Un’artista talentuosa che trascorse una vita di passioni e viaggi, tra la Belgrado, Parigi, Roma e New York. A Milena Pavlović Barilli, nata il 5 novembre del 1909, la scrittrice Mirjana Mitrović ha dedicato due libri, uno di recentissima uscita. Le abbiamo quindi chiesto di raccontarci la vita breve ma intesa dell'artista serba
Milena Pavlović Barilli fu una pittrice e poetessa serba che lasciò una particolare impronta nell'arte dell'avanguardia europea della prima metà del XX secolo, con una ricchezza di idee, di poeticità e di colori. Aveva una sensibilità delicata e esprimeva tutta la sua anima con dubbi, domande e risposte, sulle sue tele, dando vita a composizioni enigmatiche, attraverso simboli, metafore e visioni. Il suo interesse artistico era di larga scala: disegni, grafica, acquerelli, pitture a tempera e a olio fino a versi e poesie.
Nata il 5 Novembre 1909 a Požarevac, in Serbia, come unica figlia di Danica Pavlović e Bruno Barilli. La madre proveniva da una famiglia di commercianti benestanti, discendente della dinastia reale serba dei Karađorđević. Il padre, Bruno Barilli, proveniva da una nota famiglia artistica di Parma.
Milena trascorse l'infanzia in Serbia, nella casa dei nonni, accudita amorevolmente dalla mamma, mentre trascorse la giovinezza viaggiando per l’Europa, studiando pittura presso prestigiose Accademie di Belle Arti (Monaco di Baviera, Londra, Parigi), grazie al suo straordinario talento e a qualche borsa di studio statale. Il maggior aiuto economico lo ricevette dalla madre e dalla famiglia materna. I rapporti con il padre, dopo la separazione dei genitori, erano quasi inesistenti, per poi essere riallacciati nel momento in cui Milena intraprese il suo cammino artistico e la sua vita in autonomia, stabilendosi a Parigi, la città dell’arte per antonomasia, centro intellettuale ed artistico dell’Europa, dove visse fino al 1939.
In questi anni Milena importerà nei suoi dipinti simboli e concetti appresi a Parigi, soprattutto dall’arte di Giorgio de Chirico. La linea diventò l’elemento dominante dei suoi dipinti, con colori delicati e tenui. Jean Cassou in una sua critica alla mostra di Parigi, di Milena disse che “possiede la chiave dei sogni della pittura”.
Sue esposizioni individuali furono organizzate a Belgrado, Roma, Londra, Parigi, e poi anche a New York e Washington.
Milena si trasferì in America all’inizio della Seconda Guerra mondiale, da sola, per cercare fortuna in quel continente tanto sognato. Ebbe successe anche lì, il suo lavoro ottenne diversi riconoscimenti, collaborò con prestigiose gallerie e con riviste artistiche, facendosi conoscere sempre di più nelle cerchia artistiche. Le illustrazioni realizzate per riviste di moda erano eccezionali e manifestavano lo spirito della sua pittura. A Milena si rivolse anche il compositore Gian Carlo Menotti, chiedendole di disegnare i costumi per il suo balletto “Sebastian”.
La sua arte surrealista era all’avanguardia, mentre il suo talento e la sua dedizione al lavoro le permisero di raggiungere molti obiettivi, ma, purtroppo, morì presto, a soli 36 anni a New York, per problemi cardiaci, alla fine della guerra, il 6 marzo 1945.
Abbiamo intervistato l’autrice Mirjana Mitrović, in occasione dell’uscita del suo secondo libro dedicato proprio a Milena, Come una grande bussola (Kao veliki kompas), pubblicato dalla Fondazione La Casa di Milena e Galleria Milena Pavlović Barilli, Požarevac, 2021.
Il suo primo libro dedicato a Milena Pavlović Barilli, Autoritratto con Milena, è uscito nel lontano 1990, e poi, in una nuova edizione integrata nel 2009, per la casa editrice Laguna di Belgrado. Quel libro presenta una piacevole sorpresa per il panorama letterario serbo e jugoslavo di quel periodo. I lettori hanno avuto modo di conoscere meglio i dettagli della vita breve ed intensa di questa pittrice serba. Come è nato quel libro? Quando ha deciso di scrivere proprio di Milena? Chi era, appunto, Milena Pavlović Barilli?
