esportazione di armi.

Secondo l’analista politico Boško Jakšić, al di là all’aspetto economico, il presidente serbo Aleksandar Vučić sfrutta l’export di armamenti per rafforzare i rapporti con l’Occidente. L’invio di armi a Israele – spiega Jakšić – rischia però di rendere la Serbia complice delle uccisioni di massa di civili palestinesi.

“Attualmente un aumento di esportazioni di armi e munizioni verso Israele non può essere un motivo di orgoglio. In un momento storico, come quello attuale, in cui Israele è accusato di genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia, la complicità negli omicidi di massa di palestinesi non fa onore a nessuno”, afferma l’analista.

Il sostegno di Belgrado a Israele “nelle parole e nei fatti”

Lo scorso 26 febbraio, tre settimane dopo il primo atterraggio di un Boeing 707-300 israeliano all’aeroporto di Belgrado, Vučić ha avuto una conversazione telefonica con il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu.

Al termine del colloquio, Vučić ha pubblicato un post su Instagram spiegando di aver parlato col premier israeliano di “un ulteriore rafforzamento delle relazioni bilaterali”. Netanyahu si è dimostrato più entusiasta, definendo Vučić “un vero amico di Israele”.

“Ho espresso la mia gratitudine [a Vučić] per il suo fermo sostegno nelle parole e nei fatti”, ha scritto il leader israeliano su X.

Era il centoquarantatreesimo giorno dell’attacco israeliano a Gaza, in cui tra le vittime palestinesi c’erano molte donne e bambini.

Tre settimane dopo, lo scorso 18 marzo, due aerei militari israeliani sono atterrati all’aeroporto “Nikola Tesla” di Belgrado.

Il primo, lo stesso Boeing 707-300 avvistato il 5 febbraio, è atterrato alle 16.37 ed è decollato alle 20.04. Quarantadue minuti dopo è arrivato un aereo da trasporto militare israeliano, un Lockheed C-130 , è rimasto fermo in pista per poco più di due ore, per poi ripartire dirigendosi verso la base militare di Nevatim.

Dai dati della dogana serba relativi al mese di maggio emerge che questi voli hanno coinciso con la più grande spedizione di armi serbe a Israele degli ultimi anni per un valore complessivo di 14 milioni di euro.

Ma non finisce qui. Lo scorso 26 maggio ben tre aerei militari israeliani sono atterrati all’aeroporto di Belgrado: un Boeing 707-300, arrivato poco dopo le 10.20 e ripartito alle 14.10, e due Lockheed C-130 – compreso quello già visto a marzo – decollati poche ore dopo verso la base di Nevatim.

I tre voli di maggio – come dimostrano i dati doganali –corrispondono ad una spedizione di armi serbe verso Israele effettuata dall’azienda Yugoimport SDPR per 1,17 milioni di euro.

Dall’inizio della guerra a Gaza, la Serbia ha esportato armamenti verso Israele per un valore complessivo di 16,3 milioni di euro. Oltre alle forniture di febbraio, marzo e maggio di quest’anno, nell’ottobre 2023 Belgrado ha venduto a Israele armi e munizioni per 540.120 euro. I giornalisti di BIRN non sono riusciti a ricostruire le dinamiche di quest’ultima fornitura.

Dal momento che il governo serbo non ha fornito alcun chiarimento in merito al contenuto delle spedizioni, BIRN -appellandosi alla Legge sul libero accesso alle informazioni di interesse pubblico – ha chiesto di accedere ai dati riguardanti le licenze di esportazione e le tipologie di armi vendute a Israele. Il ministero del Commercio serbo ha respinto la richiesta, affermando che si tratta di informazioni “strettamente confidenziali”.

Lo scorso 26 gennaio, reagendo alla denuncia presentata dal Sudafrica, la Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di prendere misure per evitare un genocidio contro i palestinesi a Gaza. Poi all’inizio di aprile, il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha adottato una risoluzione, invitando tutti i paesi a “fermare la vendita, il trasferimento e l’invio di armi, munizioni e altri equipaggiamenti militari a Israele […] per evitare ulteriori trasgressioni del diritto internazionale umanitario e violazioni dei diritti umani”.

Infine, lo scorso 20 maggio il procuratore capo della Corte penale internazionale all’Aja ha chiesto di emettere un mandato di arresto contro Netanyahu e il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallan, accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, e contro i leader politici e militari di Hamas, accusati di sterminio, presa di ostaggi, stupro, violenza sessuale e tortura.

La leadership serba ha ignorato queste decisioni, continuando ad esportare armi verso Israele, come dimostra la fornitura di maggio per oltre un milione di euro.

Cosa può offrire la Serbia a Israele?

