Nei giorni scorsi Aleksandar Vučić ha presentato il nuovo consiglio dei ministri davanti al parlamento, molti i nomi nuovi ma nei posti chiave restano le stesse persone di prima. Un’analisi
Aleksandar Vučić, incaricato di formare il nuovo governo serbo, ha cambiato quasi metà dei ministri del precedente esecutivo da lui guidato, ma ciò non sembra presagire stravolgimenti nella politica serba. Il paese rimane orientato verso l’integrazione europea, anche se è poco realistico aspettarsi un distacco radicale da Mosca a favore di una completa adesione alle posizioni di Bruxelles e Washington verso la Russia.
Se il nuovo governo dovesse rimanere in carica per l’intera legislatura, cioè per quattro anni, si troverebbe a svolgere almeno in teoria la parte più importante del lavoro richiesto per l’integrazione europea, incluso il miglioramento dei rapporti con il Kosovo. Ciò presuppone anche il cambiamento della Costituzione, nel cui preambolo è scritto in modo esplicito che il Kosovo fa parte della Serbia. La cancellazione del preambolo sarebbe però una mossa politica molto rischiosa e Vučić non sembra intenzionato ad assumersi il rischio.
La stessa coalizione di governo non presenta grosse sorprese. Il Partito progressista serbo (SNS) ha suggellato la coalizione con il Partito socialista della Serbia (SPS), al quale spettano tre ministeri (quanti ne aveva anche nel governo precedente). Vučić evidentemente ha ritenuto fosse preferibile mantenere l’SPS, tra altro il secondo partito serbo per numero di voti ottenuti, all’interno del governo, piuttosto che confinarlo all’opposizione.
Il nucleo del governo è invariato. Ai posti di vicepremier sono stati riconfermati il leader del SPS Ivica Dačić, la guida del Partito socialdemocratico della Serbia (SDP) Rasim Ljajić e due funzionari del SNS, Zoran Mihajlović e Nebojša Stefanović. Dačić preserva la posizione di ministro degli Affari Esteri mentre Ljajić rimane al ministero del Turismo e del Commercio. Riconferma anche per Stefanović agli Interni e per Mihajlović a Traffico e Infrastrutture. La continuità nell’importante dicastero dell’Energia, dove rimane Aleksandar Antić (SPS), lascia presagire che non ci saranno cambiamenti significativi in questo settore cruciale per i rapporti con la Russia.
Presentazione e spettacolo
Durante la presentazione del nuovo consiglio dei ministri al Parlamento, Vučić ha annunciato l’arrivo di “tempi d’oro” per la Serbia, anticipando che il nuovo governo riuscirà a risolvere le grandi questioni che il paese sta affrontando. Dichiarazioni analoghe erano state fatte anche tempo fa, ma le promesse, e le relative scadenze, vengono spostate da un anno con l’altro. Dalle accuse di temporeggiare sulle promesse, il governo si difende con i dati su un budget stabile, sulla crescita della produzione e del PIL, mentre l’opposizione debole e divisa non è ancora in grado di pareggiarlo, né in parlamento né sulla scena pubblica.
Poiché il blocco di governo ha ottenuto 160 dei 250 seggi complessivi del parlamento serbo alle elezioni anticipate tenutesi il 24 aprile di quest’anno, nessuno ha mai messo in dubbio la scelta del nuovo esecutivo. Vučić e l’SNS avrebbero potuto formare il governo senza nessuna difficoltà anche in tempi più rapidi, ma la decisione di temporeggiare non gli ha certo recato alcun danno politico. Al contrario, fra le fila di quella maggioranza dell'elettorato incline a riconoscere il potere in una sola persona, si è consolidata la convinzione che non ci sia nessun problema fintanto che il premier controlla la situazione.
Anche la discussione parlamentare sulla formazione del nuovo governo è stata più una sorta di spettacolo politico che Vučić e la sua squadra di propaganda hanno cercato di sfruttare per fare i conti con chi non è allineato, che un’occasione per discutere seriamente di questioni politiche ed economiche. Si ha l’impressione che la coalizione di governo abbia pianificato in anticipo di “calpestare” in parlamento un’opposizione debole, presentando il nuovo esecutivo e poi dichiarando la pausa estiva.