Questa domanda me la sono fatta per la prima volta a sette anni, dopo che mio padre mi portò ad una mostra dei disegni di Milena fatti quando lei era ancora una bambina. Più tardi, la Galleria di Milena nella sua e nella mia città natia Požarevac, è diventata per me un luogo nel quale trovavo rifugio. I suoi quadri mi avevano incantato e avevano fatto sì che io non avessi più paura della mia immaginazione. Per esprimermi io ho trovato la letteratura, e quando ho deciso di scrivere qualcosa di serio, mi è venuto spontaneo scrivere una storia proprio sulla vita di Milena. Credevo di conoscerla abbastanza, ma sono riuscita ad affrontare la complessità del compito soltanto grazie allo zelo giovanile e alla passione infinita. Senza le quali, forse, non avrei nemmeno iniziato un progetto così importante.
La casa familiare della madre di Milena, di Danica Pavlović, fu soltanto uno degli innumerevoli indirizzi di Milena. Andava a scuola a Belgrado e a Monaco di Baviera, una parte della sua vita la trascorse in Italia, il paese natale di suo padre Bruno Barilli, la sua prima mostra individuale la tenne a Londra, scelse Parigi come sua città, anche se prediligeva la Spagna; gli ultimi anni della sua vita li trascorse invece a New York.
Mi fu ben presto chiaro che l’immagine che avevo di quella ragazza malinconica e talentuosa, dai capelli neri e dalle dita sottili non era sufficiente per scrivere un libro. Iniziai a fare delle ricerche, che a quel periodo, prima dell’era internet, non era semplice. Le ricerche sono durate alcuni anni.
Solo quando il romanzo fu finito e quando uno dei più grandi editori nel nostro paese decise di pubblicarlo, benché il mio nome fosse completamente sconosciuto ai lettori, capii che esisteva un gruppo, magari piccolo ma importante, di amanti e di stimatori dell’arte di Milena, al di fuori degli storici dell’arte.
Da allora ad oggi, in questi trent’anni, la situazione è cambiata molto. Milena è diventata una delle icone più rilevanti della cultura serba. La sua arte è atemporale, addirittura oggi comunica meglio con il pubblico e soprattutto con le generazioni dei più giovani, rispetto al rapporto che ebbe con i suoi contemporanei. E questa, a mio avviso, è una caratteristica di tutti i grandi artisti.
Il libro contiene quattordici capitoli, ciascuno di essi porta il lettore nei paesi dove Milena ha abitato durante i suoi studi di pittura: Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, America. L’idea è originale, le sequenze sono quasi cinematografiche, il lettore così è facilitato nel suo viaggio all’interno della storia e della vita di Milena. Quale fu la sua esperienza all’estero e come fu accolta dall’élite artistica europea di quell’epoca?
Milena fece il suo primo viaggio da Roma verso Požarevac ancora prima di nascere, quando sua madre Danica, già incinta, tornò nella casa dei genitori per dare alla luce la sua bambina proprio in quel luogo. Poiché il matrimonio dei genitori di Milena, contratto in seguito ad un amore sincero e passionale, non durò molto e non poté comunque assicurare una dimora fissa e stabile, come certamente sperava la stessa Danica, fu la madre di Milena a prendersi cura di lei nei primi anni della sua vita, dedicandosi completamente alla bambina e cercando di valorizzare al massimo il suo talento, di cui si accorsero molto presto, e di farla studiare.
Milena Pavlović BarilliImmagine
Sotto le mie palpebre
tu sei la luna nel giardino,
tu sei la nebbia nel fiume
tu sei l’unico involtato nei sogni
nell’eco dell‘infanzia
e nel pianto.
Tu sei l’onda che supera tutto
cercando le stelle
per il silenzio del cielo.
È arrivata l’ora.
Il passaggio è concluso.
La luna ci ha accompagnati
con mille lacrime gelate.
Sola.
Unica.
Bianca.
Bisogna permanere.
Bisogna permanere.
Con due chiodi nelle pupille.
Affinché gli occhi non si chiudano mai.
Affinché non si senta la stanchezza mai più.
Quando Milena aveva tredici anni, dalla cittadina Požarevac si trasferirono a Belgrado, dove fu inserita come wunderkind nell’Accademia delle Belle Arti. Studi che portò a termine a diciassette anni. Da allora, Milena fu sempre in un certo senso accompagnata da quel senso di distacco evidente che esisteva tra il suo talento e la sua giovane età. Anche a Monaco di Baviera, dove la madre la portò a studiare nella classe di Franz von Stuck e Hugo von Haberman, fu non solo la più giovane, ma una delle poche donne in classi composte prevalentemente da uomini.
