Gli Stati Uniti, un tempo visti come il peggior nemico della Serbia, sono ora tra i maggiori investitori nel paese. Le ragioni di questo repentino cambiamento. Nostra traduzione
Di Senita Slipac*, per BIRN, Balkan Insight, 12 aprile 2006 (Titolo originale: "US Takes Lead in Investing in Serbia")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta
Circa 14 anni dopo le pressioni fatte sulle Nazioni Unite perché imponessero sanzioni su Belgrado, gli Stati Uniti sono diventati il maggior investitore straniero in Serbia e Montenegro.
La Banca mondiale afferma che si possono attribuire ad aziende americane circa un terzo dei 3,5 miliardi di dollari di investimenti stranieri fatti tra il 2002, anno in cui le sanzioni furono finalmente levate, e la fine del 2004.
Benché un milione o due di persone di discendenza serba viva negli Stati Uniti, i legami degli emigrati con la madrepatria hanno giocato una parte molto piccola nel determinare questi investimenti.
Organizzazioni come il Congresso di unità serba e la Camera di commercio serbo-americana, con sede in America, periodicamente organizzano conferenze e informano gli investitori sulle opportunità in Serbia. Ma pochi serbo-americani hanno effettivamente investito là.
La strada è stata aperta invece dalle principali compagnie di bandiera, incluse la Phillip Morris, la US Steel, la Galaxy Tire, la ditta AAR, che si occupa di traffico aereo, e la Ball Corporation.
Benché l'embargo verso Belgrado sia stato tolto subito dopo la caduta del regime di Slobodan Milosevic nel 2000, gli investimenti stranieri di maggior rilievo in Serbia decollarono solo nel 2003. In quell'anno la Phillip Morris acquistò a Nis una fabbrica di tabacco per 605 milioni di euro, mentre la US Steel comprò l'unica acciaieria serba per 205 milioni di euro.
Queste due acquisizioni da sole costituirono ben più del 50% del totale di 1,3 miliardi di euro di investimenti stranieri diretti in Serbia quell'anno, secondo l'Unità di raccolta informazioni dell'Economist.
Ciò portò inoltre gli USA a diventare il primo investitore in Serbia e Montenegro, mentre l'anno precedente era in quinta posizione.
Gli investimenti stranieri subirono una flessione nel 2004, col rallentare delle privatizzazioni. Hypo Alpe-Adria Bank, che gestisce molti investimenti nella regione, calcolò che solo 250 aziende furono privatizzate in Serbia nel 2004, rispetto alle 800 del 2003.
La stagnazione era collegata all'incertezza politica. Senza un presidente dal 2002, a causa della bassa affluenza alle urne nelle elezioni presidenziali, la Serbia sembrava andare alla deriva.
Fu solo nel giugno 2004 che Boris Tadic, del moderato Partito Democratico, DS, fu eletto presidente, sconfiggendo Tomislav Nikolic dell'ultranazionalista Partito radicale serbo.
Il nuovo presidente aveva impostato la campagna elettorale sulla promessa di potenziare l'economia migliorando i legami con gli USA e l'Unione Europea, e nel 2005 gli investimenti stranieri sono risaliti a circa due miliardi di dollari. Si prevede che la crescita continui nel 2006.
Alla fine dell'anno scorso Thomas Kelly, che gestisce le operazioni della US Steel in Serbia, disse all'Agenzia serba di promozione degli investimenti e delle esportazioni, SIEPA, che per quanto riguardava la sua compagnia le cose laggiù stavano andando bene.
Questo successo, disse, avrebbe anche aiutato a rafforzare il Centro per lo sviluppo economico della US Steel a Belgrado, un progetto inteso a spendere 1,5 milioni di dollari nell'arco di tre anni promuovendo investimenti stranieri diretti, come mezzo per stimolare la crescita economica.
Molti esperti sono sorpresi che un Paese come la Serbia, famigerato per la corruzione, politicamente fino a pochi anni fa un paria, che nel 1999 subì 78 giorni di bombardamenti NATO che devastarono le sue infrastrutture, ora attragga i principali investitori USA.
Come risposta John Sailor, direttore del Consiglio per gli affari tra USA e Serbia e Montenegro, con sede a Washington, nota che la Serbia è "al centro dei Balcani, ha una manodopera preparata e tasse favorevoli".
La posizione geografica della Serbia è sicuramente un fattore. Due delle principali autostrade europee passano attraverso il Paese.
Però la natura della forza lavoro del Paese è forse più importante. Circa il 40 per cento della forza lavoro in Serbia parla un po' d'inglese, in una percentuale approssimativamente doppia rispetto alla Bulgaria o all'Ungheria.
La forza lavoro ha familiarità con le nuove tecnologie e i livelli dei salari sono ben al di sotto della media europea.
