In due giorni la Serbia ha assistito a due stragi in cui sono morte 17 persone e parecchi feriti, di cui molti minorenni. Fatti inauditi finora che hanno messo il paese sotto shock. La cronaca degli eventi e il comportamento di media e politici dopo le stragi
La mattina del 3 maggio il tredicenne K. K. è entrato nella scuola che frequentava, “Vladislav Ribnikar”, nel centro di Belgrado, ha tirato fuori dallo zaino una pistola e ha sparato uccidendo un bidello e due studenti. Poi ha proseguito lungo il corridoio, ha ricaricato la pistola, è entrato nell’aula riservata alle lezioni di storia sparando all'insegnante e agli studenti.
Otto studenti e un bidello sono stati uccisi, mentre un’insegnante e sei studenti sono ricoverati in ospedale con lesioni di vario grado di gravità.
Dopo la sparatoria K. K. è uscito nel cortile della scuola, ha chiamato la polizia e si è consegnato. Nel suo zaino, oltre alla pistola calibro 9 con cui ha sparato, c’erano quattro bombe Molotov e un’arma di piccolo calibro.
Veselin Milić, capo della polizia di Belgrado, ha dichiarato che K. K. aveva pianificato la strage da tempo e che aveva un elenco degli studenti che intendeva uccidere.
Insieme a K. K. sono stati arrestati anche i suoi genitori. Il padre è sospettato di aver omesso di custodire le armi con la necessaria diligenza, mettendo così gravemente in pericolo la pubblica incolumità.
Il rumore delle notizie e il silenzio della sofferenza
È difficile tracciare la cronologia di notizie, dichiarazioni, disinformazioni e speculazioni susseguitesi quel giorno. Ed è ancora più difficile descrivere il clima di incredulità, shock e tristezza che si diffondeva nel paese mentre giungevano in continuazione le notizie sulla strage e sulle vittime.
Solo pochi media si sono comportati in modo professionale, gli altri hanno fatto a gara a chi era più veloce e dettagliato nel dare un ritratto del ragazzo assassino, riportando che era uno studente lodevole, proveniente da una buona famiglia da cui aveva ricevuto un’educazione spartana, maltrattato a scuola, che insieme al padre si esercitava al tiro a segno e che aveva preso le armi da una cassaforte custodita in casa.
Allo stesso tempo però, molti media hanno continuato a riportare le dichiarazioni presumibilmente rilasciate dalla polizia, secondo cui il ragazzo sarebbe un malvagio insensibile e scaltro, consapevole del fatto che, in quanto minorenne, non è penalmente perseguibile e quindi non può finire in carcere. Alcune di queste informazioni sono state diffuse dal presidente Aleksandar Vučić. Non è la prima volta che Vučić rivela pubblicamente dettagli emersi nell’ambito delle indagini, dettagli che in questo caso riguardano anche la vita privata di una famiglia.
Una volta concluso il sopralluogo giudiziario, i cittadini hanno iniziato a radunarsi spontaneamente davanti alla scuola dove è avvenuta la sparatoria. Il giorno dopo la tragedia, l'area circostante la scuola era sommersa da studenti di diversi istituti scolastici della capitale che si sono organizzati sui social per venire a esprimere cordoglio. Da giorni ormai nelle strade intorno alla scuola, di solito piene di bambini e rumori provenienti dai locali, regna un silenzio surreale. I cittadini, i genitori e i bambini continuano a recarsi davanti alla scuola, portando fiori bianchi, giocattoli e dolci, scrivendo messaggi e accendendo candele.
I cittadini serbi sono sotto shock perché, anche se in passato in Serbia si erano verificati diversi omicidi multipli, questa è la prima volta che una strage accade all’interno di una scuola. Nella regione regna lo sconcerto, giorni di lutto sono stati dichiarati anche nel vicino Montenegro e in Bosnia Erzegovina. In tutta la regione, da Zagabria a Pristina, vengono accese candele in memoria dei ragazzi uccisi.
Negli ultimi giorni sono circolate diverse ipotesi sui motivi alla base della tragedia accaduta a Belgrado, da quelle che insistono sull’eredità violenta delle guerre degli anni Novanta, a quelle secondo cui i media controllati dal governo e la stessa leadership al potere quotidianamente inviano messaggi che banalizzano, e addirittura incoraggiano la criminalità, passando per affermazioni che pongono l’enfasi sul costante aumento della violenza tra coetanei e sul degrado del sistema scolastico e dei valori tradizionali. L’ormai ex ministro dell’Istruzione Branko Ružić ha persino dichiarato che la strage nella scuola “Vladislav Ribnikar” è conseguenza dell’esposizione a “videogiochi e valori occidentali”.
Sembra che, in questa cacofonia di opinioni e analisi, la voce meno ascoltata sia quella degli psicologi che hanno messo in guardia sul cosiddetto fenomeno del copycat , per cui la copertura mediatica degli omicidi di massa aumenta la possibilità che simili crimini si ripetano nei giorni successivi. Uno scenario a cui abbiamo assistito all’indomani della tragedia di Belgrado.
Un’altra strage
La mattina dopo la strage nella scuola “Vladislav Ribnikar”, una ragazza quindicenne è entrata nell’edificio del liceo “Ruđer Bošković” – che aveva frequentato per un certo periodo, per poi abbandonarlo di propria iniziativa – e con un coltello da cucina ha aggredito un suo coetaneo e poi anche un’insegnante che ha cercato di fermarla. Per fortuna, nessuno è rimasto gravemente ferito. Poi nel corso della giornata si sono verificati diversi incidenti all’interno di alcuni istituti scolastici della capitale come tentativi di imitare la strage compiuta nella scuola “Ribnikar”.