La sua prima mostra individuale e alcune esposizioni di gruppo le diedero il titolo della più giovane pittrice moderna, mentre la sua prima mostra individuale a Londra, lasciò stupito il pubblico prima di tutto per il fatto che Milena fosse così giovane, e in più donna, con un numero di quadri realizzati così importante e promettente.
Purtroppo, in tutti i suoi viaggi e viaggi-studio all’estero, soffriva di problemi di salute. Nell’infanzia le fu diagnosticato un difetto al cuore, prima di compiere vent’anni fu colpita anche dal tifo e, inoltre, ebbe due interventi chirurgici alla spina dorsale. Solo quando Milena compì ventidue anni, la madre le permise di essere più autonoma e di vivere da sola. Danica allora tornò in Serbia, a Požarevac, e Milena si stabilì per un po’ a Parigi. In quel periodo la ragazza riallacciò i rapporti, per un periodo quasi inesistenti, con il padre Bruno Barilli, e così per alcuni anni visse tra Parigi e Roma, spostandosi di tanto in tanto. Quello spirito vagabondo lo ereditò da suo padre.
Dopo esattamente trent’anni, ossia quest’anno, viene pubblicato un altro libro da che lei ha scritto e curato su Milena: Come una grande bussola. Il corpo di questo libro è composto dalla ricchissima eredità epistolare di Milena, che si trova nella Galleria Milena Pavlovic Barilli a Požarevac. Che cosa ha scoperto nelle lettere di Milena e quale mondo le è stato svelato dal materiale epistolare che ha avuto modo di consultare in originale? Si tratta di lettere inviate e ricevute dai genitori, dagli amici e da alcune persone famose a livello internazionale. Chi erano gli intellettuali che tennero corrispondenza con Milena?
Molti dubbi che avevo leggendo la corrispondenza tra Milena e i suoi genitori, mi sono stati chiariti nel momento in cui ho letto il volume Casa Barilli, una famiglia di artisti tra Ottocento e Novecento, curato da Franscesco Borocelli, pubblicato a Parma nel 1997. Il nonno paterno di Milena, Cecrope Barilli, fu un pittore stimato e di successo. Lui fece, per esempio, un bel ritratto della nuora Danica, che oggi si trova nella Galleria a Požarevac. Di Cecrope si diceva che avesse due anime, due nature, una che nella prima parte della vita lo spinse a lottare per l’unità d’Italia, di andare poi a Parigi per studiare e vivere una vita all’insegna dell’avventura, e l’altra che nella seconda metà del suo cammino lo portò a sposarsi, ad avere tre figli e a diventare il direttore dell’Accademia delle Belle Arti di Parma.
Suo figlio Latino, anch’egli pittore, ereditò dal padre quell’indole tranquilla, mentre il figlio maggiore, Bruno, quella più irrequieta e lo spirito d’avventura. Bruno divenne compositore e critico musicale, nonché giornalista. Il terzogenito di Cecrope Barilli, Arnaldo, nel suo libro “I saggi di Parma” scriveva di suo fratello Bruno: “Non sapevo mai dove fosse mio fratello. Quando pensavo che si trovasse a Roma, lui invece era a Parigi, quando credevo che fosse a Parigi, lui stava a Graz, Perugia, Budapest…”
Bruno Barilli fu un gran sostenitore della rivoluzione non solo artistica ma anche di quella etica, come ricordava il suo amico Roberto Rossellini, aggiungendo che quell’atteggiamento “gli fece avere gli amici più veri, ma anche degli acerrimi nemici”.
Un personaggio così non poteva essere un padre di famiglia come si doveva e di cui aveva bisogno Danica Pavlović. Si separarono, e in seguito al divorzio tra di loro ci fu un periodo di silenzio. Tuttavia, quando Milena crebbe e confermò il suo talento artistico in occasione delle mostre a Londra e a Parigi, Danica capì che era il momento giusto per far incontrare figlia e padre, dopo tanti anni. Appena incontrati, Milena e Bruno sentirono di avere un’incredibile feeling non solo grazie ai legami di sangue, ma anche per un’eredità artistica e spirituale.
Inaspettatamente, tra gli ex-coniugi si ricreò un bel rapporto di tenera amicizia e di preoccupazione comune nei confronti dell’unica figlia. Dopo anni di avvenimenti straordinari e drammatici che segnarono la loro vita, gli anni della guerra, gli anni della separazione forzata, della lontananza in cui Milena visse da sola, la famiglia si è infine riunita tristemente al cimitero Testaccio di Roma, dove tutti e tre sono stati sepolti.
