Amfilohije Radović (a destra) foto Medija centar Beograd

Amfilohije Radović (a destra) foto Medija centar Beograd

Inizio anno difficile per il presidente serbo Aleksandar Vučić accusato da una parte dell’opinione pubblica e della Chiesa ortodossa serba, per le sue scelte sul Kosovo, di tradire la patria

12/01/2018 -  Antonela Riha Belgrado

Circa duecento personaggi pubblici, accademici, rappresentanti della Chiesa ortodossa serba (SPC), scrittori, professori universitari e giornalisti hanno sottoscritto l’Appello in difesa del Kosovo e Metohija. Un documento, presentato pochi giorni prima del Natale ortodosso (che, secondo il calendario giuliano, si celebra il 7 gennaio), nel quale si chiede di “fermare il processo di secessione del Kosovo” e di riportare i negoziati con Pristina sotto l’egida del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Si sottolinea inoltre che “il conflitto congelato (come il conflitto a Cipro e altrove) è l’unica soluzione ragionevole”.

Alcuni giorni dopo la presentazione dell’Appello, uno dei suoi firmatari, il metropolita montenegrino Amfilohije, ha dichiarato che la politica del presidente serbo Aleksandar Vučić “sta portando al tradimento della Serbia e del Kosovo”. Parole che hanno scatenato dure reazioni dei più stretti collaboratori di Vučić, che hanno accusato il metropolita Amfilohije di “stregoneria” e “calunnia” e di “aver destinato una preghiera per i defunti” al presidente ancora in vita, sostenendo che si è trattato, da parte dell'ecclesiastico, di un attacco “volgare e indegno”.

A queste affermazioni hanno replicato i dignitari del metropolita Amfilohije, rilasciando un comunicato in cui si sottolinea che i rappresentanti della Chiesa ortodossa serba “non hanno diritto di immischiarsi nella politica statale, ma hanno il diritto inalienabile di difendere la reputazione della Chiesa e l’anima di questo popolo di fronte a qualsiasi tentativo di tradimento del Kosovo e Metohija e dell’intero popolo serbo”.

Il giorno successivo è arrivata la reazione del patriarca Irinej che, con toni completamente diversi, ha ringraziato Dio “per averci donato l’uomo che sta lottando come un leone per il popolo serbo”, e soprattutto per il Kosovo. Con queste parole ha replicato non solo al metropolita Amfilohije e al vescovo della Chiesa ortodossa serba in Kosovo Teodosije, anche quest’ultimo tra i firmatari dell’Appello, ma anche a quella parte dell’opinione pubblica serba che si è divisa tra chi accusa di tradimento e chi difende il presidente Vučić.

C’è da aspettarsi che i conflitti interni alla Chiesa ortodossa serba vengano risolti, come al solito, in silenzio, lontano dai riflettori dei media. Il presidente Vučić, invece, nei prossimi mesi dovrà convincere i cittadini serbi di essere un patriota e al contempo dimostrare ai funzionari internazionali di essere un partner collaborativo.

Il “dialogo interno” in vista dell’“accordo storico”

Da qualche mese le autorità di Belgrado annunciano “decisioni difficili” che dovranno essere prese per accelerare il processo di normalizzazione dei rapporti con Pristina, avviato nel 2013 con la firma dell’Accordo di Bruxelles, raggiunto sotto l’egida dell’Unione europea.

Tra gli obiettivi di questo processo vi è anche il raggiungimento di un’intesa che impegnerebbe Belgrado e Pristina a non ostacolarsi a vicenda nel percorso di adesione all’Unione europea. Sono in molti in Serbia a pensare che accettare una tale intesa significherebbe accettare l’indipendenza del Kosovo, rendendo imminente la sua ammissione nelle Nazioni Unite.

Ed è per questo che, sul finire dell’ottobre 2017, il presidente Vučić ha avviato il cosiddetto “dialogo interno” che, attraverso una interlocuzione con i rappresentanti dei diversi segmenti della società, dovrebbe portare, entro marzo di quest’anno, alla formulazione di una proposta condivisa di risoluzione del più grande problema politico della Serbia: lo status del Kosovo, che Belgrado non riconosce come stato indipendente, ma sul cui territorio non ha alcun controllo effettivo.

Circa due mesi fa, Vučić ha ulteriormente sconvolto una parte dell’opinione pubblica locale dichiarando che la Serbia non potrà diventare membro a pieno titolo dell’Unione europea senza la firma di un accordo legalmente vincolante sulla normalizzazione dei rapporti con Pristina. “Non si tratta di riconoscere l’indipendenza [del Kosovo], nessuno ancora parla di questo, se non tra le righe…”, ha precisato Vučić.

