La tornata elettorale di domenica 22 giugno ha consegnato il potere assoluto nella mani del partito di Aleksandar Vučić, SNS, cancellando l'opposizione dal parlamento. Una situazione prevista ma che è particolarmente critica per ogni sistema che voglia dirsi democratico
Il Partito progressista serbo (SNS), guidato dal presidente Aleksandar Vučić, ha trionfato alle elezioni politiche di domenica 22 giugno, conquistando la maggioranza di due terzi del parlamento. L’SNS avrà infatti circa 190 seggi sui 250 del parlamento serbo. Domenica scorsa si sono svolte anche le elezioni amministrative e l’SNS ha vinto in quasi tutti i comuni, e con ciò Vučić ha ribadito formalmente il suo dominio assoluto sulla scena politica serba.
Tuttavia, tale dominio è incompatibile con un sistema democratico e già di per sé desta perplessità sia nell’opinione pubblica locale che in quella internazionale, e potrebbe avere anche altre conseguenze negative.
Dall’Unione europea e dagli Stati Uniti stanno già arrivando le prime critiche sui risultati delle elezioni in Serbia, e il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung ha persino suggerito che l’SNS dovrebbe essere escluso dal gruppo del Partito popolare europeo (PPE). Il Parlamento europeo ha definito le elezioni in Serbia come una “derisione della democrazia”, mentre The New York Times ha scritto che la tornata elettorale di domenica scorsa si è svolta in un clima “ben lontano da una cultura pluralista”.
Queste critiche sicuramente non piacciono a Vučić, e a lungo termine potrebbero incidere negativamente sulla sua reputazione, ma in questo momento non possono inficiare più di tanto la sua posizione.
Non vi è infatti alcun indizio che Bruxelles e Washington siano pronte a contestare la legalità e la legittimità delle elezioni in Serbia. Al contrario, da Vučić ci si aspetta che acceleri i negoziati sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo e la schiacciante vittoria elettorale dell’SNS alimenterà ulteriormente tali aspettative.
Domenica 22 giugno l’inviato speciale dell’UE per il dialogo tra Serbia e Kosovo Miroslav Lajčák si è recato in visita a Belgrado. Dopo l’incontro con il presidente Vučić, Lajčák ha dichiarato che Bruxelles auspica che venga raggiunto un accordo completo tra Belgrado e Pristina che risolva per sempre tutte le questioni bilaterali aperte. Il rappresentante dell’UE ha precisato che un tale accordo dovrebbe affrontare sia le questioni economiche che quelle riguardanti i rapporti con altri paesi della regione, nonché tutta una serie di argomenti di cui ha discusso con Vučić.
Lajčák ha inoltre affermato che si aspetta che il dialogo tra Belgrado e Pristina, svolto con la mediazione dell’UE, possa riprendere a luglio a Bruxelles, ha ringraziato Vučić per la sua “disponibilità a sedersi al tavolo negoziale”, aggiungendo che il presidente serbo “capisce molto bene quanto il processo [negoziale] sia importante per la Serbia e per il suo popolo”. Infine, si è complimentato con Vučić per la vittoria dell’SNS alle elezioni di domenica scorsa.
Questa settimana il presidente Vučić dovrebbe recarsi in visita a Mosca, dove parteciperà a una parata e si incontrerà con il presidente russo Vladimir Putin, dopodiché andrà a Washington per incontrare una delegazione di rappresentanti delle autorità kosovare.
Dominio
Molti oppositori del regime e analisti di Belgrado ritengono che alle elezioni appena concluse Vučić “ha fatto a pezzi” non solo l’opposizione, ma anche la democrazia. Ci è riuscito grazie alla sua capacità di esercitare un forte controllo sui media mainstream e, al contempo, di impiegare un grande esercito di attivisti che cercano di influenzare i dipendenti pubblici e i pensionati (o persino esercitano pressioni su di loro), raccogliendo così i cosiddetti “voti sicuri”. Senza un tale approccio, la netta vittoria ottenuta da Vučić e dal suo SNS non sarebbe stata possibile. O meglio, l’SNS e Vučić probabilmente avrebbero comunque vinto, ma l’opposizione non sarebbe stata “eliminata“ dal parlamento.
Vučić non ha bisogno di alleati per governare, vista la schiacciante vittoria ottenuta, ciononostante ci si aspetta che rilanci la coalizione con il Partito socialista serbo (SPS), fondato da Slobodan Milošević, creando così l’illusione, a dire il vero poco convincente, che non stia governando da solo. Se invece decidesse di non allearsi con l’SPS, Vučić rischierebbe di trasformare un ex alleato abbastanza potente in un potenziale pericoloso avversario.