Milena proveniva da una famiglia appartenente alla classe dei ricchi commercianti serbi ed era apparentata con la famiglia reale dei Karađorđević. Quel legame di sangue e quelle conoscenze negli alti ceti della società serba d’inizio del XX secolo aiutarono in qualche modo Milena nel suo percorso formativo e nella sua vita in generale? Sapeva approfittarne? E cosa le consigliò in quel senso il vecchio amico, lo scultore, Ivan Meštrović?
È vero, la madre di Milena, Danica Pavlović proveniva da una benestante e stimata famiglia di commercianti, la quale viveva in una provincia serba. Le famiglie di questo ceto nel periodo di notevole entusiasmo dopo la liberazione della Serbia [dall’occupazione ottomana], ci tenevano tanto alla scolarizzazione e all’istruzione dei propri figli. Il commerciante di tessuti Stojan Pavlović aveva cinque figli maschi e una figlia femmina, la più giovane, Danica. Tutti loro impararono a suonare uno strumento e insieme formarono un’orchestra familiare. Di tutti i figli, Danica mostrò il maggior talento per la musica, e così, grazie all’aiuto della famiglia e ad una borsa di studio statale, andò a Monaco di Baviera per studiare pianoforte e canto. Lì conobbe Bruno Barilli che all’epoca studiava per diventare dirigente d’orchestra.
La borsa di studio di Milena fu concessa su proposta dell’allora re della Serbia, Petar I Karađorđević, parente della madre di Milena. La defunta moglie di questo re e la madre dei suoi figli, era la sorella di Elena di Savoia.
Dopo il divorzio dei genitori e dopo la fine della Prima Guerra mondiale, Danica e Milena vissero alla Corte del figlio del Re Petar, Aleksandar Karađorđević, il primo re jugoslavo. Lì, alla corte, nella sala cinematografica, Milena si avvicinò per la prima volta al cinema e se ne innamorò, e le influenze di questo suo interesse per il film lasciarono tracce nella sua arte, soprattutto nei suoi primi lavori su tela. Tuttavia, i rapporti di parentela con la famiglia reale non furono di particolare aiuto alla giovane Milena. Sua madre Danica era una donna molto bella e altrettanto orgogliosa e entrò in conflitto con il re che insisteva affinché lei si sposasse di nuovo, dopo la separazione da Bruno. Il re non aveva comprensione per le donne divorziate, a differenza dei genitori e dei fratelli di Danica che le offrirono il loro massimo sostegno e supporto morale ed economico.
In una lettera firmata dal grande scultore Ivan Meštrović, indirizzata a Milena in occasione della sua prima mostra individuale a Belgrado, leggiamo il suo consiglio di invitare alla sua mostra “certe persone”, non nominandole ma indicando senz’altro il re e la regina. Non ci sono prove che Milena lo fece per davvero, ma si sa che nessuno di loro si presentò alla mostra di Milena.
Come era il contesto sociale, culturale e politico nel periodo in cui Milena viveva? Nel suo libro si scopre una parte della storia serba, forse meno conosciuta ai più giovani lettori d’oggi, il che potrebbe essere interessante per tutti coloro che magari conoscono meno la storia della Serbia e della Jugoslavia nei primi decenni del XX secolo, tra le due guerre mondiali.
Nel mio libro Come una grande bussola ho inserito anche una storia che si nasconde dietro un telegramma trovato nel materiale presente nella Galleria di Požarevac. Milena lo ricevette dalla contessa Jelena Petrovna Romanov, e il motivo per scriverlo fu l’attentato a suo fratello, il re jugoslavo Aleksandar. Quella contessa era la figlia del re Petar e della contessa Zorka. Il nome Jelena le fu dato in onore della zia materna, Elena di Savoia, la regina d’Italia. Il cognome Romanov le venne dato nel momento in cui diventò la moglie del Gran Conte russo Romanov. Nel corso della Rivoluzione d’ottobre in Russia lei riuscì a tornare in Serbia, da suo padre, e quindi organizzò un ospedale militare mobile, al seguito dell’esercito serbo durante la Grande Guerra, durante la quale si dedicò completamente alla cura dei feriti sul fronte.
Il padre di Milena, Bruno, ebbe l’occasione di incontrare questa contessa mentre faceva l’inviato di guerra per il Corriere della Sera. Milena era solo una bambina in quel periodo. Vent’anni dopo, la Grande Guerra gettò un’ombra oscura sul suo viaggio intrapreso, e tanto desiderato, verso New York. A causa della guerra, ovviamente la posta non funzionava bene e lei non ebbe contatti con i genitori per quattro lunghi anni, e nemmeno loro ebbero notizie di lei.