Tel Aviv riceve armi in abbondanza dagli Stati Uniti. A marzo Washington ha effettuato una fornitura senza precedenti , con centinaia di aerei da trasporto militari e Boeing 747, atterrati alla base militare di Nevatim, nei pressi di Be’er Sheva. Altri armamenti sono arrivati via mare nel bel mezzo delle tensioni tra Iran e Hezbollah in Libano.

Ad un certo punto, esaurite le scorte, l’esercito israeliano – come rivela Haaretz – ha iniziato ad utilizzare proiettili di artiglieria “destinati esclusivamente all’addestramento” prodotti nel 1953. Secondo le regole militari statunitensi, tali munizioni hanno una durata massima di quarant’anni.

“I sacchi erano strappati, puzzavano e si sono rotti quando li abbiamo sollevati”, ha affermato un soldato israeliano.

Secondo l’esperto militare Vlada Radulović, dopo mesi di conflitto, Israele ha bisogno di ordigni guidati e non guidati per aerei ed elicotteri, razzi per sistemi di difesa aerea, munizioni di medio calibro, dai proiettili di artiglieria alle armi di fanteria. Servono – aggiunge l’esperto – anche munizioni di piccolo calibro per armi leggere e bombe da mortaio.

I proiettili di artiglieria da 155 mm, prodotti dall’azienda serba Krušik , sono molto richiesti, non solo in Medio Oriente .

“La Serbia – spiega Radulović – è riconosciuta sul mercato mondiale come produttrice di munizioni di alta qualità di piccolo, medio e grande calibro, compresi i proiettili da 155 mm. Quindi, con ogni probabilità è questa produzione a suscitare l’interesse di Israele”.

Un altro esperto militare, che ha richiesto l’anonimato, sottolinea che Belgrado potrebbe vendere a Israele anche esplosivi di propria produzione.

Prima dell’ottobre 2023 la Serbia esportava verso Israele quantità modeste di armi e munizioni. Tel Aviv viene menzionato per l’ultima volta in una relazione del ministero del Commercio serbo del 2020, quando sono state esportate armi e munizioni – nello specifico “bombe, siluri, razzi, missili, altri ordigni esplosivi, munizioni e accendini per munizioni” – per un valore di 554mila euro. Tra i destinatari finali figurano però anche altri paesi, come Slovacchia e Senegal, suggerendo che alcune armi sono state esportate attraverso Israele.

Nei mesi di marzo, aprile e giugno 2023, la fabbrica statale Prvi Partizan di Užice, nel sud est della Serbia, ha venduto a Israele armamenti per circa 1,14 milioni di euro.

Inoltre, nel marzo 2023, l’azienda serba Edepro ha esportato in Israele armi e munizioni per un valore di 285.768 euro. Si tratta di un’azienda privata che collabora strettamente con le autorità di Belgrado.

Israele non sostiene la risoluzione dell’Onu su Srebrenica

Se oggi Belgrado esporta armi a Tel Aviv, in passato, in un momento storico altrettanto drammatico, le armi viaggiavano in direzione opposta.

Israele è stato più volte accusato di vendita di armi alle forze serbo-bosniache durante la guerra in Bosnia, in violazione dell'embargo delle Nazioni Unite sull’esportazione di armi ai paesi sorti dalle ceneri dell’ex Jugoslavia.

Nel 2016, la Corte suprema israeliana aveva respinto una richiesta di accesso ai dati sulle licenze di esportazione di armi e sulle decisioni prese dal ministero della Difesa israeliano riguardo all’invio di armi verso l’ex Jugoslavia nel periodo 1990-1996. Per la Corte, la pubblicazione delle informazioni richieste potrebbe “mettere a repentaglio la sicurezza pubblica e le relazioni internazionali”.

Nell’aprile di quest’anno, Yahel Wilan, ambasciatore israeliano a Belgrado, ha dichiarato a Sputnik che Tel Aviv non ha mai accettato la qualificazione dei fatti di Srebrenica come genocidio, nonostante le sentenze del Tribunale dell’Aja e dei tribunali bosniaci.

Israele è uno dei paesi che non si sono presentati all’Assemblea generale dell’Onu per esprimersi sulla risoluzione che ha istituito l’11 luglio come Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica del 1995.

La risoluzione è stata approvata con 84 voti a favore, 19 contrari e 68 astenuti. Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha condannato la risoluzione, definendola “altamente politicizzata”.

“Questa risoluzione aprirà il vaso di Pandora. Sarete costretti ad affrontare decine di simili risoluzioni sulla questione del genocidio”, ha dichiarato Vučić all’Assemblea generale dell’Onu.

La leadership serba e i media allineati tendono a interpretare il silenzio di Israele sulla risoluzione su Srebrenica come un sostegno alla Serbia. In realtà – come sottolinea l’analista Boško Jakšić – non riconoscendo il genocidio di Srebrenica, Israele cerca di difendersi dalle accuse di genocidio a Gaza.


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