Dalla Macedonia al confine con la Serbia. I rifugiati in marcia attraversano la frontiera e si dirigono verso Preševo. Quinta puntata del diario di viaggio del nostro inviato sulla Rotta balcanica
La Serbia inizia con un susseguirsi di saliscendi di erba secca segnati da qualche raro albero solitario. Come al solito, in questi attraversamenti di frontiera, il sentiero da percorrere è quello indicato dalle bottiglie di plastica vuote, lasciate da chi ci ha preceduto. A parte Alaa, che sull’autobus da Gevgelija ha provato ad insegnarmi a coniugare i verbi in arabo, nessuno è in vena di chiacchierare. E dopo un inizio di camminata allegro, anche questo giovane siriano di Damasco si chiude nel suo silenzio.
I primi agenti serbi li vediamo in cima alle colline, in piedi, a due a due. Hanno l’aria annoiata, ma incutono comunque una certa soggezione. Abbiamo ormai attraversato il confine internazionale, marcato da un piccolo cippo, lasciandoci alle spalle l’accampamento dell’ONG macedone Legis, che ha rifornito tutti quanti in vestiti, acqua e burek, e siamo quindi in balìa di quei poliziotti. Ma, apparentemente, non hanno intenzione di fermarci.Dopo l’ultima svolta, si arriva al piccolo posto di blocco improvvisato. C’è uno scanner per bagagli in cui passano, come all’aeroporto, tutti gli zaini dei rifugiati e, tutt’attorno, una serie di tende in cui alcuni medici o dipendenti dell’Unhcr prestano aiuto ai nuovi arrivati. L’atmosfera del gruppo ora è più rilassata: è chiaro che questi uomini in divisa non causeranno noie. O, perlomeno, non a chi viene per fare domanda di asilo.Con discrezione, seguiamo Alaa e gli altri oltre lo scanner, all’interno del campo. “Ehi, voi, che fate?”. Uno degli agenti non ha difficoltà a individuare il biondo nella folla. “Siamo giornalisti”. “Per entrare qui vi serve un’autorizzazione. Dovete ripartire a Preševo da dove siete venuti e chiederla al centro di accoglienza”. Annuiamo e ci dirigiamo verso Preševo, come il resto del gruppo. La prima cittadina serba è a una decina di chilometri, oltre il comune frontaliero di Miratovac. Un pezzo di strada, va fatto a piedi. E man mano che avanziamo sulla via di terra battuta, le auto si fanno sempre più numerose. “Taxi, my friend?”, chiede un signore dal sorriso larghissimo.
Chi resiste alla tentazione di un passaggio in macchina (a 20 euro), può salire dopo una mezz’ora di cammino sulla navetta gratuita organizzata da un’associazione locale di giovani albanesi. “È una vergogna, tutti questi tassisti improvvisati”, si lamenta Daphina, una dei dodici attivisti che si danno il turno alla frontiera.Il servizio di autobus che hanno messo in piedi ci porta in poco minuti a Preševo, dove sembra regnare il caos. Tra tende Quechua, spazzatura e persone addormentate sui marciapiedi, una lunghissima fila di rifugiati fa la coda davanti all’ingresso del centro di accoglienza. È necessario passare da qui per avere il nuovo lasciapassare serbo, dopo quello greco e macedone. Un altro documento che autorizza ad attraversare il paese in meno di 72 ore. Una volta ottenuto, si può prendere un autobus (25 euro) o un treno (8 euro) per Belgrado. Ma le informazioni che girano sono contraddittorie e la frustrazione è alta.Alla stazione dei treni, dove aspettiamo il convoglio della mezzanotte, un ragazzo iracheno arriva in lacrime. Tiene in mano un biglietto del treno e un foglio firmato dalle autorità di Belgrado. In arabo, ci fa capire che ha tutto quel che serve, ma che il capotreno non lo lascia partire. “Questo è il questionario che ha ricevuto alla frontiera, non il documento che testimonia la sua domanda di asilo. Non posso lasciarlo salire”, risponde il ferroviere.Il giovane, classe 1990, pesta i pugni e la fronte contro il muro. Ha fatto la coda per cinque ore al centro e gli è stato detto che può viaggiare con quel foglio. Gli agenti del centro, in effetti, ci confermano la sua versione: il questionario è sufficiente per muoversi in Serbia. Gli autisti degli autobus sono dello stesso avviso. Ma alla stazione non c’è niente da fare. “Sentite, non so cosa stiano facendo al centro. Io posso anche lasciarlo salire, ma lo riporteranno qui. Come è successo ieri: diversi bus sono partiti con delle persone nella stessa situazione e hanno dovuto tornare a Preševo dopo un’ora”, ci assicura l’ufficiale della polizia di frontiera.Convinciamo il giovane iracheno a dormire al campo e a rifare la fila l’indomani, poi partiamo a prendere il treno. Arriverà con sei ore di ritardo, all’alba.
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!