Lo stesso giorno la polizia è dovuta intervenire venticinque volte in diverse parti del paese per via del – come ha detto il presidente Vučić – “comportamento orrendo dei giovani che imitano l’assassino”, ma anche a causa delle false denunce di presunti incidenti.
Poi nella serata è accaduta una nuova tragedia. Nel villaggio di Dubona, nei pressi di Mladenovac, a poca distanza da Belgrado, Uroš Blažić, ventuno anni, dopo una lite ha aperto il fuoco con un’arma automatica, per poi continuare la sparatoria nei vicini villaggi di Malo Orašje e Šepšin. Ha ucciso otto persone e ferito altre tredici. La vittima più giovane aveva quindici anni, quella più vecchia venticinque.
La caccia all’assassino è proseguita per tutta la notte, con dispiegamento di circa seicento agenti delle unità speciali e degli elicotteri della polizia serba, e si è conclusa la mattina successiva con l’arresto di Blažić. Durante il sopralluogo nella sua casa sono state ritrovate numerose armi detenute illegalmente. Anche questa volta il presidente Vučić ha rivelato diversi dettagli emersi dalle indagini, raccontando che, alla domanda della polizia sul perché abbia sparato, l’assassino ha risposto ripetendo una sola parola: disprezzo.
Alla fine Vučić ha definito questa seconda strage come un atto terroristico, motivando tale spiegazione col fatto che sulla maglietta indossata dall’assassino c’era scritto “Generazione 88”, una scritta che, secondo il presidente, allude all’ottava lettera dell’alfabeto latino e al saluto nazista Heil Hitler. Quando poi è emerso che quella scritta è legata ad una semplice gita scolastica, i media, nel tentativo di rimediare ai danni causati dal commento di Vučić, hanno spostato il discorso su K. K., e ora scrivono che in realtà l’autore della prima strage ammirava Hitler. Questo è solo uno dei tanti esempi dell’informazione schizofrenica su simili tragedie che viene incoraggiata dai commenti della leadership al potere.
Video di Massimo Moratti
Misure governative e proteste dell’opposizione
Non è passato inosservato il fatto che nessuno dei vertici dello stato, né il presidente né la premier, si è recato sul luogo della strage di Belgrado e quella di Mladenovac per esprimere il proprio cordoglio insieme ai cittadini. Davanti al cancello della scuola di Belgrado c’erano solo Branko Ružić, ex ministro dell’Istruzione, Danica Grujičić, ministra della Salute, e il patriarca della Chiesa ortodossa serba Porfirije. Aleksandar Šapić, sindaco di Belgrado, ha deposto una corona di fiori in ricordo delle vittime sotto la finestra del suo ufficio nella sede del consiglio comunale, situata a poche centinaia di metri dal luogo del massacro.
Nel frattempo il governo ha approvato una serie di misure in risposta alle stragi della scorsa settimana. La legge sulle armi e le munizioni sarà modificata, verranno introdotte sanzioni più severe ed è stato stabilito un termine di trenta giorni entro cui i cittadini possono restituire le armi detenute illegalmente senza incorrere in sanzioni. Il presidente Vučić ha proposto di abbassare il limite di età per la responsabilità penale da 14 a 12 anni e ha persino suggerito di voler ripristinare la pena di morte, ma – come affermato da lui stesso – è stata la premier Brnabić a dissuaderlo dal realizzare tale idea poiché in contrasto con gli standard europei.
Il susseguirsi di messaggi confusi, spesso anche sbagliati, che ha segnato i giorni successivi alle stragi, ha spinto l’opposizione e molti cittadini a radunarsi dopo i giorni di lutto nazionale e ad organizzare cortei a Belgrado e in altre città di tutto il paese per protestare contro la violenza.
Prima dell’inizio della protesta, durante uno dei suoi discorsi il presidente Vučić ha dichiarato che l’opposizione è “la peggiore feccia che vede la sua unica opportunità politica nella tragedia della Serbia”, per poi aggiungere: “Bisognerà sempre lottare contro queste iene, per la salvezza e il futuro del nostro paese!”. Così ben presto l’attenzione si è spostata dai crimini alla politica.
L'opposizione chiede le dimissioni dei membri dell’Ente regolatore per i media elettronici (REM), sospendere tempestivamente i programmi dei media che promuovono la violenza e destituire i ministri su cui oggettivamente grava una parte della responsabilità delle recenti stragi. Una delle richieste dell’opposizione è stata esaudita alla vigilia della protesta: il ministro dell’Istruzione Branko Ružić ha rassegnato le dimissioni.
Contrariamente agli annunci dei media di regime, che prevedevano caos e violenze nelle strade, i cittadini, che in massa sono scesi in piazza per protestare, hanno sfilato per le strade di Belgrado in un silenzioso corteo commemorativo, mentre a Novi Sad dal ponte hanno gettato fiori nel Danubio, esprimendo così il proprio dolore per le vittime.
La Serbia è ancora sotto shock e uno dei messaggi che ricorderemo dopo le recenti stragi è quello scritto all’ingresso della scuola Vladislav Ribnikar: “Parlate con i bambini”.
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