(© superelaks /Shutterstock)

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In Serbia è scoppiato lo scandalo del traffico di armi con cui si sarebbe danneggiata un’azienda statale a vantaggio di una privata che vede coinvolto il padre del ministro dell’Interno. Il whistleblower che lo ha rivelato è finito in carcere

23/10/2019 -  Antonela Riha Belgrado

Per venti giorni nessuno, tranne la sua famiglia, sapeva perché Aleksandar Obradović fosse stato arrestato. Qualche settimana fa, gli agenti della BIA (l’intelligence serba) sono arrivati con cinque auto con i lampeggianti accesi nella fabbrica di armi e munizioni Krušik a Valjevo, e hanno prelevato Obradović dal suo posto di lavoro.

Solo grazie ad un articolo sull’arresto di Obradović, pubblicato dal settimanale NIN, l’opinione pubblica serba è venuta a conoscenza del fatto che Obradović ha fatto trapelare alcuni documenti che dimostrano che il padre di Nebojša Stefanović, ministro dell’Interno e uno dei più stretti collaboratori del presidente serbo Aleksandar Vučić, è coinvolto in un traffico di armi che avrebbe causato danni all’azienda statale Krušik, mentre alcune aziende private che si occupano della vendita di armi ne avrebbero tratto profitto.

I media indipendenti in Serbia hanno paragonato Obradović ad Assange e a Snowden, mentre il presidente Vučić ha respinto ogni critica e ipotesi di coinvolgimento del ministro Stefanović e suo padre nel traffico illecito di armi.

Segreto commerciale

Aleksandar Obradović, 40 anni, esperto informatico, è stato arrestato lo scorso 18 settembre con l’accusa di aver commesso il reato di rivelazione di segreti commerciali perché ha passato ai giornalisti alcuni documenti che dimostrano che l’azienda GIM, legata al padre del ministro Stefanović, aveva acquistato armamenti a prezzi di favore dall’azienda Krušik.

Obradović sostiene che il ministero della Difesa e il presidente Vučić fossero già stati informati in precedenza di affari sospetti dell’azienda Krušik. Stando alle sue parole, alcuni operai della Krušik in passato hanno scritto al ministero della Difesa e al presidente Vučić, scegliendo di rimanere anonimi, senza però suscitare alcuna reazione.

Alcuni fatti denunciati da Obradović erano già noti. Un anno fa alcuni media hanno rivelato che Branko Stefanović – che è formalmente andato in pensione – , in qualità di rappresentante dell’azienda GIM con sede a Belgrado, avrebbe svolto un’attività di intermediazione tra l’azienda Krušik e alcuni commercianti di armi dell’Arabia Saudita. Lo scorso 15 settembre il portale Arms Watch ha pubblicato alcuni documenti che dimostrano che l’azienda GIM aveva acquistato armi dalla Krušik a condizioni agevolate. I responsabili dell’azienda Krušik hanno prontamente smentito tali affermazioni.

Qualche giorno dopo, il Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) ha pubblicato alcuni contratti da cui emerge che l’azienda legata al padre del ministro dell’Interno aveva comprato mine dalla fabbrica Krušik a prezzi di favore.

Mentre i media indipendenti pubblicavano documenti compromettenti a carico di Branko Stefanović, la BIA ha scoperto che Aleksandar Obradović stava passando informazioni ai giornalisti. Invece di indagare sugli affari poco trasparenti legati all’export di armi serbe e sul possibile coinvolgimento dei vertici dello stato, la BIA ha arrestato Obradović.

Dopo una manifestazione di protesta organizzata davanti al carcere di Belgrado, dove Obradović è stato rinchiuso, il giudice per le indagini preliminari ha concesso a Obradović gli arresti domiciliari in attesa del processo.

In un’intervista rilasciata dopo la scarcerazione, Obradović ha dichiarato: “Non ho fatto niente di male, non ho detto alcuna bugia, non ho rubato niente. Volevo solo che la verità sugli affari della Krušik venisse a galla. […] Sostengo che lo stato sta sottraendo sistematicamente dei soldi a questa azienda”.

Autorizzazione per l’arricchimento

Martedì 22 ottobre Marinika Tepić, vicepresidente di uno dei principali partiti di opposizione, il Partito della libertà e giustizia (SSP), ha chiesto al presidente Vučić di chiarire all’opinione pubblica serba i suoi rapporti con Mohammed Dahlan, ex capo dei servizi segreti palestinesi, che nel 2013 ha ottenuto la cittadinanza serba , nonostante sia ricercato dall’Interpol, e con Adhan Abu Madalala, che è stato il primo ambasciatore di Palestina in Montenegro, attualmente residente a Belgrado. Mostrando alcune fotografie che ritraggono Vučić insieme a Dahlan e Madalala, Tepić ha accusato il presidente di essere coinvolto in “affari” privati e di partito riguardo all’export di armi serbe verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che poi finiscono in zone di conflitto, e di ordinare l’arresto di persone che segnalano attività illecite legate al business delle armi. Al momento della pubblicazione di questo articolo, il presidente Vučić non ha ancora risposto alle accuse rivoltegli da Marinika Tepić, e finora non ha mai voluto commentare le rivelazioni di alcuni media serbi e internazionali sui suoi legami con Dahlan.

