Un testo duramente critico nei confronti della leadership serba e della Republika Srpska dello scrittore montenegrino Andrej Nikolaidis divampa sui media e tra le istituzioni dei tre Paesi. A farne le spese alla fine il direttore della Biblioteca Nazionale della Serbia, Sreten Ugričić che viene purgato

02/02/2012 -  Ana Ljubojević Novi Sad

All'inizio del 2012 in Republika Srpska, si sono celebrati in pompa magna i venti anni di esistenza dell'entità serba della Bosnia Erzegovina. Il giorno prima dell'avvio delle cerimonie, previste per il 9 gennaio, durante i controlli alla sala “Borik” di Banja Luka dove si sarebbero tenute queste ultime, le forze dell’ordine hanno rinvenuto una borsa piena di fucili, armi leggere ed esplosivo. Boško Stanišljević, addetto ai lavori dell’allestimento della sala, si è consegnato alla polizia confessando che le armi erano sue, dopodiché è stato accusato di terrorismo e trasferito nel carcere di Tunjice.

Alla cerimonia del 9 gennaio scorso, poi regolarmente tenutasi, era presente il vertice dell’entità serba della Bosnia Erzegovina guidato dal premier Milorad Dodik, nonché i massimi esponenti della vita politica, culturale e religiosa della Serbia: il presidente Boris Tadić, a cui è stata assegnata una delle dieci onorificenze della Republika Srpska, il patriarca Irinej, il premier Mirko Cvetković e il ministro dell’Interno Ivica Dačić.

Le celebrazioni dell’anniversario e l’origine stessa della Republika Srpska continuano a suscitare polemiche. Così come i rapporti tra la Serbia e questa parte della Bosnia Erzegovina, giudicati da molti troppo “alla Milošević” e sospettati di avere come obiettivo la destabilizzazione della sovranità della Bosnia Erzegovina stessa.

Scoppia il caso Nikolaidis

Questi i fatti che spingono Andrej Nikolaidis, scrittore e consigliere del presidente del Parlamento montenegrino, l'11 gennaio scorso a chiedere l’abolizione di “un'entità fondata sul genocidio” e ad accusare la politica imperialista della Serbia. Il suo testo intitolato “Cosa rimane della Grande Serbia”, pubblicato sul portale web “e-novine” , parla “dell’incapacità morale” di sopravvivere da parte della Republika Srpska qualora la Bosnia Erzegovina trovasse la forza di compiere, dal punto di vista della civiltà, un passo in avanti.

La proposta è quella di abolire ogni divisione su base etnica e religiosa. Nikolaidis nel suo articolo scrive che la Republika Srpska è una macchina “assemblata e programmata a Belgrado, da dove è anche guidata”. Da ultimo, l’autore mette sotto accusa il tentativo di Belgrado di legittimare l’autonomia e un’eventuale indipendenza della Republika Srpska e nello stesso tempo di delegittimare l’indipendenza del Montenegro. Il testo si conclude esprimendo la convinzione che a Belgrado esista “un progetto chiaro e preciso di supremazia regionale, mentre in Montenegro e in Bosnia Erzegovina esistono solo confusione, corruzione e debolezza delle élite”.

Un testo in realtà che non dice molto di nuovo rispetto a posizioni già da altri espresse. Contiene però il seguente passaggio: “Un gesto di civiltà sarebbe se Bole [Boško Stanišljević, il presunto pianificatore dell’attentato] avesse usato la dinamite e i fucili che teneva nascosti, nella sala dove i capi politici, spirituali e artistici celebravano il ventennio dell’esistenza della Republika Srpska. Se, per esempio, Bole fosse stato un lavoratore scontento, che aveva capito che gli antagonismi nazionali e religiosi sono solo una maschera dietro la quale l’élite nasconde l’antagonismo fondamentale di ogni società, cioè quello tra le classi sociali. Se, per esempio, Bole avesse detto: ‘Sono un serbo, ma sono anche un lavoratore, e perciò farò saltare in aria quelli che mi hanno derubato’ – non avrebbe fatto un gesto di civiltà? Di più, sarebbe stata anche una giustizia poetica”

Nikolaidis con il suo articolo ha voluto ribellarsi alla casta politica attuale, che secondo lui potrebbe diventare simile a quella degli anni '90. Ma il suo “non ci sto” si è trasformato presto, nelle interpretazioni dei media e del governo serbo, in “promozione del terrorismo”. Lo scandalo è scoppiato soprattutto quando molti giornali criticando l’articolo hanno riportato solo il passaggio citato sopra, prescindendo dall’articolata ironia del testo di Nikolaidis.