La richiesta di ratifica di un accordo legalmente vincolante tra Serbia e Kosovo è stata avanzata per la prima volta nel settembre 2012 dai deputati dell’Unione cristiano democratica tedesca (CDU), come una delle condizioni poste da Berlino all’avanzamento della Serbia verso l’Unione europea. Nel gennaio 2014, con l’apertura ufficiale dei negoziati di adesione, il raggiungimento di questo accordo è diventato parte integrante del processo negoziale, ma le autorità di Belgrado per anni hanno tenuta nascosta la questione all’opinione pubblica locale.

L’Unione europea ha annunciato che il 2018 sarà un anno cruciale per il processo di allargamento e che a febbraio verrà presentata una nuova strategia per l’adesione dei Balcani Occidentali in base alla quale, come riportano i media citando il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, la Serbia potrebbe diventare membro dell’Ue entro il 2025.

Stando a quanto annunciato in via ufficiosa, il raggiungimento di un accordo legalmente vincolante tra Serbia e Kosovo sarà parte integrante della nuova agenda europea per i Balcani Occidentali, un compito che Belgrado e Pristina dovrebbero portare a termine entro la fine di quest’anno.

In una recente intervista, il presidente Vučić ha dichiarato che le probabilità di raggiungimento di un accordo reciprocamente accettabile sono “inferiori al 5%” e che “è impossibile che il Kosovo ottenga un seggio alla Nazioni Unite”, aggiungendo in modo ambiguo: “A meno che non si raggiunga una sorta di accordo storico che soddisfi i serbi”.

Controllo del danno: difesa del cirillico e salvaguardia della tradizione libertaria

Da Aleksandar Vučić, che conduce una politica populista e autocratica, si aspettano ora decisioni e mosse concrete che possono godere di un ampio sostegno sia da parte dei cittadini serbi che da parte della comunità internazionale.

Se davvero desidera che la Serbia raggiunga il suo l’obiettivo strategico, ovvero l’ingresso nell’Ue, Vučić dovrà fare in modo che l’annunciato “accordo storico” venga accompagnato da adeguate modifiche costituzionali.

I funzionari dell’Ue, pur congratulandosi con Vučić per i suoi sforzi e il “dialogo interno”, chiedono sempre più insistentemente risultati concreti, non solo nell’ambito dei negoziati con Pristina, ma anche riguardo alla cessazione della politica di bilanciamento tra Russia e Occidente, una richiesta su cui insiste anche Washington.

La forza del Partito progressista serbo di Vučić verrà messa alla prova alle prossime elezioni comunali di Belgrado, che dovrebbero tenersi entro la fine di marzo, mentre il vero banco di prova del consenso di cui gode la sua politica nei confronti del Kosovo sarà il referendum costituzionale che prima o poi dovrà essere indetto.

I colloqui svolti finora nell’ambito del cosiddetto “dialogo interno” non hanno portato al raggiungimento di un ampio consenso né di una posizione condivisa circa la risoluzione della questione del Kosovo. L’opposizione e la maggior parte delle organizzazioni non-governative hanno rifiutato di partecipare al dialogo, mentre le accuse provenienti da ambienti ecclesiastici, come quelle recentemente pronunciate dal metropolita Amfilohije, trovano una vasta eco tra gli avversari politici di Vučić.

La maggior parte degli elettori di Vučić non vedono nulla di problematico nel fatto che, negli anni Novanta, l’attuale presidente fu tra i più strenui sostenitori della politica bellica della Serbia, e anzi credono che proprio grazie al suo passato politico Vučić sappia meglio di chiunque altro come difendere gli interessi nazionali.

Il presidente Vučić ha già preparato una nuova tematica per i suoi sostenitori che, seguendo la consueta ricetta del controllo del danno e con l’ausilio dei media filogovernativi, diventerà senz’altro un nuovo “evento storico”.

In concomitanza con la presentazione dell’Appello in difesa del Kosovo e Metohija è giunta la notizia che il 15 febbraio, giorno in cui ricorre la festa nazionale della Serbia, verrà adottata, contemporaneamente a Belgrado e Banja Luka, una dichiarazione congiunta della Republika Srpska e della Serbia sulla sopravvivenza del popolo serbo.

Secondo quanto riportato dai media, i punti chiave di questo documento saranno “il diritto all’uso della lingua serba e dell’alfabeto cirillico, la tutela della cultura serba, lo studio della storia serba e la salvaguardia della tradizione libertaria serba, la difesa della geografia nazionale, il diritto alla difesa e alla tutela del patrimonio storico-culturale serbo e il diritto di accesso all’informazione nella lingua serba”.

La proclamazione di questa dichiarazione sarà senz’altro sfruttata dal presidente Vučić per rafforzare un’immagine di sé come leader che “lotta da leone” per la sopravvivenza del proprio popolo, a dispetto di tutte le “inimicizie” nei suoi confronti da parte dell’opposizione, della Chiesa, dei media indipendenti, dell’opinione pubblica, e di tutte le richieste “ingiuste” e le pressioni della comunità internazionale.


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