Si sospetta inoltre che le armi vendute dalla Krušik non siano finite nell’Arabia Saudita, come si afferma nei contratti di compravendita, bensì nelle mani di alcuni gruppi terroristici in Yemen . Tuttavia, gli inquirenti, almeno stando alle informazioni diffuse finora, non seguono questa pista, nonostante siano già stati pubblicati diversi documenti che dimostrano che le armi che la Serbia vende ai paesi come Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti e Turchia, finiscono sui campi di battaglia in Medio Oriente.

Un'inchiesta realizzata qualche anno fa dai giornalisti di BIRN e OCCRP (Organized Crime and Corruption Project) ha rivelato che la Serbia è uno dei nodi cruciali per il traffico di armi e che le aziende serbe produttrici di armi “lavorano a piena capacità”. Reagendo alla pubblicazione di questa inchiesta, Aleksandar Vučić, allora primo ministro, ha dichiarato che “anche se la Serbia fosse riuscita ad aumentare di cinque volte la produzione di armi ciò non sarebbe bastato a soddisfare la domanda”.

A giudicare dal contenuto dei documenti fatti trapelare da Aleksandar Obradović, sembra fondata l’ipotesi secondo cui a trarre maggiore vantaggio dall’affare, molto proficuo, della vendita di armi prodotte dalle aziende statali siano alcune aziende private legate ai politici al potere.

Anche un'inchiesta realizzata dal settimanale NIN sembra confermare questa ipotesi. Dall’inchiesta è infatti emerso che negli ultimi tre anni il valore dell’export di armi serbe è aumentato del 80% e il fatturato dell’azienda GIM è aumentato di ben 3146 volte, mentre nello stesso periodo il fatturato dell’azienda statale Yugoimport SDPR che si occupa di importazione ed esportazione di armamenti è diminuito in modo considerevole. L’azienda GIM ha registrato un forte incremento del giro d’affari proprio nel periodo in cui Branko Stefanović è entrato nell’affare della vendita di armi, per la quale, oltre alla licenza rilasciata dal ministero della Difesa, è necessario possedere anche un’autorizzazione rilasciata dal ministero dell’Interno, guidato da Nebojsa Stefanović.

Messaggio rivolto alla procura

Commentando le rivelazioni sugli affari dell’azienda legata a Branko Stefanović, il presidente Vučić ha dichiarato che si tratta di uno scandalo montato e che “l’opposizione sta conducendo una brutale campagna contro gli esponenti del governo”, una campagna che, stando alle parole di Vučić, vede coinvolto anche il whistlerblower che lavora nella fabbrica Krušik. Vučić ha negato ogni possibile coinvolgimento del ministro dell’Interno Nebojsa Stefanović – che è anche vicepresidente del partito di Vučić – e suo padre in affari poco trasparenti, e così facendo ha inviato un chiaro messaggio alla procura su cosa non deve indagare.

Si è fatto sentire anche il ministero della Difesa, sostenendo che le affermazioni di Obradović sull’operato dell’azienda Krušik sono inesatte e malintenzionate, e che lo scopo di Obradović è quello di “sconvolgere l’opinione pubblica e i dipendenti di quell’azienda, e di aiutare i concorrenti stranieri nel loro tentativo di distruggere Krušik e prendere il suo posto sul mercato internazionale”.

In Serbia solo pochi media indipendenti si sono occupati di questo scandalo e del caso di Aleksandar Obradović. La maggior parte dei media mainstream e dei giornali ad alta tiratura, controllati dal governo, ha definito Obradović come una “spia” e una persona sleale nei confronti dell’azienda in cui lavora. La procura, l’Agenzia per la lotta alla corruzione e altre istituzioni competenti continuano a tacere.

Date queste premesse, non stupisce il fatto che nella città di Valjevo, nella Serbia occidentale, per venti giorni, fino alla pubblicazione del suddetto articolo del settimanale NIN, nessuno abbia osato dire niente né chiedere cosa sia successo al loro concittadino e collega e perché sia finito in carcere. A una manifestazione organizzata a Valjevo per esprimere sostegno ad Aleksandar Obradović hanno partecipato circa 200 persone, tra cui – secondo quanto riportato dai media – c’erano solo pochi dipendenti della Krušik.

Questo non è il primo caso di abuso di potere e mancato rispetto della legge sul whistleblowing. Nel 2016 due agenti della Direzione centrale della polizia criminale di Belgrado hanno sporto denuncia contro i loro superiori, accusandoli di aver messo in atto un’operazione illegale in occasione della cerimonia di commemorazione del ventennale del genocidio di Srebrenica nel 2015, quando ad alcuni agenti della polizia serba, tra cui c’erano anche i due poliziotti che hanno sporto denuncia, è stato ordinato di fingersi giornalisti e di filmare di nascosto l’evento, compresa l’aggressione all’allora primo ministro serbo Aleksandar Vučić avvenuta durante la cerimonia. Dopo aver sporto denuncia, i due agenti sono stati licenziati, poi arrestati e detenuti in carcere per più di un mese. L’imputazione rivolta agli agenti è quella di aver rivelato segreti d’ufficio e il processo nei loro confronti, chiuso ai giornalisti, è ancora in corso.


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