Accuse e difese per Nikolaidis

A ciò è seguita la denuncia dell’Associazione dei giornalisti della Republika Srpska per favoreggiamento del terrorismo, ma anche una nota di protesta del governo serbo a quello montenegrino, inviata dal rappresentante dell’Ambasciata serba di Podgorica al ministero degli Affari Esteri del Montenegro. Ramiz Bašić dal ministero montenegrino ha però sottolineato che “il ministero ha constatato che le opinioni di Nikolaidis [...] in nessun modo riflettono le posizioni ufficiali del Montenegro, delle sue istituzioni e dei suoi rappresentanti”. Nikolaidis ha inoltre dichiarato che il suo testo è stato usato in modo sbagliato e che l’origine delle tensioni sta nella politicizzazione e nell'interpretazione faziosa del testo.

A difendere lo scrittore si sono schierati il PEN center del Montenegro, il Comitato di Helsinki del Montenegro e della Serbia, i partiti della maggioranza governativa del Montenegro e l’Associazione degli scrittori indipendenti. In più, un Forum di scrittori di Belgrado ha pubblicato una dichiarazione nella quale si chiedeva la cessazione della “caccia a Nikolaidis” e più libertà d’espressione. L’appello di questo gruppo d’intellettuali per fermare gli attacchi contro Nikolaidis è stato però interpretato, in una feroce campagna mediatica, come diretto sostegno al presunto attentatore contro i capi dello stato serbo.

Dal caso Nikolaidis al caso Ugričić

Tra i firmatari dell'appello una quindicina di eminenti scrittori, tra cui anche Sreten Ugričić, direttore della Biblioteca Nazionale della Serbia. Ugričić, esperto di editoria e documentarista, è stato nominato in quel ruolo dall’allora governo Đinđić. La nomina non era basata su criteri politici, Ugričić infatti non apparteneva a nessun partito e in più gli era stata lasciata piena autonomia nel dirigere questa importante istituzione.

Nell’infuriare delle polemiche, rapidamente la "questione Nikolaidis" si è trasformata nella "questione Ugričić". Non importa che Ugričić abbia ritirato la firma poco dopo, scusandosi e chiarendo che il suo appoggio era riservato soltanto all’idea di libertà di stampa e di parola, e non alle idee di Nikolaidis. Il ministro dell’Interno Ivica Dačić, a cui tra l’altro non spettava decidere o meno sulle dimissioni di Ugričić, si è sentito chiamato in causa. In una dichiarazione rilasciata al tabloid “Press” il ministro Dačić ha assicurato che “chiederà personalmente le dimissioni di Ugričić. Lui può sostenere [le idee di Nikolaidis] dalla prigione e non dalla biblioteca. [...] Il suo [atto] è un appoggio al terrorismo”. La situazione si è poi risolta in meno di ventiquattro ore quando il governo, durante una seduta notturna, ha chiesto urgentemente le dimissioni di Ugričić.

Ugričić ha espresso la propria opinione durante un dibattito intitolato “Cosa rimane della libertà?” organizzato dal già citato Forum degli scrittori: “Ho appoggiato il diritto di ognuno di voi ad avere un’opinione. In questo consiste il mio terrorismo. Perché questo è il vero pericolo mortale per un’élite politica che negli ultimi dieci anni ha soltanto cambiato volto, ma non carattere”. Il Partito democratico del Presidente Tadić sulla vicenda ha preferito tacere.

Centinaia di firme in sostegno a Ugričić

Nel frattempo però, il Forum ha chiesto al governo della Serbia di revocare la decisione di licenziare Sreten Ugričić. Ed è stato promosso un altro appello nel quale il Forum chiede ad “altri scrittori, artisti e intellettuali della Serbia, a prescindere dalla loro opinione politica sulla petizione stessa [per Nikolaidis], di riflettere sulle circostanze nelle quali è stato punito un impiegato statale e lavoratore culturale di notevole esperienza e prestigio, per aver espresso delle opinioni personali; di riflettere anche sulle gravi conseguenze che questa mozione del governo potrebbe avere sulla libertà d’espressione, d’associazione e sulla creazione artistica”. Questa nuova petizione è stata firmata da oltre 1000 cittadini , tra cui moltissimi noti scrittori, professori, scienziati e artisti.

Nelle prossime settimane nessunoforse ricorderà il passaggio ardito del testo di Nikolaidis, l'intera vicenda e il licenziamento di Sreten Ugričić rischia però di avere pesanti conseguenze sulla libertà di espressione.


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