Sta di fatto che l’SPS gode delle simpatie di Mosca e alcuni suoi membri ricoprono posizioni chiave nelle aziende russe che detengono il monopolio del settore petrolifero e del gas in Serbia, e Vučić deve tenerlo a mente. Anche perché Mosca, a quanto pare, non si fida molto del presidente serbo, mentre si è sempre dimostrata vicina all’SPS.
In un momento così delicato come questo, quando stanno per riprendere i negoziati con il Kosovo, alla leadership serba non gioverebbe entrare in conflitto con Mosca, soprattutto tenendo conto del fatto che la Russia gode di grande simpatia da parte degli elettori dell’SNS.
Mosca sicuramente auspica di poter continuare a contare sull’SPS ed è logico supporre che sia pronta a sfruttare la propria influenza economica e politica per far sì che l’SPS entri a far parte del nuovo governo serbo, un argomento che potrebbe essere affrontato durante l’imminente visita di Vučić a Mosca.
Dopo le elezioni, Ivica Dačić, il leader dell’SPS nonché ministro degli Esteri nel governo uscente, ha dichiarato di essere disposto a entrare di nuovo in coalizione con l’SNS, aggiungendo che aspetterà l’invito di Vučić.
Il trionfo elettorale dell’SNS in realtà è un trionfo del suo leader e attuale presidente della Repubblica Aleksandar Vučić, che ha guidato la lista dell’SNS sia alle elezioni politiche e amministrative sia a quelle per il rinnovo dell’assemblea provinciale della Vojvodina.
Vučić ha dominato l’intera campagna elettorale durante la quale la leadership al potere ha ampiamente sfruttato la sua forte influenza sui media mainstream serbi. L’SNS ha incentrato la sua campagna elettorale non contro quei partiti di opposizione che si erano candidati alle elezioni, bensì contro le forze che avevano deciso di boicottare il voto, ritenendo che non ci fossero le condizioni minime per lo svolgimento di elezioni democratiche. La leadership al potere evidentemente vede proprio in questi partiti che hanno boicottato le elezioni il suo più forte avversario.
Opposizione
Oggettivamente, l’opposizione ha affrontato la sfida delle elezioni senza alcuna piattaforma né idee chiare e ha subito una débâcle. Durante la campagna elettorale i partiti di opposizione hanno perlopiù discusso della necessità o meno di boicottare il voto, e hanno continuato a farlo anche dopo le elezioni. I partiti che si sono presentati alle elezioni – il Movimento dei cittadini liberi (PSG), la coalizione guidata dal sindaco di Šabac Nebojša Zelenović e alcuni altri partiti e movimenti – hanno subito una grave sconfitta. Come del resto c’era da aspettarsi, perché contemporaneamente alla campagna elettorale alcune forze di opposizione hanno portato avanti una campagna a favore del boicottaggio, e questo ha scoraggiato molti potenziali elettori dell’opposizione a recarsi alle urne.
Al momento non vi è alcun indizio che i due blocchi in cui si è divisa l’opposizione possano superare le differenze e cominciare a collaborare più strettamente.
Gli elettori serbi di orientamento filoeuropeo, che vogliono che in Serbia vengano adottati gli standard europei e i principi su cui si fondano le democrazie avanzate, sono rimasti confusi perché sulla scena politica serba non c’è alcun partito il cui programma è compatibile con il loro orientamento ideologico e che potrebbe infondere loro fiducia. Alcuni di questi elettori filoeuropei si sono comunque recati alle urne, mentre altri hanno deciso di boicottare il voto, ma per entrambi i gruppi il risultato delle elezioni rappresenta una sconfitta.
In tale atmosfera, la leadership al potere ha facilmente raggiunto l’obiettivo prefissato, e il fatto che le forze di opposizione anche dopo le elezioni abbiano continuato a discutere dell’utilità o meno del boicottaggio lascia presagire che le cose non cambieranno nel prossimo futuro.
L’Alleanza per la Serbia (SZS), la principale coalizione dei partiti di opposizione, che ha boicottato le elezioni, sostiene invece che il boicottaggio abbia dato i suoi frutti facendo emergere la vera natura del regime di Vučić. Tuttavia, l’opposizione continua a dimostrarsi incapace di elaborare una strategia ben definita, focalizzando le proprie attività sulla critica nei confronti del governo uscente.
Le forze che hanno boicottato le elezioni si aspettano che la leadership al potere “cada in disgrazia” di Bruxelles e Washington, e non sono in grado di rivitalizzarsi e di elaborare una sia pur minima piattaforma comune. Nonostante la sconfitta, la maggior parte dei leader dell’opposizione non ha offerto le proprie dimissioni né tanto meno ha annunciato di volersi dimettere. Non c’è nemmeno da aspettarsi che lo facciano perché si tratta perlopiù di piccoli partiti che difficilmente potrebbero far emergere un nuovo leader in grado di smuovere la situazione dal punto morto in cui ci troviamo.
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