Aleksandar Vučić (foto ©Fotosr52 /Shutterstock)

Aleksandar Vučić (foto ©Fotosr52 /Shutterstock)

L'ennesimo attacco alla Rete balcanica di giornalismo investigativo BIRN da parte del presidente serbo. Consueta strategia per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dal disagio sociale e dagli scandali di corruzione. L'editoriale della direttrice regionale di BIRN

04/10/2019 -  Marija Ristić

(Originariamente pubblicato da BIRN , il 3 ottobre 2019)

Il presidente serbo Aleksandar Vučić e i suoi sodali non fanno che etichettare BIRN e i suoi giornalisti come bugiardi e traditori. La sua concezione autoritaria di “nemici” e “avversari”, così ben rodata, è già stata usata in precedenza , nel 2015, 2016, 2017, 2018 e 2019. Per noi, non fa più notizia.

Questi attacchi vengono solitamente lanciati in un momento di crisi del governo, allo scopo di distogliere l'attenzione pubblica da certi argomenti e di screditare il nostro modo di raccontare la realtà e di fare inchieste, specialmente quelle legate alla corruzione fra i membri del suo Partito Progressista Serbo. E così noi di BIRN sappiamo sempre il movente, anche se le circostanze sono sempre diverse.

E allora, che cosa ha infastidito Vučić stavolta?

Parlando alla tv pubblica RTS il primo ottobre scorso, il presidente ha detto che la Srpska Lista, il partito di etnia serba in Kosovo, sostenuto da Belgrado, stava “subendo in Kosovo una situazione di terrorismo e vera persecuzione politica, organizzata dalle cosiddette istituzioni kosovare con l'appoggio della comunità internazionale”. Lo ha detto dopo che la Commissione per i reclami e i ricorsi elettorali del Kosovo aveva multato il partito per 30mila euro.

E di tutto questo aveva cinicamente incolpato “il Grande BIRN”. Quello che ne è seguito sono stati attacchi ai nostri giornalisti in Serbia, sia online sia sulla stampa sia da parte di altri funzionari governativi; il modo più semplice di mobilitare gruppi diversi è in fondo sempre solleticare e istigare sentimenti “patriottici” contro “il nemico”.

La vera storia dietro questa facciata è in effetti tutt'altra. In previsione delle elezioni in Kosovo di questa domenica, BIRN a Pristina aveva lavorato con attenzione nel monitorare e segnalare qualsiasi irregolarità che potesse pregiudicare la libertà del voto.

Come effetto del nostro monitoraggio, diversi partiti in Kosovo, sia albanesi sia serbi - se ci fosse il bisogno di sottolinearlo – hanno ricevuto sanzioni per un totale di 60mila euro per aver violato diversi regolamenti e leggi elettorali.

Tra queste violazioni, il video di Srpska Lista, pubblicato con lo slogan “La Serbia chiama” e ritenuto non in linea con l'ordinamento costituzionale del Kosovo in quanto faceva appello alla “giurisdizione di un altro Stato”, la Serbia.

La Commissione per i reclami ha anche deliberato che “usare un linguaggio del genere incita all'odio contro altri”, dato che l'ultima volta che la Serbia aveva “chiamato” e preso decisioni in Kosovo, migliaia di kosovari di etnia albanese e serba sono stati uccisi e centinaia di migliaia espulsi.

Quello che i nostri colleghi in Kosovo hanno fatto è stato semplicemente chiamare a rapporto il potere. Grazie alla rete di BIRN, tramite le nostre attività, noi cerchiamo di fare in modo che i cittadini possano esercitare i loro diritti, fornendo loro informazioni accurate e rilevanti e creando occasioni per cui possano prender parte ai processi democratici. Inoltre fungiamo da controllori e ci adoperiamo perché vi sia trasparenza e perché le istituzioni pubbliche e i loro funzionari siano chiamati a rispondere di quello che fanno.

Oltre a tutto questo, facciamo tanto giornalismo investigativo, il che ci porta alla domanda – e alla risposta – su che cosa ha dato veramente fastidio a Vučić. La risposta è semplice: gli danno fastidio le nostre storie e le nostre rivelazioni.

Nelle ultime tre settimane, Vučić, il ministro dell'Interno serbo Nebojša Stefanović e altri funzionari del partito di governo, oltre ad analisti e funzionari filogovernativi, si sono dati un gran daffare a difendere il diritto del padre di Stefanović di acquistare armi a condizioni agevolate, di guadagnare milioni operando con aziende statali e poi vendere armamenti all'Arabia Saudita.

Il 21 settembre abbiamo pubblicato un reportage che spiegava come un'azienda legata al padre del ministro avesse comprato armi a prezzi di favore dall'azienda di stato Krušik.

Si trattava dell'aggiornamento di un'altra inchiesta risalente al 2018 in cui i colleghi serbi di BIRN avevano scoperto come Branko Stefanović avesse avuto un ruolo di mediatore nel commercio di armi fra la Krušik e un'azienda privata dell'Arabia Saudita, la Rinad Aljazira.

Abbiamo scritto come l'azienda di intermediazione si fosse trasformata da piccola azienda a colosso degli affari, passando da un fatturato di 340mila euro nel 2016 a più di 8 milioni di euro nel 2017. I dati più recenti, quelli del 2018, mostravano come l'azienda avesse raddoppiato gli introiti in un solo anno, proprio nel periodo che coincideva con il coinvolgimento di Stefanović.

Vučić e i suoi funzionari di partito hanno ribadito che non c'è stato alcun illecito, sostenendo che la vendita di armi era una delle industrie in un settore chiave della Serbia.

Si è però dimenticato di citare che oltre a vendere armi e rispettare le norme anticorruzione, la Serbia è anche tenuta a controllare il certificato finale delle armi che vende. E questo significa che se queste armi finiscono nelle mani di gruppi in Siria, Iraq e Yemen, come noi abbiamo dimostrato fosse il caso in diverse inchieste precedenti , è tenuta a sciogliere i contratti.

Ci sono tanti altri esempi che si potrebbero elencare tra gli attacchi subiti da BIRN da parte del governo serbo in seguito alle nostre rivelazioni su corruzione, illeciti e altre violazioni. Ed è quello che stanno sperimentando anche i pochi altri organi di informazione liberi in Serbia.

In un paese dove c'è un crescente malcontento sull'economia, dove la giustizia è sotto pressione, dove la maggior parte delle istituzioni indipendenti non funziona bene e dove si restringe lo spazio per le voci critiche, screditare le poche oasi di libertà di stampa che forniscono storie di interesse pubblico rimane un'attività chiave del presidente e dei suoi alleati.

Vučić ha seguito la ricetta di altri leader illiberali a noi vicini, che hanno perseguitato le forze costituzionali, politiche e giudiziarie in grado di frenarli e chieder conto delle loro azioni.

Sotto la sua guida, l'erosione della libertà di stampa è continuata anche tramite pressioni di ordine politico, finanziario e legale sui mezzi di comunicazione. Mentre la comunità internazionale chiude un occhio in cambio della stabilità che lui offre, Vučić, utilizzando la sua personale macchina della propaganda, sta tentando di distruggere gli ultimi brandelli rimasti di stampa libera.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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