Secondo la SIEPA, il costo del lavoro è più basso anche in confronto alle altre repubbliche ex jugoslave - per esempio rispetto alla vicina Croazia è circa il 50 per cento in meno.
Nel contempo, il mercato locale è relativamente ampio, con una popolazione che in Serbia è di circa otto milioni, e la Serbia è l'unico Paese al di fuori della Comunità degli Stati indipendenti che gode di un accordo di libero scambio con la Federazione russa.
Ciò significa che, sempre secondo la SIEPA, la Serbia ha il potenziale di fungere da canale d'accesso, libero da dazi doganali, ad un mercato di 150 milioni di persone.
D'altro canto la Serbia e Montenegro sta ancora subendo gli effetti collaterali delle guerre degli anni '90.
Si ritiene che diversi indiziati di crimini di guerra, ricercati dal Tribunale penale internazionale delle Nazioni Unite per l'ex Jugoslavia, ICTY, sito all'Aja, incluso l'ex comandante dell'esercito serbo bosniaco, Ratko Mladic, usino la Serbia come rifugio.
L'UE ha reso chiaro che la consegna di Mladic alla corte dell'Aja è una condizione non negoziabile, indispensabile per compiere ulteriori progressi verso l'integrazione.
"Mladic è una nuvola nera che incombe sul popolo serbo", ha detto Sailor, aggiungendo che il suo arresto stimolerebbe potentemente nuovi investimenti USA.
Certi investitori sono preoccupati anche per il potenziale di violenza in - o intorno al - Kosovo, mentre procedono i colloqui sul suo futuro status politico.
Sailor, comunque, ritiene che la separazione "de facto", dal 1999, del Kosovo dalla Serbia abbia ridotto il fattore di rischio.
"Se questa regione fosse completamente controllata da Belgrado, ciò costituirebbe un problema", ha detto. "Ma dal momento che non è così, questo non tocca minimamente gli interessi americani".
Un altro tema problematico in Serbia è la privatizzazione. Benché il Paese abbia aperto pionieristicamente una delle privatizzazioni più rapide della regione, il percorso non è sempre stato agevole.
Uno dei principali oggetti del contendere, tra i partiti al governo in Serbia, resta il futuro delle raffinerie di petrolio.
Sia la russa Lukoil che la British Petroleum hanno espresso interesse all'acquisizione della serba NIS Oil. Ma mentre il ministro dell'energia, Radomir Naumov, ed il partito riformista Gruppo 17 sono determinati a vendere la compagnia, il primo ministro Vojislav Kustunica si è rifiutato di privatizzarla, sostenendo che l'industria petrolifera è un patrimonio troppo prezioso.
L'impasse potrebbe rivelarsi costosa, dato che il Fondo monetario internazionale, FMI, ha posto la privatizzazione del petrolio come precondizione alla sua assistenza economica. Senza un accordo col FMI, gli investimenti stranieri potrebbero calare.
Belgrado sta lavorando per compensare questi problemi, creando un clima favorevole agli investitori e attuando un regime fiscale molto attraente.
Con le tasse sui profitti delle società fissate al 14 per cento, la Serbia ora vanta le più basse imposte sulle imprese d'Europa. In Romania la quota è del 25 per cento, e in Bulgaria quasi del 20 per cento.
In aggiunta, la Serbia esonera per dieci anni dal pagamento di ogni tassa commerciale quelle imprese che investono più di 7,5 milioni di euro. Le aziende che creano posti di lavoro possono inoltre richiedere dei contributi governativi.
Belgrado ha anche semplificato il processo di registrazione per gli investitori stranieri, istituendo nel 2005 l'Agenzia serba per la registrazione commerciale, per abbattere le lungaggini burocratiche ed i tempi d'attesa, passati da due mesi a circa dieci giorni.
"È stato molto facile lavorare col governo serbo, e se c'è un problema è semplice affrontarlo con gli addetti governativi", ha detto Sailor.
Da parte sua, il governo USA ha incoraggiato le aziende ad investire in Serbia. La Export Import Bank, un'agenzia di credito ufficiale degli Stati Uniti, fornisce assicurazioni, garanzie sul prestito ed altre forme di assistenza.
Sailor dice che ora Belgrado deve incominciare a realizzare completamente l'importanza di consolidare i suoi nuovi legami con gli USA.
"Il governo serbo ha bisogno di avere qualcuno che a tempo pieno rappresenti i suoi interessi negli USA e migliori l'immagine dei Serbi," ha detto, "perché gli investitori ancora hanno della Serbia una rappresentazione negativa".
*Senita Slipac è una collaboratrice di Balkan Insight. Balkan Insight è la pubblicazione online di BIRN
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