Qual era la posizione delle donne in quel periodo in Serbia? Potevano andare a scuola, formarsi, coltivare i propri interessi, essere autonome, oppure erano legate alle faccende domestiche?
Certamente, in tutta la prima metà del XX secolo, dalle donne si aspettava che rispettassero i ruoli tradizionali, il che non valeva soltanto per la Serbia patriarcale o per la Germania conservatrice. Anche il professor Franz von Stuck ruppe proprio con Milena la sua rigida regola vigente, accogliendola nella sua classe composta solo di studenti maschi.
Milena spesso soffriva per il fatto che la gente maggiormente si interessava a lei come ad una donna che dipinge, e non in quanto un’artista seria.
Facendo ricerche sulla famiglia di Milena, dalla parte materna, ho notato che nella generazione della madre di Milena, molte famiglie di piccola borghesia e quelle di commercianti benestanti facevano studiare le loro figlie, ma poi, dopo gli studi, quelle stesse famiglie non sapevano, e nemmeno lo Stato, cosa farsene di quelle ragazze colte ed istruite. Esse difficilmente potevano avere un impiego pubblico. Anche la stessa Milena, a seguito dal suo ritorno da Monaco, cercò un lavoro come insegnante d’arte, ma le risposero che non c’era posto in nessuna delle scuole medie e superiori in Serbia. Si trattò sicuramente di una grande perdita per le scuole e per lo stato ma, dalla prospettiva odierna, anche un vantaggio per Milena, in quanto poté dedicarsi esclusivamente alla sua arte. Sugli esempi delle zie e di altre parenti di Milena, anche sullo stesso esempio della madre di Milena, ho visto che le donne istruite e auto-consapevoli, contraendo il matrimonio, entravano di nuovo in un modello patriarcale, rivestendo i ruoli tradizionali, nel quale o soffrivano profondamente e si ammalavano o decidevano di divorziare, assumendosi il rischio di essere condannate e giudicate, in modo silenzioso ma costante, da parte della società nella quale vivevano.
Perché Milena fu dimenticata per tanto tempo, soprattutto nella Jugoslavia socialista, e quale posto occupa oggi nella storia dell’arte serba?
Dalle lettere che, dopo la morte di Milena, sua madre riceveva ed inviava, ho realizzato che cosa era successo. Milena morì a New York nel marzo del 1945, alla fine della II Guerra Mondiale. In quel momento sua madre si trovava nella Jugoslavia comunista, dall’altra parte della Cortina di ferro. La parentela con la famiglia Karađorđević divenne un problema serio, poiché la dinastia reale fu dichiarata nemico dello stato. Nemmeno la provenienza borghese dei Pavlović fu facilmente accettabile nel nuovo sistema. E l’arte di Milena, onirica, surreale, piena di veli, lampade e ventagli, e soprattutto piena di autoritratti, non poteva rientrare nei cannoni dell’estetica socialista e dell’ideologia collettivista.
Tuttavia, la madre decise di costruire una Galleria, un memoriale, in onore della figlia, nella sua casa natale e con i quadri rimasti, fatti da lei. La battaglia della madre per raggiungere l’obiettivo fu simile a quella di Davide contro Golia, però la sua ostinazione e la tenacia, accompagnate da alcune favorevoli circostanze, come ad esempio la decisione di Tito di allontanarsi dalla politica di Stalin e di avvicinare il proprio Paese all’Occidente, come anche l’influenza dell’amico di Bruno e di Milena, il francese Jean Cassou, surrealista e comunista, diedero i suoi risultati e la Galleria fu ufficialmente inaugurata nel 1962.
Milena partì per gli Stati Uniti all’inizio della Seconda Guerra Mondiale e lì si mise in contatto con diversi artisti. Quali di questi influenzarono maggiormente la sua arte?
La prima mostra individuale di Milena a New York fu organizzata nel 1940 nella galleria di Levi, un promotore dell’avanguardia europea. L’unica donna ad aver esposto lì prima di Milena fu Frida Kahlo. Poi, nel 1943 l’esposizione a Washington, nella Corcoran Gallery of Art. Per mantenersi, lavorava per Vogue ed altre riviste di moda molto famose, facendo le copertine. Oggi vi è grande interesse per quei suoi lavori, in quanto il design di moda ha ottenuto lo status di espressione artistica. Ottenne tanto successo anche per i costumi realizzati per il balletto Sebastian, del compositore Giancarlo Menotti, suo amico.