Mantenere alta la tensione ed esercitare una continua pressione sugli oppositori sono una constante politica del blocco di governo e anche uno dei motivi principali che hanno portato alle elezioni anticipate, svoltesi nonostante la coalizione di governo in quel momento godesse della maggioranza dei due terzi del parlamento. Vučić, alla conferenza stampa tenutasi il giorno prima della seduta parlamentare, ha dichiarato di aver indetto le elezioni per ottenere una maggiore stabilità politica, ma anche per evitare che venisse accusato dall’opposizione di non avere il sostegno degli elettori.
Che anche da questo punto di vista non ci saranno grossi cambiamenti, lo si è visto durante la seduta del parlamento dove è stata discussa la formazione del nuovo esecutivo. Vučić ha letto ininterrottamente per quasi sei ore la presentazione del nuovo consiglio dei ministri, restando in piedi davanti ai deputati del parlamento. Durante il proprio discorso, ha rimproverato alcuni dei deputati della coalizione perché distratti a guardare il cellulare. Parte dell’opposizione ha invece abbandonato l’aula, insoddisfatta perché la composizione del nuovo governo è stata resa nota solo 24 ore prima della seduta durante la quale l’esecutivo è stato nominato.
Nuovi volti
Durante la presentazione dei nuovi ministri l’attenzione dell’opinione pubblica si è concentrata sulla ministra per l’Amministrazione statale e l’autonomia locale Ana Brnabić, dichiaratamente omosessuale. I media hanno caratterizzato subito questa mossa come storica, e sia il premier che il governo hanno motivo di credere che la mossa venga accolta positivamente anche da Bruxelles e Washington. Dalla società civile fanno notare che sottolineare l’orientamento sessuale come una qualità importante non è certo un comportamento elogiativo.
Ana Brnabić è una candidata indipendente ma ha sempre sostenuto il premier e in passato ha già collaborato con lui. Pare quindi sicuro che Vučić non l’abbia proposta come ministra solo in quanto rappresentante della minoranza LGBT. Il fatto di essere omosessuale e di non nasconderlo gli è servito come una comoda “notizia di richiamo” da accompagnare alla formazione del nuovo governo serbo. La riforma dell’amministrazione e dell’autonomia locale fra l’altro è uno dei compiti più importanti che la Serbia deve realizzare per aderire all’UE, quindi Ana Brnabić avrà un compito assai difficile.
Nuovi volti del governo sono anche la ministra della Giustizia Nela Kuburović (SNS), il ministro dell’Istruzione Mladen Šarčević (candidato indipendente), il ministro della Cultura e dell’Informazione Vladan Vukosavljević (candidato indipendente), il ministro dell’Economia Goran Knežević (SNS), il ministro dell’Agricoltura Branislav Nedimović (SNS). Ministri senza portafoglio saranno Slavica Djukić Dejanović e Milan Krkobabić (entrambi della coalizione di governo). L’opposizione e il settore civile sostengono che la maggior parte di questi ha una scarsa biografia e poca esperienza professionale.
Sotto tiro è finito in particolare il ministro della Cultura Vukosavljević, che in passato si è occupato di vendita di immobili e di relazioni col pubblico. Dal 2013, quando l’SNS è arrivato al potere, è stato segretario comunale della cultura di Belgrado. La nomina di Vukosavljević, come pure la nomina di Šačević, proprietario di scuole private, a ministro dell’Istruzione, viene vista dagli intellettuali serbi come uno schiaffo alla comunità accademica.
Senza ministero sono rimasti l’ex ministro della Giustizia Nikola Selaković e il ministro dell’Economia Željko Sertić. Una sorpresa, perché si sa che sono uomini fidati del premier. I media però stanno già speculando che a Selaković spetterà il posto del direttore dell’Agenzia informativa di sicurezza (BIA) oppure quello del sindaco di Belgrado, mentre a Sertić potrebbe essere affidato un grosso ente, come l’Azienda elettrica della Serbia.
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