Un posto importante nella sua carriera americana lo occupa la sua partecipazione all’esposizione “31 donne” organizzata da Peggy Guggenheim.
Peggy fondò a New York una galleria chiamata “L’arte del secolo” (Art of the Century), dove nel gennaio del 1943 organizzò una mostra di sole opere didonne artiste, il che fu un evento speciale Tra le trentun donne c’era anche Milena Pavlović Barilli con il quadro Insonnia.
Quel dipinto di Milena, fatto nel 1942, fu esposto di nuovo nella mostra commemorativa, ma ora non si sa dove si trovi. Non esiste nemmeno una fotografia, anche se Milena fotografava tutti i suoi dipinti per avere una documentazione. Anche se molto interessante, quel progetto probabilmente era troppo eccentrico per quell’epoca.
Ci potrebbe dire qualcosa dell’opera artistica di Milena Pavlović Barilli e perché, secondo lei, la sua arte è attuale ancora oggi, dopo più di ottant’anni?
Delle caratteristiche dell’arte di Milena hanno scritto molti esperti e i più importanti storici dell’arte della Serbia, mentre io posso considerarmi solo un testimone della crescita di popolarità di Milena. Anche il quadro, a livello globale ed universale, è diventato una forma di espressione culturale molto dominante, a differenza di qualche decennio fa, quando la parola aveva la titolarità dell’espressione culturale. Inoltre, l’uomo moderno è particolarmente individualista; ci teniamo molto di più al nostro mondo interiore, ai nostri auto-ritratti, piuttosto che alla nostra appartenenza ai gruppi, ideologie, addirittura ai popoli e agli stati. È un fenomeno globale, succede quindi anche in Serbia.
I numerosi autoritratti di Milena riflettono appunto quei processi di ricerca dei propri stati e strati dell’animo e della mente, attraverso i quali passa oggi l’uomo moderno. Anche i paesaggi magici di Milena così come quelli urbani con le piazze vuote e le ombre solitarie, sono molto più vicini all’uomo contemporaneo che vive in una società velocemente modificabile e altamente alienata, rispetto a quanto non potessero essere ai suoi contemporanei, quando il mondo cercava di mantenere le rigide strutture sociali.
Naturalmente, anche il lavoro della stessa Galleria in questi quattro decenni ha fatto sì che la popolarità di Milena crescesse e che la sua opera artistica prendesse un posto adeguato nella storia dell’arte serba.
Nella corrispondenza tra i genitori di Milena nel periodo dal 1941 al 1945, che lei ha ripreso nel suo libro, scopriamo una dolorosa nostalgia che Danica Pavlović e Bruno Barilli sentivano nei confronti l’uno dell’altra, ma soprattutto nei confronti della figlia Milena. I momenti trasportati sulla carta da lettere sono davvero coinvolgenti ed emotivamente molto forti. Milena morì nel 1945. Alcuni mesi prima della sua scomparsa prematura (aveva solo 36 anni), era caduta da cavallo riportando gravi conseguenze per la sua schiena che la costrinsero per molti mesi su una sedia e incapace di muoversi. Ma non fu quella la causa della sua morte. Cosa accadde veramente?
La vita emotiva di Milena cambiò durante i suoi anni in America. Ruppe la sua lunga, passionale e intermittente relazione con il pianista cubano Rodrigo Gonzales e due anni dopo si sposò con un giovane americano di nome Robert Thomas Gosselin. In un podere alla periferia di New York, la coppia stava andando a cavallo, ma il cavallo di Milena scivolò infelicemente e la fece sobbalzare e cadere. Milena aveva già da prima problemi con la schiena e con la spina dorsale, e quella caduta la mise in una situazione ancora più precaria. Per alcuni mesi rimase a letto con indosso un corsetto di metallo, ma poi si rimise in forma. A lungo si credette che fu quella caduta a causarle la morte, ma in realtà non andò così. Una sera, per festeggiare un nuovo impiego offertole dopo il successo del balletto Sebastian (avrebbe dovuto disegnare nuovi costumi ed avere un buon compenso), Milena e Thomas andarono in un club a ballare. Il mattino dopo lei non si svegliò. Aveva solo trentasei anni. I suoi genitori, una in Serbia e l’altro in Italia, vennero a conoscenza della sua morte solo con la fine della guerra, dopo quattro lunghi anni in cui non avevano mai avuto sue notizie.
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